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Sintesi
Estratto del documento

Il suicidio

Ad una prima analisi il comportamento umano appare in contrapposizione con

la società contemporanea, basata sul “culto del fitness”. L’assurdità che si

attribuisce al gesto del suicida non sembra essere nata con esso, ma si è

costruita nel nostro contesto sociale e culturale. Ma va detto che solo in pochi

casi la persona che si suicida lo decide in maniera repentina ed improvvisa. Ciò

avviene solo in persone che hanno un grave disturbo psichiatrico (ad esempio

depressione) o si trovano ad affrontare situazioni di vita che ritengono estreme

ed insopportabili (ad esempio un’improvvisa carcerazione). Il più delle volte il

suicidio è la conclusione di un vissuto interiore personale, doloroso e dilaniante.

Un atteggiamento di comprensione, giustificando il suicidio come unica via di

liberazione, si trova nella grecità classica e nel pensiero romano, in particolare

in quello di Seneca. Con l’introduzione del Cristianesimo, le considerazioni al

riguardo cambiano: è associato all’omicidio e quindi al peccato. Con

l’affermazione della coscienza dei valori morali tradizionali troviamo

Schopenhauer, mentre la psicoanalisi alimenta un nuovo interesse per gli studi

di Virginia Woolf e di Italo Svevo.

Il suicidio come liberazione e fuga dalla vita

Una motivazione del suicida è la liberazione, una fuga dai suoi problemi, dalla

società che lo circonda o da una sconfitta.

Numerosi sono anche i saggisti e gli scrittori che affrontano il problema del

suicidio come liberazione e fuga dalla vita. In un saggio di Giorgio Antonucci

(Pensieri sul suicidio), per esempio, troviamo questa riflessione:

“Parlare di suicidio è difficile, come è difficile parlare di tutti i problemi relativi

alla morte. I filosofi girano intorno al problema della morte come farfalle intorno

al fuoco. Il suicidio, poi, lo toccano di rado e lo trattano come problema di

costume, in modo per lo più moralistico. Allora siamo ancora agli inizi, c'è

appena un tentativo di pensiero, uno sguardo dentro il pozzo di questa estrema

- estrema per davvero - scelta di libertà, a volte lucida e addirittura serena,

spesso disperata.”

Il suicidio è inteso a volte come viaggio attraverso il quotidiano della vita. Tutti

nella nostra vita abbiamo dovuto fare i conti con il suicidio; anche se è la scelta

privata che richiede innanzitutto discrezione e rispetto, tuttavia è una

responsabilità collettiva interrogarsi sulle motivazioni. I casi di suicidio

aumentano nella nostra società. Colpisce giovani, anziani, emarginati, ma

anche potenti. Non è facile capire le ragioni profonde che inducono al suicidio

persone tanto diverse. Una spiegazione sociologica fa risalire le cause alla

disgregazione sociale.

Schopenhauer: “Suicidio universale”

1.

Dire che l’essere è la manifestazione di una Volontà infinita, secondo

Schopenhauer, equivale a dire che l’essere è dolore. Infatti, volere significa

desiderare, e desiderare vuol dire trovarsi in uno stato di mancanza, ossia

dolore. L’uomo risulta quindi il più bisognoso e mancante degli esseri, destinato

2 Per un desiderio che venga

a non trovare mai un “appagamento” definitivo (“

appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti ”). Ciò che gli uomini

chiamano piacere è solo una cessazione momentanea del dolore, momento cui

succedono inevitabilmente nuovi desideri e nuovi dolori oppure la noia.

“la vita umana è come un pendolo che oscilla fra

Secondo Schopenhauer:

dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace del piacere e della gioia ”.

Quindi la vita è sostanzialmente dolore, al di là di qualsiasi apparenza

esistere è

ingannevole. Il filosofo fa sue le sentenze pessimistiche dell’Oriente (“

soffrire”), (“è meglio non essere nati piuttosto che vivere

di Platone ”) e afferma

che l’esistenza risulta una cosa che si impara poco per volta a non volerla.

Tuttavia, il sistema di Schopenhauer non mette capo ad una “filosofia del

suicidio universale”. In realtà egli rifiuta e condanna il suicidio per due motivi:

 vuole

È un atto di forte affermazione della volontà stessa in quanto il suicida “

la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate ”, per cui

anziché negare la volontà egli nega piuttosto la vita.

 Sopprime unicamente l’individuo, ossia una manifestazione fenomenica della

volontà di vivere.

Il filosofo riconosce tre motivazioni del suicidio:

 Chi è oppresso dal peso della vita,

 Chi vorrebbe e afferma la vita, ma ne disprezza i tormenti,

 Chi soprattutto non riesce a tollerare più a lungo il duro destino.

Per questo afferma che non si deve sperare una liberazione che venga dalla

morte e la salvezza non può venire dal suicidio. L’individuo muore, ma il sole

arde senza interruzione in eterno e non importa che nascano e periscano nel

tempo gli individui, che sono solo fenomeni dell’idea.

Il suicidio ci appare già da questo come un’azione inutile e quindi stolta. Infatti,

la negazione della volontà di vivere, unico atto di libertà possibile al fenomeno,

costituisce la metamorfosi trascendentale e nulla si allontana tanto da essa

quanto il suicidio. Il suicida non rinuncia in alcun modo alla volontà di vivere,

ma soltanto alla vita, distruggendone il singolo fenomeno. Vuole libera

esistenza ed affermazione del corpo; ma l’intreccio delle circostanze non glielo

consente, e gliene deriva un grande dolore. Così la volontà di vivere viene a

trovarsi impedita in questo singolo fenomeno e prende, allora, una decisione

conforme alla propria essenza in sé, fuori delle forme del principio di ragione e

alla quale riesce quindi indifferente ogni fenomeno singolo.

2. Hitler: “Fuga dalla rovina”

Nell’aprile del 1945, con l’armata rossa ormai alle porte di una Berlino

devastata, il Fuhrer della grande Germania, della nazione eletta, destinata a

dominare il mondo, era un autentico morto vivente, che viveva seppellito nel

bunker tetro e scuro, scavato nelle viscere della cancelleria.

Le giornate trionfanti di Norimberga, il mito di un uomo che appariva agli occhi

del mondo come un semidio, gli eserciti invincibili del Terzo Reich millenario,

rappresentavano ormai un ricordo sbiadito, cancellato dalla straripante

offensiva alleata. 2

Alla fine del 1942, Hitler era la guida di un impero sconfinato, che si estendeva

dalle coste dell’atlantico fino al Caucaso, dai deserti del nord Africa ai ghiacci

del polo; nulla sembrava poter fermare i progetti del nazional-socialismo, volti a

realizzare la conquista dello spazio vitale ad est, per fornire, al supremo popola

ariano, la giusta espansione, ai danni dei popoli inferiori; ma nel giro di pochi

mesi le sorti del conflitto mutarono radicalmente, con i primi, drammatici,

rovesci degli eserciti tedeschi, cominciati, rovinosamente, a Stalingrado e

proseguiti, in Normandia, con lo sbarco alleato del giugno 1944.

Ebbene, da quelle tragiche sconfitte il fuhrer non si riprese più, specialmente

dopo il fallito attentato avvenuto nel suo quartier generale di Rastenburg, la

cosiddetta "tana del lupo", dal quale, pur salvandosi per miracolo, ne uscì

fisicamente debilitato.

L’Hitler degli ultimi tempi era un uomo totalmente distrutto, nel fisico e nel

morale, al pari di una Germania allo stremo, devastata dai bombardamenti

alleati e attaccata ad est dai sovietici e ad ovest dagli anglo-americani;

rinchiuso nel suo bunker, il suo stato di salute peggiorò sempre di più: era

evidente, nelle sue rarissime comparizioni pubbliche il tremore alla mano,

sintomo palese del morbo di Parkinson; era evidente la sua rassegnazione per

una fine sempre più prossima.

Ormai sempre più debilitato, dipendeva completamente dal suo segretario

Bormann e dal suo uomo più fedele, Joseph Goebbels, che, sostituendosi in

tutto e per tutto al suo amato fuhrer, si prodigò allo stremo per organizzare

l’improbabile difesa di una capitale prossima alla capitolazione per mano

dell’odiato nemico bolscevico.

Nel bunker, la vita di Hitler e degli uomini al suo seguito, veniva condotta in un

clima surreale:

come riferito da alcuni testimoni, era come vivere nell’oltretomba, in una bara

di cemento, senza avere distinzione tra il giorno e la notte; fu proprio in questo

clima che Hitler trascorse gli ultimi giorni della sua vita, senza essere più in

grado di prendere alcuna decisione, completamente distaccato dalla realtà ed

incapace di percepire ciò che avveniva all’esterno, ove le armate della grande

Germania, che avevano stupito il mondo per la loro straordinaria potenza,

erano ridotte ad un manipolo di anziani male armati ed ai ragazzi della

gioventù Hitleriana, che andarono incontro ad un inutile martirio.

Il 20 aprile 1945, nel buio del bunker si festeggiò il cinquantaseiesimo ed ultimo

compleanno di Hitler e tutti i gerarchi vollero rendere omaggio al loro fuhrer, in

quello che si tramutò in un vero e proprio ultimo atto, della loro grande e

tramutata potenza.

Ad alleviare le sofferenze di un Hitler assolutamente distrutto, contribuì la

presenza di Eva Braun, la sua amante, la donna che decise di seguire il suo

uomo fino alla morte, un uomo che amava alla follia e per il cui amore fu

condannata ad una vita di profonda sofferenza, che la indusse, per ben due

volte, a tentare il suicidio: anche se il loro legame risaliva ai primi anni trenta,

Eva Braun rimase sempre nell’ombra, nell’emarginazione più assoluta,

costretta a subire uno dei personaggi più discussi della storia, che gli provocò

ogni genere di umiliazione e la sensazione di vivere in una prigione dorata; la

Braun, decise di seguire il suo amato fuhrer fino a Berlino, nelle profondità

sotterranee del bunker, accettando di morire con colui che, il 29 aprile 1945, a

poche ore dalla fine, decise di esaudire il suo desiderio di unirsi in matrimonio

con lui. Hitler sposò dunque Eva Braun, ma la felicità durò poco poiché le nozze

2

furono il preludio di una fine già scritta e programmata attraverso la

distribuzione di capsule di cianuro. Il 30 aprile 1945 fu l’ultimo atto della vita di

un uomo che sconvolse i destini del mondo e della sua sposa, che fin dall’inizio

non aveva desiderato altro se non divenire la Signora Hitler; due capsule di

cianuro posero fine alla loro esistenza ma l’ultimo ordine del signore della

Germania fu quello di predisporre la cremazione sua e di Eva. I corpi

scomparvero, dunque, tra le fiamme, poco prima che la bandiera rossa fosse

issata sul pennone della cancelleria, a suggellare il grande trionfo dell’armata

rossa e di Stalin. Scomparve così in questa lugubre maniera un reich che si

voleva millenario e che invece non sopravvisse ai primi rovesci.

Van Gogh: “Campo di grano con volo di corvi ”

3.

Nasce nel 1853, figlio di un pastore protestante in una modesta famiglia

olandese. Avviato agli studi teologici nel 1869 accetta di lavorare in una ditta di

mercanti d’arte dalla quale sarà presto licenziato. Nel 1880 si trasferisce in

Belgio dove matura la sua vocazione per la pittura: nei volti sofferenti dei

minatori riconosce l’immagine di Cristo e tutto ciò che vede rientra nel suo

immaginario artistico.

Si accentua la sua incapacità di accettazione delle regole sociali e il fratello

Theo sarà l’unico che sino alla fine lo sosterrà moralmente ed

economicamente. Nel luglio del 1890 in un campo di grano maturo e inondato

dal sole, l’artista si uccide. Van Gogh ha dato un significato al colpo di rivoltella

col quale ha posto fine alla sua vita. Al suicidio, infatti, aveva già pensato da

“protestare contro la società e di

qualche anno come il solo modo di

difendersi”. Che cos’altro poteva fare un uomo solo, ingombro di speranze

frustrate, senza una via d’uscita, senza una via di scampo alla propria

inquietudine?

“ Sento la mia malinconia incurabile, dovuta a eventi passati, e poi mi vengono

a dire che il mio stato è “giovane fanatismo avventato”! Siamo molto, molto

2

lontani da esso. In questo stato d’animo si è “maledettamente seri”… non ci si

aspetta di trovare cose facili, dolcezze, si sa di dover lottare contro qualcosa di

duro come la roccia …”

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