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ITALO SVEVO
La vita
Italo Svevo, il cui vero nome era Aron Hector Schmitz, nacque a Trieste il 19
dicembre 1861. Il padre, Francesco, commerciante in vetrami, era di famiglia
ebraica come pure la madre, Allegra Moravia,
proveniente dal Friuli.
Nel 1873, con i fratelli, fu mandato in collegio in
Germania dove apprese molto bene il tedesco e
le basi del commercio, anche se era un grande
appassionato di letteratura. Qualche anno più
tardi, diciassettenne, tornò a Trieste, ove
Revoltella
frequentò l’istituto e scrisse, nel
frattempo, testi drammatici che, nel 1880,
“L’indipendente”.
furono pubblicati sul
Durante quell’anno conobbe l’esperienza della
declassazione a causa di un investimento
sbagliato fatto dal padre; per questo motivo fu Italo Svevo, Livia Veneziani e la figlia Letizia
costretto a trovare un lavoro nella filiale ella
Banca Union di Vienna. Fare l’impiegato, però, Una vita.
lo opprimeva e da ciò prese spunto per scrivere Nel 1886 conobbe
Senilità.
Umberto Veruda che ebbe un forte influenza su di lui e lo ispirò per
Qualche tempo più tardi Svevo abbandonò l’impiego in banca ed entrò nella
ditta dei suoceri, cioè i genitori di Livia Veneziani. Quest’ultima era una
cugina di cui si innamorò nel 1895, quando sua madre morì, e sposò l’anno
dopo; da lei ebbe anche una figlia, Letizia.
In questo periodo fu interessato da due importanti eventi: l’incontro con Joyce,
dal quale prese delle lezioni di inglese, molto utili per i suoi numerosi viaggi e
l’interesse per la psicanalisi grazie al cognato che, a Vienna, si era sottoposto
ad una terapia sotto la guida di Freud.
L’occasione per il recupero degli interessi letterari gli fu fornita dalla guerra,
allorché, requisita la fabbrica di vernici, Svevo, ormai libero da tutto, nel
La coscienza di Zeno,
1919, pose mano al suo terzo romanzo, che verrà poi
pubblicato nel 1923.
Insoddisfatto dall’apprezzamento per le sue opere inviò l’ultima all’amico
Joyce che si trovava a Parigi. L’opera riscosse un grande successo. Tale
riconoscimento costituì per il poeta uno stimolo per iniziare a scrivere il
quarto romanzo sempre con protagonista Zeno; l’11 settembre 1928, però, fu
vittima di un incidente d’auto a Motta di Livienza a seguito del quale due
giorni dopo morì.
Lo stile e i temi dei suoi romanzi, soprattutto dei tre maggiori, erano troppo
"moderni" perché ne fosse riconosciuto il giusto valore, ma è stata proprio tale
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modernità ad accostare lo scrittore triestino ai più grandi autori europei del
Novecento, al pari di Kafka, Musil, Proust e Joyce.
Le opere Una vita, Senilità La
Italo Svevo scrisse molte opere di cui tre sono: e
coscienza di Zeno.
Una vita è il romanzo d’esordio di Italo Svevo. L'opera fu iniziata nel 1887,
con un titolo diverso, “Un inetto”, ma fu pubblicata a
spese dell'autore solo nel 1892.
La storia ha come protagonista Alfonso Nitti, un
giovane colto, ma economicamente disagiato che
dall’amato paese natale si trasferisce in città per
lavorare presso la banca Maller a Firenze. Qui la
nostalgia della campagna lo assale mentre il lavoro in
banca si fa sempre più duro, carico di responsabilità ed
avaro di soddisfazioni. I primi incontri in casa Maller
gli renderanno la vita meno triste, soprattutto
l’ambigua amicizia che nascerà con la figlia del
principale, Annetta, la quale gli proporrà di collaborare
con lei nella stesura di un romanzo e di cui lui si
innamorerà.
La lunga malattia e la successiva morte della madre di Alfonso, però,
divideranno i due per un lungo periodo al termine del quale il protagonista
farà ritorno in città scoprendo una situazione fatale per il suo fragile
equilibrio: Annetta, infatti, si è fidanzata con il cinico cugino Macario.
Nonostante i propositi di rinuncia, Alfonso tenta di instaurare un legame con
la ragazza chiedendole un ultimo appuntamento al quale, però, non si
presenta la ragazza ma suo fratello, Federico Maller, il quale da sempre si era
dimostrato ostile nei confronti del protagonista. Federico provoca Alfonso fino
a sfidarlo a duello, scontro a cui Nitti si sottrae, nauseato, scegliendo come
unica soluzione il suicidio.
L’argomento fulcro di questo romanzo è l’inettitudine. Svevo, infatti, costruisce
un antieroe che vive continuamente in bilico tra la voglia di affermazione, la
consapevolezza della propria superiorità nei confronti del volgare mondo
esterno e la propria innata incapacità di azione. Negli anni in cui nella
letteratura si muovono altri eroi come quelli incarnati dal superuomo di
D'Annunzio, l’autore triestino crea un personaggio la cui inettitudine non ha
nulla di nobile; la stessa Trieste, città che in quegli anni viveva una dinamica
fioritura culturale grazie anche alla propria funzione di ponte tra mondo latino
e Mitteleuropa, si riduce ad una città squallida e grigia che evidenzia la
debolezza del protagonista. 6
Senilità si pone cronologicamente al centro della trilogia. Pubblicato per la
prima volta nel 1898 a spese dell’autore, il romanzo andò incontro ad un triste
insuccesso e all’indifferenza della critica. Fu Joyce che nel 1927, dopo aver
dichiarato pubblicamente il suo sincero apprezzamento per questo libro, ne
decretò il trionfo, facendo sì che esso fosse elevato a capolavoro.
Il protagonista Emilio, è un intellettuale piccolo borghese che si ripara nelle
mura del nido domestico e sotto le ali protettrici di Amalia, una sorella che è,
allo stesso tempo, una figura materna. Egli sogna l’uscita dal nido e il
godimento dei piaceri della vita e, quando finalmente nella sua esistenza
appare Angiolina, in lei vede incarnati i simboli della pienezza vitale e della
stessa salute fisica.
Nonostante i propositi di disinvolto giostrarsi e nuova sicurezza di proprie
capacità, Emilio prova una forte paura nei confronti del
sesso e della donna, tanto da giungere a trasfigurarla in
figura angelica e pura, dalla quale invece Angiolina,
superficiale, vanitosa e bugiarda, è infinitamente lontana.
Lo stesso possesso fisico con la donna lo lascia
insoddisfatto e turbato, poiché ne contamina l’ideale.
A contrastare la figura di Emilio è quella di un amico,
Stefano Balli, amore non corrisposto di Amalia. Questi è
ciò che Emilio non ha il coraggio di essere: un uomo
forte, dominatore, certo di sé, presuntuoso ai limiti della
sopportazione. A dividerli un solo tratto: il tradimento
dell’amico con la sua amata. Scoperto ciò, Brentani cade
in una profonda depressione seguita dalla morte per
polmonite della sorella.
Al protagonista, rimasto chiuso in una senilità precoce, non resta che
guardare al passato, come un vecchio alla propria gioventù. La
Fu durante la prima guerra mondiale che Svevo cominciò a elaborare
coscienza di Zeno (1923), unanimemente considerato il suo capolavoro. In
questo romanzo l'autore sviluppa un'analisi psicologica di straordinaria
profondità e costruisce tecniche narrative modernissime, soprattutto per la
tradizione del romanzo italiano. La prima pagina presenta la narrazione come
un'autobiografia del paziente, una rievocazione del passato richiesta dal
medico come tappa preliminare alla terapia analitica.
Svevo abbandona lo schema ottocentesco del romanzo raccontato da un
narratore estraneo alla vicenda e fa sì che la sola voce che il lettore immagini
di ascoltare sia quella del nuovo «inetto»: Zeno Cosini. Invitato a farlo dal
proprio psicanalista, si cimenta nella stesura di un memoriale, una sorta di
confessione autobiografica a scopo terapeutico.
Il tempo entro cui il romanzo si colloca non ha una connotazione ben precisa; i
fatti non si susseguono cronologicamente e secondo uno schema lineare.
Spesso il passato ripercorre le strade del pensiero di Zeno e si confonde con il
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presente formando un unico impasto non scindibile. Il risultato è anche ciò
che Svevo definisce «tempo misto».
Il giovane protagonista aveva con suo padre un rapporto molto freddo, infatti
non era stimato al punto che suo padre decise di dare l’azienda in mani
estranee invece che a lui. Prima della morte del genitore, Zeno riceve da
questi uno schiaffo che non saprà mai spiegare se dovuto all’incoscienza della
malattia o alla volontà del padre di punirlo. L’insicurezza lo porterà ad
attaccarsi ad una figura paterna sostitutiva e indispensabile, quella di
Giovanni Malfenti, abile uomo d’affari e anche padre-suocero poiché sposerà
una delle sue figlie, dopo essere stato respinto dalle altre.
Zeno affianca ad Augusta, sua moglie, la figura di una giovane donna povera,
Carla, con la quale sembra avere un rapporto più da padre che da amante. La
singolare storia extraconiugale finisce, poi, col rovinarsi a causa dei continui
sensi di colpa di Zeno che viene inevitabilmente abbandonato e tradito.
La vita di Zeno è un’incessante corsa verso quella che crede essere la vera
esistenza, «la salute». I tentativi di astenersi dall’accendere una sigaretta,
oltre che vani, sono lo sforzo inutile di raggiungere la posizione di buon
marito, buon padre, ottimo uomo d’affari, che il protagonista ritiene vincenti
nella vita.
Il romanzo, oltre che esser costituito per gran parte dal memoriale di Zeno
scritto a scopo terapeutico, è anche arricchito dal diario dello stesso. Infatti,
subisce una sorta di trasformazione; s’accorge d’essere sano e conclude con
una visione apocalittica in cui l’uomo appare l’artefice di un disfacimento
cosmico che sconvolgerà la terra, lasciando però spazio, forse, a un’utopistica
rinascita del mondo.
La vera forza dell’inetto è proprio quella di non vivere inchiodato a certezze
che potrebbero crollare da un istante all’altro, ma di
mettersi, grazie al disagio, in continua discussione
con se stesso e con gli altri. Questo è il messaggio
La coscienza di Zeno,
ultimo de che imputa alla vita i
sintomi di una malattia incurabile e che si rende
essenziale, come prima opera di stampo
psicoanalitico, all’interno della cultura letteraria
italiana.
Questo romanzo conclude la serie di opere sul tema
dell'inettitudine, ma a differenza dei suoi
predecessori, Nitti e Brentani, il protagonista Cosini
riesce a superare la malattia ed il complesso di
inferiorità.
I tre romanzi, che costituiscono una specie di trilogia che approfondisce una
tematica a sfondo autobiografico, sono tesi a cogliere l’analisi spietata
dell’io
dell’inconfessabilità più profondo. I protagonisti, infatti, in qualche
Una vita,
modo, si somigliano: in il personaggio sveviano è incapace di
Senilità,
un’esistenza estroflessa, in diviene consapevole dell’impossibilità di
8 Coscienza di Zeno
incidere significativamente nella vita reale, e nella —
ispirato alla confessione psicoanalitica di Freud — romanzo ormai pienamente
maturo, il protagonista finisce per guardarsi vivere, cosciente della propria
«malattia» e senza alcuna speranza, o forse volontà, di poterne mai guarire.
Partito da moduli veristici e dallo psicologismo francese, ispirandosi a Zola e
Goncourt, l’esperienza letteraria di Svevo si conclude infine — ormai più
vicina a Proust e Joyce — con la testimonianza della crisi dell’uomo moderno
che inevitabilmente deriva dal crollo della concezione classica e cristiana, e
dalla coscienza dell’inevitabile fallimento di ogni tentativo di determinare in
qualche modo gli eventi che lo coinvolgono.
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LE FORME DI STATO
“forma di stato”
Il termine indica il modello di organizzazione politica su un
territorio e il tipo di rapporto esistente tra lo Stato e i cittadini. In relazione
unitario, regionale federale.
alla sua forma uno Stato può essere di tipo o
Stato unitario
Lo è costituito da un unico popolo stanziato su un unico
territorio e sottoposto a un’unica sovranità o potere d’imperio.
Secondo la sua organizzazione interna, può essere:
Accentrato, organi
quando l’amministrazione statale è costituita da
centrali, con sede al centro dello Stato e competenza in tutto il territorio, e
organi periferici
da che hanno solo alcune funzioni amministrative;
Decentrato, quando esiste anche un’amministrazione locale, oltre a
enti locali territoriali