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nuova isola, che poi i geografi avrebbero chiamato Trinacria, cioè la terra dalle tre che si
chiamarono capo Faro o Peloro dal lato di Messina, capo Passero o Pachino dal lato di
Siracusa, e capo Boeo o Lilibeo dal lato di Palermo.Anche il nome stesso dell'isola è nato
da una leggenda, che parla di una principessa bellissima, che si chiamava appunto
Sicilia, e alla quale il destino ordinò di lasciare, sola e giovinetta, la propria terra natia,
altrimenti sarebbe finita nelle fauci dell'ingordo Greco-levante, che le sarebbe apparso
sotto le mostruose forme di un gatto mammone, divorandola. Per scongiurare questo
pericolo, non appena compì quindici anni il padre e la madre, piangenti, la posero in una
barchetta, e la affidarono alle onde. E le onde, dopo tre mesi, deposero la giovinetta su
una spiaggia meravigliosa, piena di fiori e di frutti, ma assolutamente deserta e solitaria.
Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lacrime, ecco improvvisamente spuntare
accanto a lei un bellissimo giovane, che la confortò, e le offerse amore e ricetto,
spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste, e che il destino voleva
che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile, per cui
l'isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l'avrebbe ripopolata; ed infatti si
chiamò Sicilia, e la nuova gente crebbe forte e gentile, e si sparse per le coste e per i
monti.
Quando mi sono avviata alla stesura, il mio obiettivo era quello di conoscere i miti
dell’antica Sicilia e di vedere come, tracce di alcuni di essi, influenzino ancora oggi, la
nostra cultura e la nostra religione. Allo stato attuale, sono riuscita, solo in parte, a
raggiungere il mio obiettivo, in quanto dovrei continuare a girare per tutta la regione,
per poter rinvenire, fra quelle manifestazioni popolari, le tracce di un paganesimo
morante ma che non si è ancore estinto. Tra gli autori da me consultati, posso citare
classici come Omero, Teocrito di Siracusa e Cicerone; studiosi del passato come
Giovanni Verga, Luigi Pirandello, e, anche; autori e artisti a noi più vicini come Leonardo
Sciascia, Camilleri e Guttuso..
Queste sono solo alcune definizioni della mia isola che offre un’alta concentrazione
artistica ed umana dai significati e contenuti elevati e profondi che contribuiscono ad
aumentarne il fascino e la magnificenza, l’importanza e l’imponenza, inoltre, la sua
storia millenaria, il fatto d’essere la patria di filosofi, santi, artisti, scienziati e poeti, le
sue tradizioni ed i suoi valori. Se a tutto questo si unisce la maestosità delle sue
caratteristiche ambientali, la bellezza del suo mare e delle sue montagne, lo splendore
dei suoi monumenti, la bontà della sua cucina e la cordialità e forte senso dell’ospitalità
di noi abitanti, si evince che la Sicilia offre uno scenario complessivo davvero unico nel
suo genere. Avevo trovato risposta alle mie domande;riprendo una citazione del latino
Seneca che al meglio racchiude il mio pensiero: Sono nato per un solo cantuccio, la
mia patria è il mondo intero. Ci tengo a sottolineare come questo lavoro non è solo
un semplice riassunto di quanto altri autori hanno scritto, ma, al contrario, vi è, alla
base un intenso lavoro di “analisi comparativa”, che, mi ha permesso, attraverso
l’utilizzo della “lingua romanza”, di arrivare al conseguimento di questa mia ricerca.
INIZIO
La Sicilia: impregnata di profumo di zagare; abbellita dai monumenti che le varie civiltà,
sostando, hanno costruito; gremita di tradizione e di suggestivo folklore. Questa terra
porta in seno una superba mitologia con cui inebria il mondo insieme all’azzurro del
mare dei pescatori e al verde-giallo dei campi dei contadini, il cui velo mitologico nel
tempo ha adornato, talvolta, la realtà. Questa terra, si mostra ai suoi abitanti e visitatori
come isola affascinante e incomprensibile: da una parte città nobili, ricche di addobbi
monumentali, di storia, ricchezza e vita, dall’altra le campagne remote; paesi
dell’entroterra ancorati per lungo tempo a realtà trasfigurate, mistiche e nello stesso
tempo religiose, che rendono questa terra sempre più misteriosa in questa sua
contraddittoria personalità che, come il cielo, alterna in sé il giorno e la notte. Viene
dunque fuori un’isola da capire, studiare, vivere e illuminare, nelle sue zone ancora
cupe; Era questo il mio scopo dare una risposta a tutti quei segreti, superstizioni, fatti
surreali che accadevano in tutto il mondo ma soprattutto nella mia terra d’origine. E cosi
feci: m’incamminai per giorni al fine di trovare qualche indizio, qualche luogo o persona
che potesse aiutarmi ad assetare la mia sete di conoscenza. Mi inoltrai in un bosco
presso le campagne dell’ennese e lì con mio gran stupore vi trovai tanti pellegrini in
viaggio,persone particolari con abiti differenti dai miei, che indossavo un semplice jeans
con una magliettina fuxia, sembravano vestiti in maschera, alcuni con abiti
ottocenteschi altri greci, mi sembrò un gruppo di quegli attori girovaghi che si
fermavano in vari paesi per rappresentare la loro opera, mi fermai e chiesi a uno di loro
dove fossero condotti. Il mio interlocutore un uomo alto con i capelli bianchi riccioluti
sulle spalle, mi rispose che erano condotti ad un piccolo borgo presso il bosco, per
riposarsi. Alle sue parole decisi anche io di seguirli per riposarmi un po’. Attraversammo
l’intero bosco frondoso, pieno di fiori, di profumi di ogni genere, mi lasciai andare a
quell’inebriante situazione di serenità, non riuscivo più nemmeno a pronunciare parola,
guardavo gli altri e sapevo solo rivolgere un sorriso sforzato, sentivo che le forze
venivano meno. Ci fermammo, quando ad un tratto, il silenzio della natura, venne
interrotto da una strana melodia, si avvicinò a noi un gruppo di musici, indossavano
delle calzamaglie con abbinate delle tuniche corte al ginocchio, colorate dei colori più
variopinti. Uno di loro si pose al centro e iniziò a parlare:
Viniti a viriri vui la me Sicilia china di ma ora chiamu a tutti prisenti, e…
mura antichi e di culonni rari sull’istanti.
ca sunu a loria i lu passatu magnu. A terra nostra è lu caluri di `ll’amuri
Di ‘ccà passanu i greci e i saracini veru:
ci vinniru i rumani, l’arabi e i vinitilu a pruvari vui prima di muriri
nurmanni; lu trimulizzu ca pigghia o vostru cori
chiurenu li spagnoli e arristanu li ...satannu ‘nnà la navi o prima di
taliani. sbarcari
Venite a vedere voi la mia Sicilia
Nui semu amabili, curtisi e uspitali piena di mura antiche e di colonne
chini di mitu sacru e di sfurtuna rare,
e sulu fora truvamu lu travagghiu e i che sono gloria del grande
lagrimuna. passato .
Da qui sono passati i greci e i
Lu cori lu lassamu arreri saraceni,
p’arriurdari a terra e i munti cu lu qui sono venuti i romani, gli arabi e i
mari, normanni;
unni lassamu lu veru gran trisoru. sono andati via gli spagnoli e sono
rimasti gli italiani.
L’orgogghiu ca ‘nnì macina la menti Noi siamo amabili, cortesi e ospitali
supraffina, pieni di mito sacro e di sfortuna
vi purtau luntani, me cari cittadini,
e solo fuori troviamo lavoro, ma con vi ha portati lontano, miei cari
lacrimoni. concittadini,
ma ora chiamo tutti i presenti e…
Il cuore lo lasciamo dietro all`istante.
per ricordare la terra e i monti col La nostra terra è il calore del vero
mare, amore:
dove rimane il vero gran tesoro. venite a provarlo voi prima di morire
il tremito che prende il vostro cuore
L`orgoglio che ci macina la mente … saltando sulla nave o prima di
sopraffina sbarcare.
L’anziano signore che intratteneva il gruppo mi sembrò fosse il cosiddetto “cuntacunti”,
il cantastorie, quella figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare
che si spostava nelle piazze e raccontava con il canto una storia, sia antica sia riferita a
fatti e avvenimenti contemporanei di una comunità locale. Questa figura aveva antenati
quali gli aedi e rapsodi greci e i giullari, menestrelli, trovatori o trovieri del Medioevo
francese e nella scuola poetica siciliana. A partire dal XIV secolo si allontanarono dalla
letteratura più colta e contribuirono a diffondere in dialetto le gesta dei paladini carolingi
chanson de geste,
della argomento anche dell'Opera dei Pupi. Ebbero la massima
fioritura nella Sicilia del XVII secolo e furono appoggiati dalla Chiesa con lo scopo di
diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia, tanto che nel 1661 a
Palermo i Gesuiti avevano costituito la congregazione degli "Orbi", cantori ciechi, a cui
veniva insegnato a suonare uno strumento e che erano legati a temi esclusivamente
religiosi sotto il controllo ecclesiastico.
Di l’autori greci nascituri n’sicilia unu m’piac assai e u’ sracusanu teocrito ch parra d’
maari, n’cesti e n’cantesmi:
LU ZITU: Aeri mi dicisti:
`Dumani pò videmu,si me mammuzza `un c`é IL FIDANZATO: Dimmi, Sisetta, dimmi,
nui ninni fuemu.`Ora manca pi tia, che sono queste tue parole? Io sono ai tuoi
chi tò mammuzza `un c`é,e siddru mi voi beni comandi, dimmi cosa ci vuole. LA FIDANZATA:
dimmi `na vota sì.LA ZITA: Parla, Ninuzzu, Quando ci sposeremo mi dovrai comprare l`abito
parla si chistu lu pò fari, si chisti desideri elegante con le braccia scoperte e sopra di seta
mi li pò fari passari. fine.
Culuri di la carni vogghiu li me quasetti e `ntra la
LU ZITU: Dimmi. Sisiddra, dimmi,chi ssù `sti to facciuzza ci vogghiu li russetti; lu nivuri nta
paroli? Sugnu a li to cumanni, dimmi soccu ci l`occhi, lu russu nta li labbra; Lu cappiddruzzu
voli. LA ZITA: Quannu ni maritamu m`ha fari novo, li scarpi cu li scocchi.
la vistina, cu li vrazza di fora e supra di sita fina. Pi fari lu manciari vogghiu la cucinera
e pi fari li sirvizza vogghiu la cammarera.
IL FIDANZATO: Ieri mi hai detto:`Domani Sei iorna la simana a lu tiatru a` ghiri
vedremo, se la mia mammina non c`é e poi la duminica mi vogghiu divirtiri:
noi fuggiremo. Ora manca per te poiché la tua a` ghiri a Sferracavallu pi `na scampagnateddra
mammina non c`é e se mi vuoi bene dimmi una e mi nni vogghiu scinniri cu la panza a
volta di sì.LA FIDANZATA: Parla, Ninuccio, ciarameddra.
parla, se puoi fare questo, se puoi esaudire questi
desideri.
Voglio le calze color carne e nelle guance voglio il Sei giorni alla settimana voglio andare a teatro
rossetto. Il nero negli occhi e il rossetto sulle e poi la domenica mi voglio divertire:
labbra, il cappellino nuovo voglio andare a Sferracavallo per una bella
e le scarpe con i fiocchi. scampagnata e voglio ritornare
Per cucinare voglio la cuoca, con la pancia gonfia come un otre.
per i lavori di casa voglio la cameriera.
LU ZITU: `Na cosa ti scurdasti, ca currivu IL FIDANZATO: Hai dimenticato una cosa,
t`arresta,tu ti metti li causi e ghié mi mettu la altrimenti ti resta rabbia, tu devi indossare i
vesta.`Ngrasciata sulennissima, chissi proposti pantaloni ed io l`abito femminile. Donna
sunnu?Pi ddrocu `un ci abbasta `na burza senza enormemente sporca, queste sono proposte? Per
funnu.`Un sugnu re di coppi, di spati o di dinari, questo non basta una borsa senza fondo. Non sono
dunni li vaiu a pigghiu tutti sti dinari? re di coppe, di spade o di denari, dove vado a
Lu sai chi ti dicu?Dammi l`aneddru chi ti detti, prenderli tutti questi soldi? Lo sai che ti dico?
cu chissà mi vaju a pagula tassa di li schetti, Restituiscimi l`anello che ti ho regalato, con quello
accussì arrestu libbiro e unn` aju a cu pinzari. vado a pagare la tassa sul celibato*, così resto
libero e non ho da pensare a nessuno.
A’ carusa d’sperata torna n’gasa n’a servetta e c’dici:“amma fari n’a fattura,
sara pent d kiddu c’a fattu” A servetta pigghiati l’armenti i mis n’gapu a
bancata e n’cumncio a r’ctari:“e tu ,rota trascina n’gasa u me ommnu” E
chissu r’ptia p tanti votti e poi ancora:“pensa unna a nasciutu u nostru
amuri”.
Finuta a fattura si sittarunu aspettannu u r’sultato.
Adesso ne ero certa quell’uomo era un cantastorie, aveva cantato delle maghe di