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Una triste realtà: lo sfruttamento minorile
Io sono Rosso Malpelo, questo non è il mio vero
nome, ma tutti mi chiamano così, anche mia madre, tant'è
che mi sono quasi dimenticato quello originale.
A raccontare la mia tragica storia è stato Giovanni Verga
nato a Catania nel 1840 da una famiglia di ricchi
proprietari terrieri. Spinto da una forte passione per la
letteratura abbandona presto gli studi di giurisprudenza
intrapresi a diciotto anni. Verga ha vissuto gran parte
della sua vita a Milano. In questa città ha pubblicato
molte opere, la maggior parte aventi come tema centrale i
problemi sociali del Sud: lo sfruttamento minorile e
l'adolescenza negata, logorata dall'ingiustizia del
Immagine tratta dal film Rosso
mondo adulto; l'emarginazione come
Malpelo di Pasquale Scimeca, nato
condizione sociale; l'interesse per il mondo dei
dall'omonima novella.
vinti dalla fiumana del progresso: contadini,
minatori, pescatori siciliani ritratti nelle loro misere condizioni economiche e affettive; la lotta per la
sopravvivenza e il tema della roba, tutti i problemi riguardanti l'Unità d'Italia e il fenomeno del
brigantaggio.
La mia storia la racconta nella novella omonima Rosso Malpelo1, presente in Vita dei Campi. Io sono
un lavoratore anzi, sono un bambino lavoratore; sono uno di quei tanti bambini che sono stati vittime
di soprusi e maltrattamenti da parte degli adulti. Ho sempre lavorato nella cava della rena rossa, tant'è
che tutti la chiamano la cava di Malpelo e questo non fa molto piacere al padrone. Vengo chiamato
Rosso Malpelo perché ho i capelli rossi e questo per tutti è segno di cattiveria e malvagità. In realtà
non sono così cattivo come dicono, sono sempre stato buono, lavoro come un adulto e quando devo
prendermi le busse le prendo senza protestare “proprio come se le pigliano gli asini che curvano la
schiena”. Ho incominciato a essere malpelo, nel vero senso della parola, da quando è morto mio
padre, mastro Misciu, mastro Misciu la Bestia, come lo chiamavano qua nella cava, “era l'asino da
basto di tutta la cava”. Mio padre è morto da eroe, è morto perché voleva guadagnarsi quel pezzo di
pane duro che il padrone ci dava quotidianamente. È morto perché aveva preso a cottimo un lavoro
che tutti si erano rifiutati di intraprendere, quello di abbattere il pilastro portante della cava “era stato
un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo
modo dal padrone”, come dissero Zio Mommu lo sciancato e gli altri. Era morto di sabato, nella cava
eravamo rimasti solo io e lui, mentre tutti erano andati via raccomandandogli di “non fare la morte
del sorcio”. Tutto il tempo lui mi raccomandava di stare attento a questo o a quell'altro, poi, ad un
certo punto, la sua voce si è spenta. “Quella sera in cui vennero a cercare in tutta fretta l'ingegnere
che dirigeva i lavori della cava, ei si trovava a teatro e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un
trono, perché era gran dilettante”. Gli aiuti arrivarono dopo 6 ore quando ormai io, stravolto in viso,
avevo tentato di liberare il babbo dalla rena che era caduta. Mio babbo era l'unico che mi voleva bene,
l'unico che mi accarezzava i miei maledetti cappelli rossi. Mi aveva insegnato a lavorare e a tener
duro in ogni situazione. Dopo la sua morte non ebbi più un appoggio e un punto di riferimento, ero
perduto anche perché la mamma si era rimaritata e mia sorella era andata anch'essa a nozze. Non che
questo fosse motivo di dispiacere per me dal momento che quando rientravo a casa il sabato, distrutto
dal duro e intollerabile lavoro, oltre le mazzate che pigliavo alla cava, ricevevo bastonate e colpi pure
da loro, che siccome ero malpelo, c'era il timore che sottraessi dalla paga alcuni spiccioli per i miei
interessi. Da quel sabato di tutte le disgrazie che succedevano venivo incolpato io, e siccome ero
1 Il racconto fu pubblicato per la prima volta sul Fanfulla nell'agosto del 1878. Fu poi raccolto in Vita dei Campi nel
1880. ~ 8 ~ Fiamma Selenia Boi Vc
Una triste realtà: lo sfruttamento minorile
malpelo, m'impegnavo ad esserlo nel migliore dei modi; tanto non avevo altro scopo nella vita e la
cava da quel giorno divenne la mia unica ed eterna dimora.
Presi simpatia per un ragazzo, Ranocchio, come lo chiamavano
qui alla cava. Lui prima lavorava fuori, al sole, dove diceva
esserci la vita. Fuori per lui era tutto stupendo e di notte
guardava il cielo, dicendo che un giorno, dopo la morte, saremo
andati li poiché eravamo buoni. Questo per me era una grande
menzogna: la vera vita stava là sotto, nella cava dove stava
sotterrato mio padre, e dove, quando battevo la rena, temevo di
colpire il suo corpo. “Mio padre era buono e non faceva male a
nessuno, tanto che gli dicevano Bestia. Invece è la sotto, ed
hanno persino trovato i ferri e le scarpe e questi calzoni qui che
indosso io ”. Tutti i suoi arnesi li conservavo con cura, quando
li guardavo o li utilizzavo sembrava che il babbo fosse li con
me a sorvegliarmi. Con Ranocchio, mi comportavo come un
padre si comporta con il suo figlioletto. Dal momento che era
un tipo gracilino, che non avrebbe resistito a lungo nella dura
vita da minatore, gli insegnavo piccole regole di sopravvivenza.
Malpelo si prende cura di Lo menavo per fargli capire che se non aveva le forza di
Ranocchio investito dalle febbri. difendersi con me, che non gli volevo di certo male, con quelli
che lo menavano sul serio, non avrebbe avuto scampo. Gli dicevo che “l'asino va picchiato, perché
non può picchiar lui; e s'ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe le carni a
morsi”. Quando l'asino grigio morì, portavo Ranocchio a vedere le sue misere spoglie che venivano
a poco a poco sbranate dai cani. Tutti fanno quella fine, anche gli uomini. La vita di Ranocchio non
ebbe un destino fortunato: presto si ammalò e gli venne la febbre. Di notte questa aumentava sempre
di più e io lo portavo all'aria aperta in modo che rinvigorisse, ma non c'era niente da fare. “Un lunedì
Ranocchio non venne più alla cava, e il padrone se ne lavò le mani, perché allo stato in cui era ridotto
era più là che qua, e sua madre piangeva e si disperava come se il suo figliolo fosse di quelli che
guadagnano dieci lire la settimana”. La mia mamma non piangeva mai per me perché ero stato sano
e robusto, ed ero malpelo e non aveva timore di perdermi, mentre la madre del mio amico piangeva
perché era consapevole dello stato di salute del figlioletto. Ormai io ero avvezzo a tutto, agli
scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedermi ingiuriato e
beffato da tutti, a dormire sui sassi, colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro, ero
avvezzo anche a digiunare, quando il padrone per punirmi mi toglieva il pane e la minestra, non avevo
più niente e nessuno in questo mondo. Tutti mi trattavano come una bestia, mi definivano “un brutto
ceffo, torvo, ringhioso e selvatico”, tutti mi deridevano e quando, all'ora di pranzo, andavo a
rannicchiarmi in un angolo della cava, a rosicchiarmi “quel pò di pane bigio”, mi tiravano sassi.
Nessuno aveva stima di me né come persona, né come lavoratore. Ho passato tutta la mia vita a
lavorare, a essere sottomesso e a vivere da bestia, proprio come quelle su cui io scaricavo tutta la mia
ira a suon di bastonate e sassate, proprio come lo sciancato e come gli altri facevano con me. Anche
quando rientravo a casa, il sabato, non godevo dell'amore di mia madre che si disperava di avere come
figlio uno che a furia di prenderle si comportava come i cani, “che a furia di buscarsi dei calci e delle
sassate da questo e da quello, finiscono col mettersi la coda fra le gambe e scappare alla prima anima
viva che vedono” . Tutti i miei coetanei, e gli altri ragazzi del paese, la domenica si mettevano la
camicia pulita per andare a messa o per ruzzolare nel cortile, mentre io andavo vagabondando per le
campagne. ~ 9 ~ Fiamma Selenia Boi Vc
Una triste realtà: lo sfruttamento minorile
Alla cava, quando si doveva esplorare un
percorso nuovo, mandavano sempre me,
perché del mio futuro poco interessava
agli altri, che avevano tutti famiglia; così
un giorno decisi di esplorare un
passaggio che si riteneva comunicasse
col pozzo grande a sinistra, verso la valle,
se questo era vero e riuscivo a tornare
indietro era gran cosa perché avrebbe
risparmiato tanta manodopera, ma se non
riuscivo ad uscire sarei rimasto lì, come Immagine tratta dal film Rosso Malpelo.
molti nella cava. Così presi gli arnesi del
babbo, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane e il fiasco di vino e andai: di me non si seppe
più nulla. Mi smarrii nel passaggio con gli utensili di mio padre, poiché ormai non avevo più niente
in quella terra. Fu l'unica soluzione, là sotto terra, nella cava della rena rossa, rimasi eternamente col
babbo, senza più il timore di subire soprusi e maltrattamenti.
“Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di
lui nel sotterraneo, che hanno paura di vederselo parire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi”.
Questa novella è stata scritta da Giovanni Verga più di cento anni fa.
Solo per caso si svolge in Sicilia. Per caso in una miniera.
Quello di cui si narra potrebbe essere successo oggi, ovunque nel mondo ci sono bambini soli,
sfruttati e maltrattati. Pasquale
Scimeca2 Due politici italiani per denunciare una triste condizione:
il lavoro dei carusi
Ad occuparsi legalmente del problema dei minori sfruttati sul lavoro furono Leopoldo Franchetti3 e
Giorgio Sidney Sonnino4, che in un libro-inchiesta noto come Inchiesta in Sicilia, o la Sicilia nel
1876, intendevano far conoscere le condizioni di vita del Meridione e diffondere la consapevolezza
di un problema sociale che andava risolto sia per riequilibrare uno sviluppo economico che sacrificava
le campagne e l'economia del Sud, sia per porre fine al malcontento delle masse contadine che dava
origine al brigantaggio e che poteva provocare pericolose insurrezioni socialiste. Nell'Inchiesta in
Sicilia si dedica particolare attenzione al lavoro dei ragazzi, i cosiddetti carusi5, impiegati come
garzoni nel duro lavoro nelle miniere di zolfo.
2 È un regista italiano nato nel 1596 a Aliminusa. Nel 2007 in una conferenza stampa presenta il film Rosso Malpelo,
liberamente ispirato alla novella di Verga, e il progetto umanitario Cento scuole adottano un bambino. Il progetto
prevede di devolvere gli incassi del film a due comunità della Bolivia.
3 Franchetti (1847-1917) è stato un politico ed economista italiano. Fu filantropo, studioso meridionalista e senatore del
Regno d'Italia.
4 Il barone Sonnino (1847-1922) è stato un politico italiano, presidente del Consiglio dei ministri del Regno.
5 Termine usato in meridione per indicare un ragazzo ~ 10 ~ Fiamma Selenia Boi Vc
Una triste realtà: lo sfruttamento minorile
Nell'ultimo capitolo intitolato Il lavoro dei
fanciulli nelle zolfare siciliane, scrivono:
Nelle province di Girgenti e di Caltanissetta6
avvengono sotto i nostri occhi, parecchie
ingiustizie verso i minori che vengono
sfruttati nel lavoro delle miniere. […] I carusi
sono quei poveri ragazzi che trasportano il
minerale. La maggior parte dei carusi ha tra
gli 8 e gli 11 anni, ma alcuni iniziano il loro
lavoro a 7 anni. Ogni picconiere impiega in
media da 2 a 4 carusi. Questi ragazzi
percorrono coi carichi di minerale sulle
spalle le strette gallerie scavate a scalini nel
Carusi trasportano il minerale fuori dalla zolfara. monte, con pendenze talora ripidissime, e di
cui l’angolo varia in media da 50 a 80 gradi. Gli scalini generalmente sono irregolari, più alti che
larghi, sui quali ci si posa appena il piede. Le gallerie in medie sono alte 1.50 metri e larghe circa
1.10 metri, ma spesso anche meno. Il lavoro dei fanciulli nelle gallerie va dalle otto alle dieci ore al
giorno e devono compiere durante queste un determinato numero di viaggi, ossia trasportare un dato