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Figura 1 Bambina impasta fango su mattoni.

INTRODUZIONE

Art. 32

“Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento

economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a

repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale,

spirituale, morale o sociale.” (“Convenzione sui diritti dell’infanzia”

20 novembre 1989)

“Lost and so alone

Born but never known,

Left all on their own.

Forgotten children…” (“Forgotten Children”- Tokio Hotel)

L’educazione, la salute, il gioco, una famiglia. Sono questi i diritti che spettano a ogni bambino in

tutto il mondo.

Purtroppo però, da sempre, a milioni di bambini sono negati questi diritti, costretti a rinunciare al

periodo più bello e divertente della vita di ogni persona. Costretti a lavorare in ambienti pericolosi,

in condizioni di estrema povertà e scarsa igiene, mandati sulle strade a prostituirsi, picchiati se non

raggiungono gli obiettivi imposti, per guadagni miseri che mai potranno ripagare il dolore, la

sofferenza, la paura che nasce in queste creature e che dovranno portasi dentro per sempre.

Ho deciso di trattare la questione dello sfruttamento minorile perché ritengo che l’infanzia sia l’età

più importante e necessaria per lo sviluppo di una persona, e che sia inaccettabile e disumano che

ancora oggi, nel 2009, milioni di bambini siano sfruttati e privati della loro serenità e del loro

sorriso. 3

Figura 2 Raccolta di pietre in Asia.

LA SITUAZIONE ITALIANA DI FINE ‘800

Nella storia, i bambini sono spesso stati le vittime di situazioni economiche, politiche e culturali e

non sono stati quasi mai considerati “soggetti attivi e partecipanti” alla vita sociale.

Il precoce avviamento al lavoro dei minori nel passato era considerato una piaga sociale, giustificata

dalla necessità di sopravvivenza, dall’inadeguatezza del reddito familiare e sia per fronteggiare i

bisogni primari.

Nell’ultimo trentennio del 1800, il periodo della cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”, si

ebbe in Europa uno sviluppo tecnologico senza precedenti: i settori in cui si ebbero i maggiori

risultati furono il metallurgico, con l’acciaio che permise nuove soluzioni nelle costruzioni e

nell’uso del cemento armato; da non scordare poi i progressi nel campo elettrico, grazie ai quelli si

diffuse in modo capillare la rete elettrica nelle grandi città, nelle case e nei luoghi di lavoro.

Nelle fabbriche il ritmo di lavoro era dettato dalle macchine, perfezionate e più moderne, e donne e

bambini erano sempre più richiesti soprattutto perché la loro attività era sottopagata ed erano più

docili e ammaestrabili. All’epoca un solo salario non bastava a mantenere la famiglia nonostante la

giornata lavorativa fosse di 12-16 ore,a ritmi disumani.

Le condizioni lavorative dei minori erano più disperate soprattutto nel sud Italia dove la maggior

parte dei bambini, come avvenne in Sicilia, veniva adoperata nelle miniere e nelle zolfare. 4

Figura 3 “Piccola filatrice davanti alla macchina” (Lewis Hine).

LA TESTIMONIANZA DI VERGA: ROSSO MALPELO.

Il caso più rilevante dello sfruttamento minorile nel sud Italia è rappresentato dalla novella di

Giovanni Verga “Rosso Malpelo”.

In una cava di sabbia siciliana, dove l’umile e dura vita delle persone che vi lavorano è regolata

dallo sfruttamento, dalla crudeltà dei rapporti umani, si svolge la storia di Rosso, un ragazzo vittima

della violenza e della comunità malevola in cui vive. Innanzitutto è definito “malpelo” a causa del

colore dei capelli, simbolo per il basso livello culturale del paese, di cattiveria e sfortuna. Questo

atteggiamento di usare dei soprannomi cattivi e meschini è una necessità della comunità, per

etichettare e riconoscere un determinato soggetto.

Malpelo lavora nella cava insieme al padre, Mastro Misciu, che però sfortunatamente muore in un

incidente lasciando Rosso orfano e mira d’insulti e prese in giro da parte degli altri lavoratori.

Il ragazzo però non ha una coscienza abbastanza forte da permettergli di ribellarsi alle ingiustizie e

alle cattiverie subite. Nella novella, Verga ci mostra il “fatalismo meridionale”, ovvero quel

comportamento rassegnato, per cui i personaggi non hanno la forza e le capacità di cambiare la

propria condizione di vita, reagendo ai danni subiti. Perciò Malpelo vive questo stato di

frustrazione, senza alcun aiuto o supporto da parte degli altri lavoratori, ne tantomeno dal narratore

stesso, che utilizzando la tecnica della regressione, si abbassa al livello della comunità malevola

umile e incolta, che si scaglia contro l’individuo più debole, in una sorta di spietato darwinismo

sociale.

Perfino la sua famiglia si vergogna di avere un figlio come lui, perché anche loro lo considerano

cattivo e malizioso, tanto che la madre e la sorella lo picchiano quando torna a casa alla fine della

settimana, senza alcun motivo reale.

Rosso si adatta dunque all’unico ruolo con cui può sopravvivere in quel microcosmo chiuso e

ottuso, ovvero l’emarginato, l’animale (numerosi i paragoni tra il ragazzo e le bestie: “lo

schivavano come un cane rognoso”. “si lasciava caricare meglio dell’asino grigio”, o ancora

“mordeva come un cane rabbioso”) che alla fine però, non sopportando più le angherie subite,

decide di scomparire in silenzio, come ha sempre trascorso la sua vita, cedendo al terribile peso che

gravava sulle sue spalle. 5

Figura 4 Ragazzo minatore che esce da una cava.

L’esempio di Malpelo ci mostra come i ragazzi, soprattutto i più esili e indifesi, venissero utilizzati

nei cunicoli delle miniere, oltre a quali traumi psichici venivano sottoposti quotidianamente, come

gli insulti o le botte da parte dei datori di lavoro o degli operai.

L’INCHIESTA SONNINO-FRANCHETTI

Nel 1876, i politici Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, realizzarono un libro-inchiesta noto con

il nome “Inchiesta in Sicilia” per porre l’attenzione del governo sulla realtà meridionale, dal

problema del brigantaggio fino allo sfruttamento dei giovani siciliani nelle miniere di zolfo.

Le più famose miniere siciliane erano quelle nei pressi di Agrigento e Caltanisetta e il dovere dei

minori era quello di trasportare enormi quantità di zolfo appena estratto e successivamente di

lavorarlo.

I carusi, chiamati così per via della consuetudine di rasare completamente la testa dei giovanissimi

lavoratori, erano assunti fin dall’età di 8 anni, tramite il cosiddetto “soccorso morto”, attraverso cui

le famiglie ottenevano un prestito dai picconieri, ma poiché spesso e volentieri non erano in grado

di restituirlo, i loro figli restavano in condizioni di schiavitù per un tempo indeterminato.

I bambini lavoravano per circa 8-10 ore al giorno entrando e uscendo dagli stretti cunicoli delle

miniere, portando pesanti ceste piene di zolfo su gradini ripidi e irregolari, passando dal buio e

dalle alte temperature delle miniere, alla luce e al freddo dell’esterno, provocando gravi danni alla

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vista, alla corporatura ma anche all’apparato respiratorio per via dei gas liberati all’interno delle

miniere stesse.

I carusi erano costretti a compiere un determinato numero di viaggi al giorno, addirittura fino a 29

viaggi con carichi superiori ai 25 kg, per evitare le punizioni corporali che gli zolfari infliggevano ai

piccoli lavoratori, che le subivano ripetutamente anche per motivi futili.

La paga per questo disumano e faticoso lavoro era alquanto misera (neanche £1 al giorno) e molti

bambini, vivendo lontano dai luoghi di lavoro, dovevano dormire presso questi tornando a casa solo

la domenica. I proprietari negavano lo sfruttamento dei minori e perfino le famiglie stesse si

opponevano ad eventuali diminuzioni delle ore di lavoro che avrebbero portato a una riduzione dei

loro guadagni.

Il dolore fisico ma soprattutto quello mentale, segnò profondamente i migliaia di bambini che

dovettero subire questo incubo: molti morirono nelle miniere, altri si ammalarono gravemente e

pochi fortunati riuscirono ad abbandonare quella vita, senza mai poter rimuovere la sofferenza e gli

abusi subiti, e magari, una volta cresciuti, vedere i loro stessi figli vivere la stessa terribile

7

esperienza.

CHARLES DICKENS: OLIVER TWIST

“Oliver Twist” is a novel written by Charles Dickens between the 1836 and 1839 on the magazine

“Bentley’s miscellany”. The story is set in London and talks about Oliver, a young orphan who lives

many adventures in the city before he can find his real family.

Oliver was born in a workhouses, but he was a orphan so he was sent to an hospice of the Church,

where the master was an heartless woman with no feelings for the children; then the boy was taken

8

by a parish’s officer to another workhouse, but even here he wasn’t happy and he was sold like an

object to an undertaker, just because he asked for some more food.

Oliver didn’t want this life, he wanted a real family, so he run away and arrives in a little town near

London, where he met Jack, a little thief who brought our hero to Fagin, an old Jew who taught

children how to steal. Under Fagin’s control, Oliver was initiated into the criminal world: the Jew

obliged the boy to participate in a burglary, but he desperately said “Oh! Pray have mercy on me,

and do not make me steal. For the love of all the bright Angels that rest in Heaven, have mercy

upon me!". Oliver wanted to preserve his spiritual innocence, he didn’t want to be a little thief like

children were in Fagin’s world; Dickens also knew that it were legal institutions like workhouses

that by their brutality drove children like Jack to the illegal criminals world.

Oliver was pure and innocent, and this was the reason why he was adopted by Mr Brownlow and

then by his real family. In the story it was very important the role of Nancy, a friend of Oliver, who

was a little thief too, but she saw in Oliver her lost childhood that Fagin and Sikes, her lover, had

taken away from her. Her death triumphed above evil and corruption, and brought Oliver in a world

of love and protection.

Oliver can also represents the hope for all the children who was forced to live in the workhouse that

if you are really pure and you escape from crimes and evil people, you can find a new great life,

even if you are orphan, poor and alone, like Oliver Twist was.

LIFE IN WORKHOUSE

In 1834, just 3 years before Victoria became Queen, an act of Parliament called “The Poor Law

Amendment Act” became law. The commissioners thought that the “Old Poor Law” was inefficient,

and the parishes were too small to operate efficiently. As a result of this, many workhouses were

built to accommodate poor people: they were so similar to prisons and intended to be so hard and

hostile, that only extreme poor would have sought refuge in them. 9

It was hoped that workhouses would save the problem of poverty, as many rich people believed that

people were poor because they were lazy. Many families were so poor that hey were classed as

paupers, a term to describe people who had no money to support themselves.

Poverty was no caused by laziness, as rich people thought, but by unemployment, population

increase and high food prices.

In the workhouses, inmates were generally classed in 2 different groups:

-the Impotent Poor: very old or young people, with sick, blind or insane, all those unable to look

after themselves

-the Able-Bodied Poor: who had no work and no money.

As paupers arrived in the workhouses they were washed and their hair was cut short, then women

were divided from men and children; all their belongings were taken away and they were given a

uniform to wear for all day long. No inmate could leave the workhouses except permanently: sadly,

most of them died because of the terrible life conditions.

Figura 5 Cell’s workhouse in 1839.

A typical working day usually started at 6 o’clock in the morning and finished at 8’ o clock in the

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