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FONTI
Italiano : Baldi-Giusso-Razetti-Zaccaria, “Dal testo alla storia, dalla storia al
testo / la poesia,la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento” volume
3/2b, Paravia editore
Storia : Fossati-Luppi-Zanette, “La città dell’uomo, Il novecento” volume 3, Edizioni scolastiche Bruno
Mondatori
Diritto pubblico : Bobbio-Gliozzi-Lenti, “Diritto pubblico,lo stato,la giustizia e l’amministrazione”,
Elemond scuola editore
Scienza delle finanze : Rosa Maria Vinci Orlando, “Scienza delle finanze e diritto tributario”,
Tramontana editore
Informatica : Lorenzi-Giupponi, “Teoria dei sistemi operativi e delle reti,sistema informatico
aziendale”, Atlas editore
Inglese : Kiaran O’Malley, “Directions,gateway to the english-speaking world”, Lang Edizioni
ALTRE FONTI : Internet
www.google.it
www.wikipedia.it ITALIANO
L'ermetismo
Il termine, coniato da Francesco Flora nel 1936, rimanda all'idea di una magia della parola poetica. Alla
base di questo movimento, che ebbe come modello i grandi del decadentismo francese come Mallarmé,
Rimbaud e Valéry, si trova un gruppo di poeti, chiamati ermetici, che seguirono gli insegnamenti di
Giuseppe Ungaretti e di Eugenio Montale.
Il termine prende nome da Ermete Trismegisto,il quale nei suoi libri descrive alcune pratiche intrise di
mistero e magia e da ermes, considerato il dio del mistero inquanto accompagnava le anime nell'aldilà.
Con questo termine, nei primi anni del '900 si vollero indicare sia l'oscurità, a volte enigmatica, della
nuova poesia, sia il suo carattere selettivo, cioè di messaggio riservato a poche persone.
I poeti ermetici perseguono l'ideale di una “poesia libera pura” da ogni finalità pratica, senza scopo
educativo. Il tema centrale della poesia ermetica è il senso della solitudine disperata dell'uomo
moderno che ha perduto fede negli antichi valori, nei miti della civiltà romantica e positivistica e non ha
più certezze a cui ancorarsi saldamente. Egli vive in un
mondo incomprensibile sconvolto dalle guerre e offeso
dalle dittature per tanto il poeta ha una visione della vita
sfiduciata, priva di illusioni. Costoro rifiutano la parola
come atto di comunicazione per lasciarle solo il carattere
evocativo. La poesia degli ermetici è una poesia di stati
d'animo, di ripiegamento interiore espresso in un tono
raccolto e sommesso, con un linguaggio raffinato ed
evocativo che sfuma ogni riferimento diretto
all'esperienza in un gioco di allusioni.
Gli ermetici si servono della forma dell'analogia per rappresentare la condizione tragica dell'esistenza
umana isolandosi in uno spazio interiore a difesa dalla retorica fascista.
Appartiene al movimento ermetico il poeta Giuseppe Ungaretti. Possiamo considerare Ungaretti come
ermetico nella sua raccolta "Sentimento del tempo", successiva alla sua conversione al cattolicesimo, ma
questo non fa di lui un ermetico a tutti gli effetti. .
Nel campo della critica ermetica autorevole fu la figura di Carlo Bo che, con il suo discorso La
letteratura come vita del 1938, scrisse il vero manifesto ermetico parlando di poesia intesa come
momento dell'assoluto. Tra gli altri teorici e critici dell'ermetismo si ricordano Oreste Macrì, Giansiro
Ferrata, Luciano Anceschi e lo stesso Mario Luzi.
Nella seconda metà degli anni trenta maturarono a Firenze, intorno alla rivista Il Frontespizio e
Solaria, un vero gruppo di ermetici che, prendendo come riferimento Ungaretti, Quasimodo e Onofri, si
rifacevano direttamente al simbolismo europeo e si affacciavano alle più recenti esperienze di quegli
anni, come al surrealismo e all'esistenzialismo
Lo stile difficile e chiuso nella ricerca della forma analogica, insieme all'approfondimento di una
nascosta esperienza interiore, contraddistinse questo gruppo che, rifiutando in modo diretto ogni
impegno politico e sociale , cercava di staccarsi dalla cultura fascista. Tra questi giovani intellettuali,
alcuni assunsero posizioni antifasciste come Romano Bilenchi, Elio Vittorini, Alfonso Gatto e Vasco
Pratolini. La tradizione è la migliore alleata dell'ermetismo.
Salvatore Quasimodo
Biografia
Salvatore Quasimodo nacque a Modica il 20 agosto del 1901. Il padre
era ferroviere e dunque era costretto a spostarsi frequentemente con
la propria famiglia. Il piccolo Salvatore frequentò le prime classi a Gela
dove probabilmente scrisse le prime poesie. Subito dopo il catastrofico
terremoto del 1908 andò a vivere a Roccalumera, un piccolo paese che
si affaccia sul mar Jonio in provincia di Messina,dove Gaetano
Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione.
Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i
vagoni ferroviari. Un'esperienza di dolore tragica e precoce che
avrebbe lasciato un segno profondo nell'animo del poeta. Nella città
dello Stretto Quasimodo compì gli studi fino al conseguimento, nel
1919, del diploma presso l'Istituto Tecnico "A. M. Jaci", sezione fisico-
matematica. All'epoca in cui frequentava lo "Jaci" Quasimodo cominciò a scrivere versi, che pubblicava
su riviste simboliste locali. Nel 1919, appena diciottenne, Quasimodo lasciò la Sicilia con cui avrebbe
mantenuto un legame edipico, e si stabilì a Roma. In questo periodo continuò a scrivere versi che
pubblicava su riviste locali soprattutto di Messina, trovò il modo di studiare in Vaticano il latino e il
greco presso monsignor Rampolla del Tindaro. L'assunzione al Ministero dei Lavori Pubblici, con
assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria, assicurò finalmente a Quasimodo la sopravvivenza
quotidiana. Ma l'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi interessi letterari,
sembrò allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la prima volta, Quasimodo dovette considerare
naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche. Tuttavia, il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti
ripresi con gli amici della prima giovinezza, valsero a riaccendere la volontà languente, a far sì che
Quasimodo riprendesse i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi. Nasceva così in
ambito messinese il primo nucleo di Acque e terre. Nel 1929 Quasimodo si recò a Firenze, dove il
cognato Elio Vittorini lo introdusse nell'ambiente di Solaria, facendogli conoscere i suoi amici letterati,
da Alessandro Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio Montale, che intuirono subito le
doti del giovane siciliano. E proprio per le edizioni di "Solaria" (che aveva pubblicato alcune liriche di
Quasimodo) uscì nel 1930 Acque e terre, il primo libro della storia poetica di Quasimodo, accolto con
entusiasmo dai critici dell'epoca, che salutarono la nascita di un nuovo poeta. Nel 1932 vinse il premio
dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e nello stesso anno, per le edizioni di "circoli", uscì Oboe
sommerso. Nel 1934 Quasimodo si trasferì a Milano, che segnò una svolta particolarmente significativa
nella sua vita e non solo artistica. Accolto nel gruppo di "corrente" si ritrovò al centro di una sorta di
società letteraria, di cui facevano parte poeti, musicisti, pittori, scultori. Nel 1936 Quasimodo pubblicò
con G. Scheiwiller Erato e Apòllion (prefazione di Sergio Solmi) ancora un libro fortunato con cui si
concluse la fase ermetica della sua poesia. Nel 1938 lasciò il lavoro al Genio Civile e iniziò l'attività
editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che più tardi lo farà entrare nella redazione del
settimanale il "Tempo". Sempre 1938, per le "edizioni primi piani" uscì la prima importante raccolta
antologica Poesie, con un saggio introduttivo di Oreste Macrì, che rimase tra i contributi fondamentali
della critica quasimodiana. Il poeta intanto collaborava alla principale rivista dell'ermetismo, la
fiorentina "letteratura". Nel 1939-40 Quasimodo mise a punto la traduzione dei Lirici greci, che uscì
nel 1942 nelle edizioni di "corrente" e che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi
ripubblicata e riveduta più volte. Sempre nel 1942 presso Mondadori uscì Ed è subito sera. Nel 1941 gli
venne concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica
"G. Verdi" di Milano. Insegnamento che terrà fino all'anno della sua morte. Durante la guerra,
nonostante mille difficoltà, Quasimodo continuò a lavorare alacremente: mentre continuava a scrivere
versi, tradusse parecchi Carmina di Catullo, parti dell'Odissea, Il fiore delle Georgiche, il Vangelo
secondo Giovanni, Edipo Re di Sofocle (tutti lavori che vedranno la luce dopo la liberazione). Un'attività
questa di traduttore, che Quasimodo portò avanti negli anni successivi, parallelamente alla propria
produzione e con risultati eccezionali, grazie alla raffinata esperienza di scrittore. Numerosissime le
sue traduzioni: da Ruskin, Eschilo, Shakespeare, Molière, dall'Antologia Palatina, dalle Metamorfosi di
Ovidio; e ancora da Cummings, Neruda, Aiken, Euripide, Eluard. Nel 1947, edita da Mondadori, uscì la
sua prima raccolta del dopoguerra, Giorno dopo giorno, libro che segnò una svolta nella poesia di
Quasimodo, al punto che si parlò e si continua a parlare di un primo e un secondo Quasimodo. Di fatto
l'esperienza tragica e sconvolgente della seconda guerra mondiale, il profondo convincimento che
l'imperativo categorico fosse quello di "rifare l'uomo" e che ai poeti spettasse un ruolo importante in
questa ricostruzione, fecero sì che Quasimodo sentisse inadeguata ai tempi una poesia troppo
soggettiva, rinunciasse al trobar clus della sua prima maniera e si aprisse a un dialogo più aperto e
cordiale, soffuso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile. Dalle tematiche
prebelliche e postbelliche si passa a poco a poco a quelle del consumismo, della tecnologia, del
neocapitalismo, tipiche di quella "civiltà dell'atomo" che il poeta denuncia mentre si ripiega su se stesso
e muta ancora una volta la sua strumentazione poetica. Il linguaggio ridiventa complesso, più scabro;
Quasimodo media lessemi anche dalla cronaca, il ritmo si fa più secco, suscitando perplessità in quanti
vorrebbero il poeta sempre uguale a se stesso. Seguì nel 1958 La terra impareggiabile (Mondadori,
Milano), premio Viareggio. Ancora nel 1958 Quasimodo mise a punto l'antologia della Poesia italiana del
dopoguerra; nello stesso anno compì un viaggio in URSS, nel corso del quale venne colpito da infarto, cui
seguì una lunga degenza all'ospedale Botkin di Mosca. Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore
Quasimodo ricevette il premio Nobel per la letteratura e lesse il discorso Il poeta e il politico, venne
pubblicato l'anno dopo nell'omonimo volume (Schwarz, Milano 1960) che raccoglie i principali scritti
critici di Quasimodo. Al Nobel seguirono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore
incremento delle traduzioni. Nel 1960, dall'Università di Messina gli venne conferita la laurea honoris
causa; inoltre fu insignito della cittadinanza di Messina. Sempre nel 1960 sul settimanale "Le Ore" gli
venne affidata una rubrica di "colloqui coi lettori", che tenne fino al 1964, quando passò al "tempo" con
una rubrica simile. Nel 1966 Quasimodo pubblicò il suo ultimo libro, Dare e avere; un titolo emblematico
per una raccolta che è un bilancio di vita, quasi un testamento spirituale (il poeta infatti sarebbe morto
appena due anni dopo). Nel 1967 l'Università di Oxford gli conferì la laurea honoris causa. Colpito da
ictus il 14 giugno 1968 ad Amalfi, dove si trovava per presiedere un premio di poesia, morì sull'auto che
lo trasportava a Napoli.
Il poeta e lo scrittore
La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre (1930), è incentrata sul tema della Sicilia, terra natale
dell’autore che la lasciò già nel 1919: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone
l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (così in una delle
liriche più celebri del libro, Vento a Tindari). Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso