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Nel resto dell'Europa e nell'America settentrionale l’ industrializzazione si avviò con difficoltà
in quanto mancavano alcuni dei fattori la cui presenza aveva determinato lo sviluppo
tecnologico e industriale in Inghilterra.
In Italia il processo fu molto più lento (e soprattutto molto differenziato tra Nord e Sud della
penisola) per diversi motivi: il tardo conseguimento dell'unità nazionale, la mancanza di
materie prime e di un mercato coloniale, la carenza di manodopera dovuta all'emigrazione di
milioni di persone verso le Americhe e i paesi del Nord Europa. Il vero sviluppo industriale
italiano, ancora limitatamente a poche aree del Nord del paese, si ebbe solo all'indomani
della seconda guerra mondiale.
Il fermento tecnologico era sorretto da un ben determinato sostegno filosofico: l’ Illuminismo.
La fede nella ragione, la sperimentazione attraverso l’ esperienza, la ricerca scientifica di
Isaac Newton davano modo agli illuministi di ricavare una concezione del pensiero scientifico
per cui la ragione umana, attenendosi all’esame dei fenomeni, è in grado di procedere verso i
principi, fino a pervenire, come dimostrava la scoperta della legge della gravitazione
universale, a un quadro unitario del mondo fisico.
La Chiesa cattolica venne identificata come la maggiore responsabile della sottomissione
ragione umana nel passato, e la religione in generale, indicata come causa della
superstizione e del fanatismo.
L’ eterno conflitto tra religione e scienza assunse aspetti sempre più evidenti.
La chiesa cattolica aveva dominato come potenza indiscussa nei secoli passati, spesso la
religione si era vestita di abiti regali, talvolta aveva ceduto a compromessi di potere, ad
intrighi di corte, si era macchiata di orrendi crimini, ma annoverava tra i suoi sostenitori e
fedeli, personaggi di innegabile pregio, uomini e donne di fede, educatori devoti, cultori dell’
arte, studiosi delle lettere antiche e delle antiche Scritture.
La fede continuò a palpitare nel cuore dell’ essere umano, ma l’ evoluzione della conoscenza
doveva porre interrogativi che non sarebbero mai più stati messi in disparte dall’ intelligenza
umana, dalla sua incontenibile curiosità, dal suo desiderio di elevazione scientifica.
Sorsero allora, movimenti contrastanti: alcuni privilegiarono il sentimento, l’ unione con la vita
semplice e la natura, quasi infondendo nel Creato una spiritualità, ovunque diffusa e
trepidante.
Altri, privati della fede e del senso di eternità, pur anelato, rinchiusi nel crepuscolo di un’
esistenza destinata all’ oblio eterno, cantavano nei cimiteri la fugacità dell’ alito della vita, l’
ingiustizia della natura crudele, il nulla eterno.
In conseguenza della promulgazione, nel 1804 dell'editto napoleonico di Saint-Cloud che poi
fu esteso all'Italia il 5 settembre 1806 e che imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto
nei cimiteri e che non si facesse alcuna distinzione tra i defunti tra uomini comuni e celebrità,
si accesero le dispute sulla legittimità di tale imposizione, che cancellava definitivamente l’
unica memoria di grandezza di una storia trascorsa.
E poi ancora la forza della ragione, l’ esposizione cruda della realtà, il rifiuto dell’ idealismo
come visione del mondo secondo cui tutto ciò che è reale è già contenuto preliminarmente (a
priori) nella nostra mente. Come quelle filosofie, ad esempio il platonismo, che privilegiano la
dimensione ideale rispetto a quella materiale, affermando che l'unico vero carattere della
realtà sia di ordine spirituale. 5
Prenderemo in considerazione, in questa breve esposizione, alcune figure emblematiche
della ricerca letteraria e dell’ evoluzione storica del1800, e i loro aneliti tra scienza e
spiritualità.
Giacomo Leopardi Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837
Giacomo Leopardi fu uno dei più significativi rappresentanti del Romanticismo
italiano. Trattò nelle sue opere i temi centrali di questa corrente, come il sentimento
drammatico e doloroso della vita, l’ansia religiosa, la ricerca di un fine e di un valore
universale che dia un senso e un significato all’esistenza umana, ma furono temi trattati
comunque in modo pacato, lucido, misurato ed equilibrato.
Secondo Leopardi, l’uomo è soggetto alle leggi di trasformazione della materia.
Non solo è una creatura debole e indifesa, che dopo una vita di sofferenza si annulla
totalmente con la morte, ma è anche un essere insignificante nel contesto della vita
universale.
Ma se per i pensatori del '700 questa concezione era motivo di orgoglio e di ottimismo, per
Leopardi è invece motivo di tristezza e di pessimismo, perché egli avverte dolorosamente i
limiti della natura umana, tutta chiusa nella prigione della materia, in contrasto con l’innata
aspirazione dell’uomo all’assoluto e all’infinito.
Giacomo Leopardi è ricordato per il suo pessimismo, che trae origine dalla concezione
meccanicistica del mondo e dell’uomo, che egli aveva appreso dall’Illuminismo.
Inizialmente, il pensiero di Jean-Jacques Rousseau aveva guidato Leopardi verso
l’esaltazione della natura e delle illusioni, conducendolo ad una concezione sensistica nella
quale primeggia il problema della felicità
Le illusioni agiscono sull’uomo, originandosi da una determinata condizione dettata dai sensi.
È l’aspirazione al godimento, secondo la teoria del piacere, a scaturire qualsiasi umana
condotta, ma il piacere mai riesce a realizzarsi in assoluto, oscillando tra un continuo
desiderio e l’accettazione di un soddisfacimento perennemente illusorio. Il desiderio è sempre
infinito: all’uomo resta solo l’immaginazione per «concepire le cose che non sono» e credere
di porre fine alla sua sete di felicità.
L’adesione alla filosofia sensistica e l’accostamento al meccanicismo materialistico illuminista
indussero Leopardi a elaborare il concetto di pessimismo cosmico, la revisione, dovuta a un
progresso conoscitivo, di quell’atteggiamento agonistico verso il presente e il contemporaneo,
avvertiti come nemici e corruttori dell’autenticità della natura, conosciuto invece come 6
pessimismo storico. La natura non è più positività e bene, si trasforma in ostile e cieco vigore
indirizzato alla umana specie; solo la consapevolezza della verità e dell’endemica infelicità
dell’essere uomini riescono a svelare quanto effimere e vane siano le illusioni.
Nell'Infinito Leopardi si concentra decisamente sull'interiorità, sul proprio io, e lo rapporta ad
una realtà spaziale e fisica, in modo da arrivare a ricercare l'Infinito. L'esercizio poetico,
dunque, si pone come superamento di ogni capacità percettiva di cui la natura è il limite
(rappresentato dalla siepe). Tra la minaccia del silenzio (e sovrumani silenzi, e profondissima
quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura ) e la sonorità della natura (E
come il vento odo stormir tra queste piante), il pensiero afferra l'inafferrabile universalità
dell'Infinito superando la contingenza di ciò che ci circonda, che è l'esperienza fortemente
voluta dall'autore.
Il poeta, seduto davanti ad una siepe, immagina oltre questa spazi interminabili, che vanno
oltre anche la linea dell'orizzonte che la siepe in realtà nascondeva. Richiamato alla realtà da
un rumore, da una sensazione uditiva, estende il suo fantasticare anche nell'immensità del
tempo. L'Infinito, dunque, ha una duplice valenza: spaziale e temporale.
L'Infinito, nella visione leopardiana, non è un infinito reale, ma è frutto dell'immaginazione
dell'uomo e, quindi, da trattare in senso metafisico.
Esso rappresenta quello slancio vitale e quella tensione verso la felicità connaturati ad ogni
uomo, diventando in questo modo il principio stesso del piacere. L'esperienza dell'Infinito è
un'esperienza duplice, che porta chi la compie ad essere in bilico tra la perdita di sé stesso
(Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio versi 13 e 14) e il piacere che da ciò 7
deriva (e il naufragar m'è dolce in questo mare).
Per l'autore il desiderio di piacere è destinato a rinnovarsi; ricercando sempre nuove
sensazioni, scontrandosi inevitabilmente con il carattere provvisorio della realtà, per
terminare al momento della morte. Secondo questa teoria (teoria del piacere), espressa nello
Zibaldone, l'uomo non si può appagare di piaceri finiti, ma ha necessità di piaceri infiniti nel
numero, nella durata e nell'estensione: tali piaceri, però, non sono possibili nell'esperienza
umana. Questo limite, tuttavia, non persiste nel campo dell'immaginazione, che diventa una
via d'accesso ad un sentimento di piacere (espresso nell'ultimo verso) nella fusione con
l'infinità del mare dell'essere.
In Leopardi la scoperta e l'esperienza dell'Infinito sono processi immaginativi sottoposti al
controllo razionale. Il soggetto, cioè, crea consapevolmente il contrasto tra ciò che è limitato e
ciò che è illimitato (l'ostacolo e l'infinito spaziale), e tra ciò che è contingente e ciò che è
eterno.
Tale considerazione ci porta a contemplare quello che è il pessimismo dell'autore: egli è
consapevole della vanità del suo tendere, sa che tutto è frutto della sua immaginazione, per
quanto questa situazione sia dolce.
Leopardi e Dio
E' lecito parlare di religione nell'opera di Giacomo Leopardi, anche se il grande poeta di
Recanati e' stato spesso dipinto dalla critica unicamente come l'assertore del nulla e
dell'''infinita vanità del tutto''. Nel pensiero di Leopardi Dio e' sempre presente anche se non
lo riconosce oppure non lo nomina affatto. Lo afferma padre Ferdinando Castelli, critico
letterario della Compagnia di Gesù, autore di un articolo della rivista ''La Civiltà Cattolica ''.
Molte discussioni si sono, recentemente fatte sulla religiosità del Leopardi.
A questo proposito vorrei citare i due volumi di don Divo Barsotti, teologo e scrittore fiorentino
morto nel 2006 all'età di 92 anni.
Padre Castelli condivide il giudizio che vuole quella di Leopardi ''una religione priva di
contenuto dogmatico”, dunque priva di Gesù. Eppure, negli idilli Leopardi mostra
''l'aspirazione a una realtà trascendente; ciò che la vista provoca, il silenzio indica e il ricordo
suscita e' l'esistenza di un altro mondo che attrae tutta l'anima a se è già in qualche modo
misteriosamente si fa presente nel cuore''. Di qui il carattere ''eminentemente religioso, più
che filosofico'' del pensiero leopardiano. Dio dunque, nell'analisi di padre Castelli, rimane il
soggetto della poesia e del pensiero di Leopardi ''perche' tutto in lui rimanda a quello che e'
oggetto e fine del desiderio, tanto più presente e vivo, dolorosamente, quanto meno e'
creduto, quanto e' più negato''.
Se nei ''Canti'' e nelle ''Operette morali'' e' vano trovare un'adesione a Dio, nell'epistolario
questo rapporto e' ricorrente, soprattutto nelle lettere al padre Monaldo. Il poeta ringrazia Dio
per la salute, spera che Dio gli dia la possibilità di rivedere i suoi, lo chiama a testimone di
quanto dice, si rassegna alla sua volontà. ''Nella lontananza infinita di Dio, il poeta sentì che
la sua parola si perdeva soltanto nel silenzio '', scrive Barsotti, e la sua religione divenne
rivolta. Contro chi? Contro l'autore dell'empietà della natura, responsabile del dolore del 8
mondo e dell'umiliazione dell'uomo. Non e' il Dio della rivelazione cristiana, non e' la natura,
non e' un fantasma, poiché l'ansia d'infinito e' reale, come reale e' l'aspirazione
all'immortalità. E' Dio? Chi e' Dio? Di fronte a queste domande, afferma tuttavia padre
Castelli, ''Leopardi resta muto ''.
Differente è la concezione religiosa di:
Alessandro Manzoni Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873
il suo è lo sforzo continuo di spiegare razionalmente il reale alla luce della fede.
L'esperienza religiosa è legata a un impegno di chiarificazione intellettuale ed etica; la fede,
insomma, è strumento di conoscenza.
Egli così scrive in una lettera del 1828 a Diodata di Saluzzo:
«L'evidenza della religione cattolica riempie e domina il mio intelletto; io la vedo a capo e in