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Sintesi


Il cammino dell'uomo: il progresso e le sue interpretazioni
Estratto del documento

Prevaleva, nel mondo classico, piuttosto l’idea opposta a quella di progresso, termine che deriva sì dal latino,

progredior progressus,

ma con un significato diverso da quelli di e che non avevano alcun riferimento al

tempo e alla storia.

(E’ bene comunque precisare che, mentre per l’età moderna disponiamo di veri e propri testi filosofici

inscritti in un dibattito fra le varie posizioni, per la concezione del tempo nell’antichità possiamo riferirci

prevalentemente all’interpretazione di testi poetici, differenti da saggi filosofici sia per impostazione che per

finalità, e a quella dei miti, principali veicoli di domande e risposte essenziali sull’uomo.)

Anche solo la formulazione di teorie progressiste era preclusa da tradizioni e convinzioni profondamente

diffuse e radicate quali:

• La tradizione di una primitiva età dell’oro, ritenuta nelle diverse narrazioni mitologiche e religiose l’età

più felice per il benessere umano. Si tratta di un’età di lontanissimi progenitori cui gli dei stessi avevano

parlato e cui la natura era amica, e a paragone della quale tutta la storia successiva si configura piuttosto

come processo di decadenza. La prima attestazione del mito nel mondo greco la troviamo, sulla scorta della

letteratura sapienziale orientale, in Esiodo.

• Un giudizio sul tempo generalmente negativo. Secondo gli antichi il bene, il giusto, il vero stanno

nell'immutabilità: solo ciò che ha forma stabile e permanente è compiutamente realizzato; il tempo disturba

e corrompe; ciò che vive nel tempo è destinato a perire. Il divenire, nella filosofia classica, è pensato

secondo l'immagine del ciclo: tutto ritorna, niente di veramente nuovo si produce. Un esempio (certo non il

più significativo, in quanto derivato da teorie di altri e applicato solamente al campo delle istituzioni, ma

comunque a mio parere il più calzante all’interno del programma svolto quest’anno) di questa concezione

ciclica del divenire può essere considerata la teoria dell’ανακυκλωσις dello storico Polibio (II sec. a.C.)

• La convinzione di una necessità dell’accadere determinata da volontà e leggi superiori. Ecco che allora

τεχναι

anche formulazioni che esaltino le capacità e i progressi delle dell’uomo si trovano a tener conto di un

Prometeo

necessario destino che trascende le possibilità e la comprensione dell’uomo (è il caso del

Incatenato dell’Antigone

di Eschilo) o di leggi morali superiori che ne limitino l’agire (è il caso del 1° stasimo

di Sofocle)

Eschilo, Prometeo Incatenato (456 a.C.?)

Nella tragedia il Titano ribelle appare come protagonista positivo della vicenda, in quanto assurge al ruolo di

eroico difensore del genere umano di fronte all’onnipotente dominio di Zeus (presentato come un despota

assoluto e malvagio, ragione che fa sospettare la paternità eschilea della tragedia), che rifiuta di concedere

all’umanità la via del progresso.

Il coro delle Oceanine e il Titano Oceano richiamano inutilmente Prometeo a un comportamento rispettoso

degli dei. All’interno del coro c’è una contrapposizione tra ossequio alle leggi di Zeus e partecipazione alla

sofferenza del Titano: spia preziosissima per individuare il messaggio che Eschilo intendeva proporre al suo

pietas

pubblico. Egli convoglia tutta la simpatia dello spettatore su Prometeo sofferente, ma attraverso la del

coro insinua il richiamo a una condizione umana che comunque non è più quella dell’oro e che richiede, sulla

linea di Esiodo, l’accettazione del mondo così com’è, con i condizionamenti naturali e i limiti oggettivi che si

pongono quotidianamente al vivere dell’uomo e che fanno parte dell’ordine stabilito da Zeus.

Nel periodo tra ‘700 e ‘800 la figura di Prometeo diventerà il simbolo della lotta dell’uomo per la sua dignità

Prometeus Unbound

(si veda ad esempio il di P.B.Shelley , che si conclude con la disfatta di Zeus e

l’esaltazione del Titano).

Eschilo invece brucia in partenza quella che sarà la visione libertaria del mito cara ai romantici: in tutto il suo

teatro, muovendo dal riconoscimento della realtà, egli cerca di fondare un ordine di giustizia entro il quale le

antiche forze primordiali e i loro rappresentanti, dalle Erinni al benefattore Prometeo, restino operanti ma

subordinate, presenti e tuttavia marginali rispetto a un perno che abbia il suo punto di riferimento in Zeus

∆ικη. µαθος)

tutore di E’ attraverso il dolore che l’uomo impara (παθει a operare le sue scelte con saggezza

e apprende i limiti entro i quali definire sé stesso:

te/xnh d/ a)na/gxhj a)sqeneste/ra (v.514)

"la conoscenza tecnica è di molto più debole del destino"

Sofocle, Antigone (442 a.C.) - Il 1° stasimo

Prometeo Incatenato

I vv. 436-506 del contenevano una concezione di progresso umano come crescere

dell’Antigone

delle competenze tecniche. Un passo analogo è il primo stasimo di Sofocle.

all’Antigone

Uno dei significati sottesi è la condanna del senso di orgogliosa certezza e onnipotenza che

pervade i pensieri e le azioni degli uomini, quando si ritengono potenti, offuscando in loro la consapevolezza

del destino effimero e del limite imposto dagli dei come invalicabile (cfr. anche l’ tra Antigone e

a)gw/n

νοµος

Creonte sul umano/divino). L’esplicitazione di questo motivo tematico è affidata al celebre 1° stasimo:

una guardia ha riferito che qualcuno ha disubbedito all’ordine di Creonte coprendo di polvere il cadavere di

Polinice. Il coro degli anziani, sbigottito dall’ardire del fatto, tesse l’elogio appassionato dell’intelligenza e

δεινος

della capacità inventiva dell’uomo, esprimendone l’ambigua valenza con l’aggettivo (“meraviglioso” e

“terribile”): polla\ ta\ deina\ kou)de\n a)n-

qro/pou deino/teron pe/lei

"Molte sono le realtà eccezionali, ma nulla è più eccezinale dell'uomo"

Con la sua intelligenza l’uomo ha escogitato il modo di solcare il mare e di coltivare la terra; con inventiva

α9νη/ρ)

(περιφραδη∴ϕ ha appreso a cacciare gli animali terrestri e marini e ha posto al suo servizio il

bestiame domestico, cavalli e tori; ha sviluppato la parola, il pensiero, la capacità di difendersi dalle insidie

della natura, “provvisto di espedienti per ogni evenienza (παντοπορος)”; “mai sprovveduto (απορος

επ’ουδεν) va incontro al futuro”. Soltanto alla morte non riesce a sfuggire, ma alle malattie sa opporre

rimedi. L’esaltazione dell’intelligenza dell’uomo si chiude con una valutazione sul piano etico: questa genialità

inventiva, che si esprime in trovate tecniche sempre nuove e inattese, non è unicamente e indistintamente

positiva, perché si volge ora al male ora al bene. “Chi rispetta le leggi della terra e la giustizia inviolabile

degli dei è molto onorato nella sua città (υψιπολις), è indegno nella città (απολις) chi a causa dell’orgoglio

non segue il bene”.

Il richiamo alla moralità sociale del progresso umano va letto come risposta a una concreta esigenza

dell’Atene del tempo, in cui gli sviluppi intellettuali e le trasformazioni culturali in atto preannunziavano la

messa in discussione dei valori e la crisi dei criteri etici tradizionali. Una “interpretazione umanistica” del

progresso doveva essere diffusa ad Atene nella seconda metà del V secolo, frutto dell’affermazione del

relativismo dei valori etici propugnato dai sofisti.

Sofocle, facendo propria una tale prospettiva razionalistica, ne vuole indubbiamente mostrare i limiti: il poeta

non nega la positività del progresso, ma vuole insegnare che esso non deve essere indifferente ai valori etici

e religiosi. pietas

L’uomo può scegliere il bene o il male, la o l’empietà, e la sua scelta condiziona la sorte della città.

La svolta dell’Età Moderna e Contemporanea

Una novità rispetto al pensiero classico viene dal cristianesimo, per il quale l'avvento del Cristo rompe la

circolarità del tempo e distende su di una retta il destino dell'uomo, con un finale di redenzione (concezione

questa ereditata dall'ebraismo). La visione del cristianesimo medioevale sui destini ultimi dell’uomo

comunque escluse generalmente l’idea di un mondo terreno in corsa verso la perfezione; questa

apparteneva al mondo ultraterreno cui avrebbero avuto accesso, anima e corpo, gli uomini in grazia di Dio,

dopo la catastrofe della fine dei tempi. E’ però vero che tale nuova concezione racchiude in nuce un aspetto

fondamentale della concezione moderna del progresso: la nozione teleologica di futuro come "orizzonte

temporale di un fine determinato".

Il senso del necessario progresso intrinseco alla storia si fa invece decisamente strada nel Rinascimento. Già

(Cena delle Ceneri)

Giordano Bruno riconobbe nell'astronomia copernicana il segno della maturità raggiunta

dai moderni rispetto agli antichi. Ma si deve a Francis Bacon la prima formulazione di un’idea di progresso,

(veritas filia temporis),

concepita come risultato di un sapere che cresce nel tempo in virtù

fondamentalmente dell’accumulazione delle conoscenze scientifiche che accrescono il potere dell’uomo sul

(Novum Organum Scientiarum)

mondo. È di Bacone l’affermazione famosa che “la vecchiezza del mondo va

attribuita ai nostri tempi e non a quella giovinezza del mondo che fu presso gli antichi […] come da un uomo

anziano possiamo aspettarci una conoscenza molto maggiore delle cose umane e un più maturo giudizio che

non da un giovane”. Il concetto fu ripreso pressoché negli stessi termini da Pascal, per il quale “quelli che

noi chiamiamo antichi... formavano l'infanzia degli uomini”. Tra ‘500 e ‘600 il concetto del progresso è

comunque per lo più attribuito al piano teoretico: crescono le nozioni dell’uomo, ma non è detto che si

perfezioni il suo animo.

La decisa estensione del concetto di progresso anche alla sfera etica è invece opera precipua

dell’illuminismo settecentesco, convinto che la liberazione dell’uomo dai suoi errori teorici e dalle sue

superstizioni dogmatiche sia di necessità anche un affrancamento dalle cause della sua inferiorità morale

“Audes scire”):

(“giusto=razionale” e connubio etico-teoretico il progresso si afferma come criterio di

interpretazione globale della storia dell’umanità. Da allora la maggior parte degli indirizzi culturali e filosofici

di rilievo presentano un'impronta storicista e coltivano l'idea della progressività sia del sapere che delle

condizioni umane. Il concetto di progresso poi si differenzierà in due varianti antitetiche, illuministica e

romantica, cui possono essere ricondotte tutte le moderne filosofie della storia.

(1) La concezione illuministica intende il progresso come perfettibilità indefinita, dipendente dall'uomo. Essa

riconosce il carattere problematico delle conquiste realizzate dall'umanità, e vede nel progresso una

possibilità che richiede di essere attuata mediante l'opera degli uomini. Da questo punto di vista il processo

storico comprende anche

periodi di regresso e di decadenza. Sta all'uomo liberare la ragione dalle tenebre e dai condizionamenti che

la limitano, affinché essa possa rischiarare il suo cammino. Il progresso, quindi, secondo l'illuminismo, è

qualcosa di soltanto possibile.

(2) Per la concezione idealistico-romantica invece il progresso è necessario, iscritto nella vicenda delle cose,

e la conservazione del patrimonio acquisito dall’umanità automatico. La serie cronologica degli eventi è

quindi contraddistinta da un incremento costante di valore: ogni periodo di apparente regresso rappresenta

la condizione indispensabile di un ulteriore progresso. In tale maniera la successione degli avvenimenti, e di

conseguenza anche il progresso, è opera non più degli uomini, ma di un principio assoluto che governa

dall'interno la storia (e comunque accertabile dal pensiero umano). Non è indispensabile che il concetto della

storia come ordine provvidenziale si fondi sulla credenza in una provvidenza, immanente o trascendente, di

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