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distinta dall’istinto di conservazione. Ciò conduce il medico viennese ad
attribuire le cause della nevrosi al conflitto tra amore ed odio; ma, ancora una
volta, la struttura così costruita cede sotto la scoperta di fenomeni (come, ad
esempio, il sadismo) originati dalla fusione di questi due istinti. Il conflitto
irriducibile risulta infine tra l’Eros, forza votata a conservare ed arricchire la
vita, e la morte, che mira a ricondurre la vita alla pace prenatale attraverso il
decesso. Solo in questi termini potremo spiegare le fusioni ambivalenti come il
sadismo: esse costituiscono un compromesso tra queste due forze in perenne
lotta. Infatti il sadismo nasce dalla trasformazione, operata dall’Eros, di
un’estroversione dell’istinto di morte: il desiderio di morire diventa desiderio di
uccidere. Così, una pulsione nociva per la vita viene trasformata in positivo, in
modo tale da rispondere alla necessità di autoconservazione.
Ancora una volta, per rintracciare una possibile via di redenzione dalla
nevrosi, sarà necessario andare oltre il pessimismo di Freud, che vede
un’origine biologica in questo conflitto (e, pertanto, inestirpabile); né ci faremo
bastare il magro conforto offerto da Freud nella conclusione che la nostra
malattia è parte di una malattia universale della natura.
Questa conclusione, per di più, risulta in contrasto con quanto abbiamo
sostenuto finora (cioè che solo l’uomo è nevrotico). Infatti, pur dando per
scontato che, qualunque sia la natura del bipolarismo degli istinti, essa sussiste
nell’uomo come negli altri animali, troveremo una notevole differenza nella
modalità con cui, nei due casi, gli istinti si rapportano tra loro: “l’uomo si
distingue dagli altri animali per aver separato, e infine posto in lotta, alcuni
fattori della vita, gli istinti, che negli animali esistono in condizione di unità
17
indifferenziata o di armonia” . La necessaria distinzione che sussiste tra
animale e uomo, quindi, risiede nella sottile differenza che intercorre tra
dualismo e dialettica: l’umano dualismo degli istinti provoca la nevrosi; il
rapporto dialettico, al contrario, permette all’animale un “equilibrio psichico”
(per quanto possa apparirci singolare) originario e privilegiato. Piccola
differenza, dunque, che comporta prospettive radicalmente opposte: “dialettica
invece di dualismo significa metafisica della speranza invece che della
disperazione”.
La definitiva sconfitta del pessimismo freudiano, possibile grazie
all’argomentazione di Abraham circa l’ipotesi di una fase postambivalente,
permette l’idea di un ritorno all’originaria unità dei contrari.
Il ritorno ad una situazione primitiva di aggregazione indistinta, è
un’intuizione che attraversa le pagine della filosofia di ogni tempo, partendo da
Sfero,
Empedocle (che teorizza lo massa unica e compatta primordiale nonché
regno di Amore), e passando per Anassagora ed Eraclito, arriva fino a Marx ed
Hegel. In questi, secondo Brown, si rintraccia l’influenza delle concezioni
15
romantiche di Schiller ed Herder, dal momento che la storia dell’umanità viene
concepita come “distacco da una condizione di indifferenziata unità del Sé con
la natura, seguita da un periodo intermedio in cui le capacità dell’uomo si
sviluppano attraverso la differenziazione e l’antagonismo tra Sé e la natura
(alienazione), e da un ritorno finale a un’unità a un livello, o armonia,
18
superiore.”
La prospettiva, dal chiaro sapore mistico, che Brown si auspica (e noi con
lui) è la possibilità di redimersi dalla condizione di nevrosi universale attraverso
la riunificazione degli istinti contrari.
Ma come si possono unificare Vita e Morte?
2) Necessaria, a questo punto del nostro percorso, diventa la definizione
dell’istinto di morte. Freud, sotto questo generico nome, raggruppa tre diverse
principio del
categorie di fenomeni: il rapporto tra principio di piacere e
nirvana; coazione a ripetere; complesso sado-masochistico.
la il
principio del nirvana omeostasi)
Il (biologicamente definito come è la
tendenza, comune a tutti gli organismi, all’eliminazione delle tensioni ed al
raggiungimento dell’inattività, del riposo e, dunque, alla morte. L’evoluzione di
Freud lo ha portato da una concezione di sostanziale uguaglianza tra principio
di piacere e principio del nirvana, all’idea che quest’ultimo fosse connesso
all’istinto di morte. Questo perchè sembrava ovvio il nesso tra il principio di
piacere e la libido (l’Eros che, al contrario, tende ad arricchire la vita). Una
possibile soluzione alternativa si presenta nell’idea che “quel che a livello
organico appare come statico principio del nirvana, a livello umano si
19
manifesta come dinamico principio di piacere.” . Questo posizione mantiene la
continuità tra uomo ed animali, ma, nel contempo, ne riconosce la sostanziale
discontinuità. Infatti possiamo vedere l’omeostasi (principio del nirvana) come
quel principio della vita organica che sussiste nella condizione di soddisfazione
degli istinti, di una vita non rimossa (tipica del regno animale). Al contrario il
principio di piacere risulta essere una modificazione del principio del nirvana,
dovuta alla rimozione. Questa porta alla continua e dinamica ricerca della
soddisfazione degli istinti, finalizzata al recupero della salute psichica; ciò si
riflette nell’irrequieta aspirazione al principio di piacere, all’uomo faustiano che
crea la storia, ormai diviso dalla sua origine naturale. La storia si caratterizza
una volta di più come nevrosi, vale a dire un’inconscia tendenza all’abolizione
di sé che permetta il raggiungimento del riposo. In questi termini la
riunificazione del principio di piacere (Eros) e del principio del nirvana (morte)
rende possibile la fine del processo storico ed una vita soddisfatta, perchè non
rimossa. 16
coazione a ripetere
La è definita da Freud come quel fattore comune a tutte
le forme di vita organica che si manifesta prevalentemente nella tendenza
degli istinti biologici alla conservazione. Esempi possibili ne sono la migrazione
degli uccelli e dei pesci, le leggi dell’ereditarietà, ecc. A riprova di come negli
animali Vita e Morte convivano attraverso un rapporto di fusione dialettica sta
la convinzione browniana che in essi la coazione a ripetere (fenomeno
dell’istinto di morte) e principio dell’istinto di conservazione (e, dunque, della
vita) siano un tutt’uno. Ancora una volta, l’uomo costituisce un’infelice
eccezione nel panorama biologico; infatti in lui i modi di agire della coazione a
ripetere sono diametralmente opposti: “sotto il dominio della rimozione la
coazione a ripetere stabilisce una fissazione sul passato che aliena il nevrotico
dal presente e lo affida all’inconscia ricerca del futuro. Così la nevrosi
manifesta la ricerca di novità, ma sotto di essa, al livello degli istinti, c’è la
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coazione a ripetere.” La riprova più lampante di ciò sta nell’osservazione
freudiana: “nel caso delle esperienze piacevoli il bambino non si sazia di
ripeterle”, mentre per gli adulti “la novità è sempre condizione del godimento.”
La rimozione, dunque, trasforma la coazione a ripetere (che è fuori dal tempo)
in nevrosi, e per questo “fonda” il tempo stesso, ponendo inizio al processo
storico. D’altra parte lo stesso Freud riconosce come il tempo non esista nei
processi psichici inconsci.
Come già aveva sostenuto Kant, pertanto, il tempo è semplicemente frutto
della nostra soggettiva (in quanto uomini) visione della realtà; e quale riprova
più attendibile della soggettività del tempo se non la teoria della relatività di
Einstein? Ma se Kant sostiene l’impossibilità di cogliere il noumeno (la realtà in
sé), in quanto le possibilità umane di conoscenza della realtà dipendono dalle
innate ed eterne forme a priori di spazio e tempo, la psicoanalisi si caratterizza,
invece, come la scienza che ci dà la possibilità di sondare il noumeno di noi
stessi: l’inconscio. Il carattere tipicamente faustiano dell’uomo ci rende difficile
una concezione di eternità e riposo che si discosti dall’idea di cessazione di
ogni attività, e, dunque, di morte. Ma ciò a cui mira l‘abolizione della rimozione,
non è la sostituzione della vita con la morte, bensì “la possibilità di un’attività
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(vita) che sia anche riposo.” Ancora una volta le conclusioni di Brown ci
appariranno come paradossi, ma non dobbiamo dimenticare che le innovazioni
più folgoranti della psicoanalisi si basano proprio su questi oscuri ossimori,
come quello appena citato della nevrotica ricerca del passato nel futuro, o sulle
contraddizioni da cui origina (come vedremo) il complesso edipico. Questo
sistema dialettico, tendente a conciliare gli opposti, apparirà più plausibile
quando avremo scorto che la concezione di un’attività che sia al contempo
riposo, affonda le sue origini in pensatori come Aristotele, Boheme e Schiller.
motore immobile,
Aristotele, infatti, definisce Dio l’atto perfetto senza
movimento e, dunque, senza tempo; Boheme arriva oltre parlando dell’attività
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di Dio in “assenza di movimento” , e definendo la vita di Dio stesso come un
17
gioco, vale a dire un atto fuori dal tempo e non generato dalla mancanza;
Schiller, infine, ci avverte che “la realizzazione del nostro essere non deve
assumere la forma di una nevrotica irrequietezza […], ma di un’attività che,
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trascendendo i cambiamenti e il tempo, si mantenga in armonioso equilibrio.”
A questo punto ci apparirà chiaro che la distinzione freudiana fra le varie
forme di morte non è altro che l’espressione di una comune ricerca di completa
soddisfazione degli istinti ed abolizione della rimozione: l’abolizione della
storia, fine ultimo della coazione a ripetere, coincide con il raggiungimento del
nirvana, fine ultimo del principio di piacere.
complesso sado-masochistico
Ma solo il introduce nell’istinto di morte la
morte vera e propria. Tale complesso deriva dalla “intercambiabilità
dell’aggressività diretta all’esterno (sadismo) e di quella diretta all’interno
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(masochismo)” ; come già detto, l’aggressività diretta all’esterno si
caratterizza come una deviazione dell’aggressività masochistica, in modo che,
da negativa (poiché porta all’autodistruzione), divenga positiva. Ma, d’altra
parte, Freud ritiene di non essere contraddetto dalla scienza biologica quando
afferma che gli organismi muoiono per ragioni interne e che, pertanto, la morte
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è parte intrinseca della vita: “la meta di tutto ciò che è vivo è la morte.”
Dunque, l’umano dirottare l’aggressività verso l’esterno, il rifuggire l’istinto di
morte, non riconosce equivalenti in natura. Infatti, la massima freudiana
sembra suggerire che a livello biologico la vita e la morte non siano in lotta, ma
unicum,
che costituiscano un l’unità dialettica a cui si accennava in
precedenza. Ancora una volta emerge che la vita e la morte, unite a livello
organico, nell’uomo sono separate e poste in lotta. L’unicità del rapporto che
l’uomo instaura con la morte non nasce dal fatto che all’animale manchi la
consapevolezza di dover morire, bensì dal fatto che all’uomo manca la capacità
di accettare questo dato di natura; per esserne convinti, ci basterà pensare alla
millenaria storia della religione o agli infiniti tentativi dell’uomo di dare un
senso determinato alla propria esistenza. D’altro canto il creare la storia, come
già ripetuto, è prerogativa dell’uomo: contrariamente agli altri animali, non solo
non è in grado di accettare che la morte sia parte della propria vita, ma non si
serve nemmeno dell’istinto di morte nel momento in cui deve morire. Al
contrario egli costruisce “aggressivamente” culture immortali e crea la storia
per combattere la morte, trasferendo nella società il proprio desiderio di
sconfiggerla. Ci basterà pensare all’ottica hegeliana, ripresa da Marx, secondo
cui il lavoro, in quanto l’estensione del proprio essere nella natura, rappresenta