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componente dell’amore narcisistico dell’ infante verso di sé. Per la proprietà

transitiva, quindi, essendo che la scelta oggettuale porta il bambino a bramare

il possesso dell’oggetto desiderato, ed essendo scelta oggettuale e narcisistica

la medesima cosa, egli vorrà possedere tutto ciò che desidera. Ciò si traduce

nella ricerca dell’unione totale con l’esterno, in modo tale che gli oggetti che il

bambino desidera siano parte di sé.

Ma ciò, ovviamente, non è possibile; ad ogni modo, tenendo in

considerazione l’affermazione di Freud secondo cui “noi rinunciamo a un

oggetto amato (scelta oggettuale) solo a patto di poterci identificare con

15

l’oggetto perduto” , arriveremo a comprendere che il procedimento di

identificazione può avvenire attraverso il “passivo modellarsi del Sé in modo da

15

creare nello stesso Sé un surrogato dell’oggetto perduto” , e continuare così a

possederlo. (narcisismo illimitato)

Nell’unità che così si crea il bimbo non distingue più il

Sé dagli oggetti desiderati; amare gli oggetti esterni, quindi, coincide con il

narcisistico amore di sé. Questo è quanto accade, infatti, nel mito di Narciso, il

quale, per potersi vedere, necessita di una fonte in cui specchiarsi. Pertanto la

meta delle pulsioni dell’adulto, in cui questa fusione viene meno, sarà sempre

il ritorno allo stadio infantile in cui il bambino identifica la realtà con la madre e

sperimenta l’unione del proprio essere con un mondo di amore e piacere.

Ciò che impedisce a Freud di avanzare questa ipotesi è l’idea che il Sé e

l’Altro si escludano a vicenda: egli riconosce che l’Eros si dirige verso gli

oggetti esterni, ma non riesce a comprenderne la ragione, finendo per

attribuirla ad un non precisato “straripamento del serbatoio narcisistico”, di cui

egli stesso appare poco convinto.

L’unità che l’adulto nevrotico va dunque ricercando è il ritorno alla

condizione originaria in cui il bambino, al seno della madre, non distingue la

libido dell’oggetto libido dell’Io;

dalla pertanto la soluzione psicoanalitica alla

malattia dell’uomo risulta l’abolizione di ogni dualismo, nel ritorno a quella

preambivalente,

fase, detta in cui la fusione iniziale tra istinti deve ancora

essere interrotta.

Il giovane Freud vede questa idillica situazione di unione nella coincidenza,

al seno materno, di istinto dell’Io (istinto di autoconservazione, cibarsi) e istinto

sessuale; pertanto il conflitto in gioco risulta consumarsi tra economia e amore,

tra lavoro e gioco.

Il Freud più maturo, invece, cessa di attribuire la rottura dell’equilibrio alla

nascita del contrasto economia-amore, rintracciandola invece in quello tra Eros

(che, come detto in precedenza, coincide con l’istinto di vita) ed il suo

antagonista: la morte. Di qui il pessimismo freudiano, che affonda le sue radici

13

nella convinzione secondo cui l’ambivalenza vita-morte sia insita nella natura

umana stessa e che, pertanto, non sia guaribile. Gli studi di Abraham, al

contrario, dimostrano come l’insorgere della tendenza a mordere in modo

aggressivo il seno materno (fase collegata alla crescita dei denti) segni il primo

emergere del conflitto amore-odio, e che, pertanto, dal momento che esiste la

fase preambivalente, deve essere possibile il ritorno ad essa; o, per meglio

postambivalente.

dire, deve essere possibile il raggiungimento di uno stadio

La Morte

1) Arrivati a questo punto diventa necessario definire più chiaramente

istinto,

l’idea di analizzando in profondità il rapporto di ambivalenza tra gli

istinti e le possibilità che tale studio ci apre. Il termine istinto tende a suggerire

l’idea di un dato biologico inalterabile, che preclude pertanto la possibilità

all’uomo di poter modificare la sua ben definita natura. Questa concezione

dell’istinto risulta, però, come un rifiuto categorico di quanto affermato sinora,

e finisce per rendere definitivamente l’uomo un animale nevrotico in continua

corsa verso un piacere inconscio irraggiungibile. Ma riguardo la questione degli

istinti, la teoria freudiana appare a tratti oscura, tanto da portare lo stesso

Freud ad affermare: “gli istinti sono entità mitiche, grandiose nella loro

indeterminatezza”. Questi, però, risultano tanto vaghi quanto importanti: “non

possiamo prescinderne, nel nostro lavoro, un solo istante e nel contempo non

siamo mai sicuri di coglierli chiaramente.” Questa incerta concezione di istinto

può sopravvivere nella psicoanalisi, secondo Freud, perché, contrariamente a

quanto accade in una teoria speculativa, “una scienza empirica si accontenterà

di buon grado di alcuni sfuggenti e nebulosi principi di fondo di cui quasi non si

riesce a farsi un concetto, sperando che essi si chiariscano strada facendo e

16

ripromettendosi di sostituirli eventualmente con altri.”

Ricercando, però, anche solamente in modo generico, una definizione di

istinto, diremo che esso è un concetto che sta a metà strada tra lo psichico ed

il biologico: un rappresentante psichico degli stimoli originati dal corpo. Questa

considerazione ci porta a concludere che gli istinti, da una parte sono comuni a

tutti gli animali, dall’altra costituiscono una dualità antagonistica (riflesso del

contrasto ragione-fisicità, base della nevrosi).

Da queste premesse vediamo ora come la teoria dualistica degli istinti di

Freud abbia subito due radicali cambi di direzione. Ricordando quanto abbiamo

precedentemente detto, la teoria degli istinti nasce dalla constatazione di un

profondo conflitto nella vita psichica umana, che porta il giovane Freud a

riconosce i caratteri di tale lotta nell’opposizione tra sesso ed

autoconservazione; questa posizione scade quando la psicoanalisi realizza che

la libido narcisistica è volta verso il soggetto e quindi non può più essere

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distinta dall’istinto di conservazione. Ciò conduce il medico viennese ad

attribuire le cause della nevrosi al conflitto tra amore ed odio; ma, ancora una

volta, la struttura così costruita cede sotto la scoperta di fenomeni (come, ad

esempio, il sadismo) originati dalla fusione di questi due istinti. Il conflitto

irriducibile risulta infine tra l’Eros, forza votata a conservare ed arricchire la

vita, e la morte, che mira a ricondurre la vita alla pace prenatale attraverso il

decesso. Solo in questi termini potremo spiegare le fusioni ambivalenti come il

sadismo: esse costituiscono un compromesso tra queste due forze in perenne

lotta. Infatti il sadismo nasce dalla trasformazione, operata dall’Eros, di

un’estroversione dell’istinto di morte: il desiderio di morire diventa desiderio di

uccidere. Così, una pulsione nociva per la vita viene trasformata in positivo, in

modo tale da rispondere alla necessità di autoconservazione.

Ancora una volta, per rintracciare una possibile via di redenzione dalla

nevrosi, sarà necessario andare oltre il pessimismo di Freud, che vede

un’origine biologica in questo conflitto (e, pertanto, inestirpabile); né ci faremo

bastare il magro conforto offerto da Freud nella conclusione che la nostra

malattia è parte di una malattia universale della natura.

Questa conclusione, per di più, risulta in contrasto con quanto abbiamo

sostenuto finora (cioè che solo l’uomo è nevrotico). Infatti, pur dando per

scontato che, qualunque sia la natura del bipolarismo degli istinti, essa sussiste

nell’uomo come negli altri animali, troveremo una notevole differenza nella

modalità con cui, nei due casi, gli istinti si rapportano tra loro: “l’uomo si

distingue dagli altri animali per aver separato, e infine posto in lotta, alcuni

fattori della vita, gli istinti, che negli animali esistono in condizione di unità

17

indifferenziata o di armonia” . La necessaria distinzione che sussiste tra

animale e uomo, quindi, risiede nella sottile differenza che intercorre tra

dualismo e dialettica: l’umano dualismo degli istinti provoca la nevrosi; il

rapporto dialettico, al contrario, permette all’animale un “equilibrio psichico”

(per quanto possa apparirci singolare) originario e privilegiato. Piccola

differenza, dunque, che comporta prospettive radicalmente opposte: “dialettica

invece di dualismo significa metafisica della speranza invece che della

disperazione”.

La definitiva sconfitta del pessimismo freudiano, possibile grazie

all’argomentazione di Abraham circa l’ipotesi di una fase postambivalente,

permette l’idea di un ritorno all’originaria unità dei contrari.

Il ritorno ad una situazione primitiva di aggregazione indistinta, è

un’intuizione che attraversa le pagine della filosofia di ogni tempo, partendo da

Sfero,

Empedocle (che teorizza lo massa unica e compatta primordiale nonché

regno di Amore), e passando per Anassagora ed Eraclito, arriva fino a Marx ed

Hegel. In questi, secondo Brown, si rintraccia l’influenza delle concezioni

15

romantiche di Schiller ed Herder, dal momento che la storia dell’umanità viene

concepita come “distacco da una condizione di indifferenziata unità del Sé con

la natura, seguita da un periodo intermedio in cui le capacità dell’uomo si

sviluppano attraverso la differenziazione e l’antagonismo tra Sé e la natura

(alienazione), e da un ritorno finale a un’unità a un livello, o armonia,

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superiore.”

La prospettiva, dal chiaro sapore mistico, che Brown si auspica (e noi con

lui) è la possibilità di redimersi dalla condizione di nevrosi universale attraverso

la riunificazione degli istinti contrari.

Ma come si possono unificare Vita e Morte?

2) Necessaria, a questo punto del nostro percorso, diventa la definizione

dell’istinto di morte. Freud, sotto questo generico nome, raggruppa tre diverse

principio del

categorie di fenomeni: il rapporto tra principio di piacere e

nirvana; coazione a ripetere; complesso sado-masochistico.

la il

principio del nirvana omeostasi)

Il (biologicamente definito come è la

tendenza, comune a tutti gli organismi, all’eliminazione delle tensioni ed al

raggiungimento dell’inattività, del riposo e, dunque, alla morte. L’evoluzione di

Freud lo ha portato da una concezione di sostanziale uguaglianza tra principio

di piacere e principio del nirvana, all’idea che quest’ultimo fosse connesso

all’istinto di morte. Questo perchè sembrava ovvio il nesso tra il principio di

piacere e la libido (l’Eros che, al contrario, tende ad arricchire la vita). Una

possibile soluzione alternativa si presenta nell’idea che “quel che a livello

organico appare come statico principio del nirvana, a livello umano si

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manifesta come dinamico principio di piacere.” . Questo posizione mantiene la

continuità tra uomo ed animali, ma, nel contempo, ne riconosce la sostanziale

discontinuità. Infatti possiamo vedere l’omeostasi (principio del nirvana) come

quel principio della vita organica che sussiste nella condizione di soddisfazione

degli istinti, di una vita non rimossa (tipica del regno animale). Al contrario il

principio di piacere risulta essere una modificazione del principio del nirvana,

dovuta alla rimozione. Questa porta alla continua e dinamica ricerca della

soddisfazione degli istinti, finalizzata al recupero della salute psichica; ciò si

riflette nell’irrequieta aspirazione al principio di piacere, all’uomo faustiano che

crea la storia, ormai diviso dalla sua origine naturale. La storia si caratterizza

una volta di più come nevrosi, vale a dire un’inconscia tendenza all’abolizione

di sé che permetta il raggiungimento del riposo. In questi termini la

riunificazione del principio di piacere (Eros) e del principio del nirvana (morte)

rende possibile la fine del processo storico ed una vita soddisfatta, perchè non

rimossa. 16

coazione a ripetere

La è definita da Freud come quel fattore comune a tutte

le forme di vita organica che si manifesta prevalentemente nella tendenza

degli istinti biologici alla conservazione. Esempi possibili ne sono la migrazione

degli uccelli e dei pesci, le leggi dell’ereditarietà, ecc. A riprova di come negli

animali Vita e Morte convivano attraverso un rapporto di fusione dialettica sta

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