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Esami di Stato, a.s. 2008/2009
INDICE
Il lento cammino verso la scoperta del cervello
La mente: un universo meraviglioso
Cos’è la coscienza
Teoria neuronale ed altre
Perché siamo empatici
Cosa sono i neuroni specchio
- Storia
- Esperimenti
- Struttura
- Funzioni
- Disturbi
- Importanza scientifica e filosofica
Carattere evolutivamente vantaggioso
Comprensione, imitazione ed apprendimento
Empatia
Concetto del “sé” e del “noi”
Caduta dell’individualismo occidentale
Il dialogo: la forma biologicamente umana del linguaggio
Il teatro: la tipologia letteraria più immediata/spontanea
- Il teatro classico: la tragedia
- Mimesi e Catarsi
- Il teatro inglese: The Elisabethian theatre: Shakespeare
- Il teatro moderno: Pirandello
Neuroni specchio: conclusioni generali
PREMESSA
“Il cervello è più grande del cielo”
Emily Dickenson
Tempo fa, tra le pagine di una rivista scientifica che mi fa compagnia nei lunghi pomeriggi di
studio mi sono imbattuta in un articolo che trattava di alcuni neuroni chiamati “neuroni
specchio” (mirror neurons); l’argomento di per sé affascinante mi ha coinvolto in quanto una
delle scoperte più grandi fatte dalle neuroscienze negli ultimi trent’anni.
L’interesse suscitato da quelle poche righe mi ha spinto ad approfondire l’argomento e ad
appassionarmene tanto da volerlo proporre come ultimo “lavoro di auto-apprendimento
extra-curriculare” del percorso liceale.
Nelle ricerche che ho condotto, ho sempre rinvenuto, come dato peculiare di tale scoperta e
del modo con cui è stata affrontata l’integrazione dei dati scientifici con la loro implicazione
sulla filosofia, sulla psicologia o più semplicemente, con il loro apporto al più difficile e
primario tentativo di ogni essere umano, quello di comprendere se stesso, in relazione a tutto
ciò che ci circonda, perché solo capendo cosa ci disturba, cosa ci emoziona, cosa ci plasma e
ci forma possiamo capire chi siamo.
I neuroni specchi, fondamentali in questo processo di cognizione del sé e dell’altro da sé,
percepiscono istintivamente ogni messaggio che ci perviene dall’esterno ed in particolare dai
nostri simili e permettono di attivare la procedura di riconoscimento, confronto ed imitazione
(nel caso i cui si dimostri utile) con il fine ultimo del disvelamento della nostra personalità.
Essi sembrano dunque essere la chiave di volta per spiegare il nostro carattere
fondamentalmente sociale (nonostante guerre, odi , razzismi), un carattere da cui non
possiamo prescindere. Ci si trova così a dover rileggere criticamente gran parte della
filosofia contemporanea e del pensiero occidentale che ha trovato la propria fortuna,
soprattutto economica, puntando sulla indole egoistica ed individualista che sembrava
caratterizzare ogni individuo
Risulta immediato che il raggio di questa scoperta tange gli argomenti più svariati, tutti
enormemente interessanti, che spero di aver compreso, rielaborato ed interpretato nella
maniera più efficace.
Alla ricerca Il percorso di riconoscimento e comprensione della propria identità è stato per l’uomo,
della fonte del unica specie ad averlo conseguito, arduo e faticoso; ancor più complesso, tuttavia, è
pensiero risultato il tentativo di utilizzare il proprio corpo come una cassa di risonanza attraverso la
quale ascoltare l’eco dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, senza abbandonarci
istintivamente ad esse. Nonostante questo sia stato un obiettivo raggiunto dalla nostra
intelligenza, dal punto di vista scientifico i risultati non sono gli stessi: l’uomo ha
impiegato molti secoli ed ha dovuto percorrere strade fuorvianti per giungere a una
delineazione, quanto meno attendibile e logica di quale fosse la fonte di fenomeni come il
pensiero, la coscienza, le sensazioni o i desideri. Medici, filosofi, matematici hanno tentato
l’impresa di conferire un modello anatomicamente esatto ma per molti secoli questi
tentativi si sono rivelati fallimentari, apportando modifiche di scarso valore nel quadro
estremamente complesso che contraddistingue la nostra mente. Queste visioni, però, pur
essendo in numerosi casi errate e fuorvianti, si sono imposte con saldezza fino a diventare
dei veri e propri dogmi, dinanzi ai quali anche le menti più brillanti esitavano a
confrontarsi o a bandirle dalla torre della scienza, all’apice della quale si erano impiantate.
Accade così che pur essendo note l’esistenza e la forma del cervello già al tempo degli
antichi egizi, nei secoli che intercorrono tra la loro epoca e la nostra, le scoperte realmente
rilevanti abbiano riguardato quasi esclusivamente il XX secolo, proprio per la presenza di
quei dogmi filosofici, religiosi e popolari che hanno ostruito la scienza neurologica; è
interessante, quindi, ripercorrere i passi fatti in questi secoli dall’uomo cominciando
proprio dall’infanzia del pensiero scientifico.
La cultura degli antichi Egizi e la brama di conoscenza che li contraddistingueva e che li
Il primo uso motivati ad esplorare il mondo che li circondava e loro stessi, li ha portati anche ad
della parola interessarsi per primi in modo scientifico alla medicina ed in particolar modo all’anatomia.
“cervello” Frequenti sono stati i ritrovamenti di trattati medici che testimoniavano dettagliate
diagnosi, resoconti di operazioni, ricette per le cure; uno tra questi è il cosiddetto Papiro di
Edwin Smith, che probabilmente risale al XVII secolo a. C., nonostante esso registri una
scienza che è databile al terzo millennio a. C., cioè al tempo del Regno Antico. In questo
documento si parla per la prima volta di cervello e il geroglifico si ripete per ben sei volte.
Nonostante già nell’antichità si avesse una certa conoscenza di questo organo e lo si fosse
analizzato e sezionato (frequenti sono infatti anche i racconti di espianti e necroscopie),
non lo si considerava un organo primario ed ancor meno la sede dei pensieri e
dell’emozioni; difatti, nella maggior parte delle pratiche funerarie esso veniva asportato
dalle narici non essendo ritenuto importante per il passaggio nell’aldilà, mentre venivano
lasciati nel corpo il cuore, lo stomaco ed altri organi.
Nel corso dell’antichità e per molti secoli, le conoscenze anatomiche e la convinzione che
la localizzazione di quelle che oggi giorno vengono ritenute le funzioni nervose primarie
(pensiero, controllo muscolare, controllo involontario, emozioni, memoria ecc.) fosse
estranea al cervello non subiscono mutamenti di grande portata; tuttavia, vi sono stati
anche pensatori che si sono opposti al credo comune. Il primo a proporre il cervello come
sede cognitiva e di controllo è stato, per quanto sappiamo, un medico originario di
Crotone, vissuto attorno al 450 a. C.. Tuttavia il primo a criticare articolatamente la visione
cardiocentrica, secondo la quale era il cuore il centro propulsore dei comandi e dei
Il centro di pensieri, è stato Ippocrate (460 a.C. circa - 377 a.C. circa):
controllo: cuore
o mente? “Nonostante il cuore e il diaframma siano particolarmente sensibili, essi non hanno nulla
a che fare con le operazioni della comprensione. Per tutte queste la causa è il cervello.”
Anche Platone esprime un’opinione affine, seppur più ridimensionata: il filosofo di Atene
riteneva che l’anima (dal gr. ànemos “vento”), cioè il soffio vivificante, sostanza semplice
e incorporea che si muove da sé, ha la sua parte razionale nel cervello, che, avendo per
virtù la sapienza riveste quindi una funzione egemonica.
Ad un’altra scuola di pensiero, invece, fa capo Aristotele, secondo il quale era il cuore la
sede di comando del nostro corpo che inviava i proprio messaggi attraverso quella fitta rete
di canali che si diramavano da esso (egli non conosceva la distinzione tra nervi e vasi
sanguigni e li interpretava tutti allo stesso modo) e l’anima o psiche non era né materiale
(cioè non era il cervello o il corpo) e tanto meno immateriale (cioè lo spirito).
Nonostante la tradizione aristotelica sia stata molto influente, furono le teorie del medico di
Galeno: la Pergamo, Galeno (129-216) che egemonizzarono il sapere anatomico almeno fino al XVI
figura medica secolo. Il principio essenziale di vita, secondo Galeno, era lo pneuma e in base alla sua
più influente concezione lo spirito animale nel cervello controllava movimenti, percezioni e sensi,
dell’antichità mentre lo spirito vitale nel cuore controllava il sangue e la temperatura corporea, ed infine
lo spirito naturale nel fegato regolava alimentazione e metabolismo.
Addentrandosi maggiormente nella sua teoria si scopre che egli credeva che le funzioni
mentali fossero localizzate precisamente nei ventricoli cerebrali dai quali proveniva lo
pneuma e che da questi esso si insufflava nei nervi (considerati come dei tubicini cavi)
andando poi ai muscoli, che per la sua azione si sarebbero contratti. Egli riteneva, inoltre,
che i ventricoli fossero in numero di tre, invece che quattro come in realtà oggi sappiamo
essere, e di forma globoidale; tale errata convinzione gli derivava dal ritenere i due
ventricoli anteriori unificati e quindi come un solo ventricolo. Questa teoria, che venne poi
chiamata “delle tre celle”, sopravvisse, ampiamente accettata, fino agli inizi dell’Ottocento
e conservò gelosamente anche la la localizzazione delle funzioni, quelle funzionali ed
immaginative nella cella anteriore, quelle razionali, cioè la cogitatio nella cella centrale, e
la memoria in quella anteriore. Probabilemente una simile ripartizione era dovuta ad un
ragionamento sul flusso di pensiero o meglio su come si ordinano cronologicamente la
comprensione, l’elaborazione e la risposta: infatti, quando riceviamo uno stimolo esterno,
innanzitutto lo percepiamo e lo interpretiamo (per questo tali funzioni si troverebbero nella
cella anteriore), in seguito pensiamo e riflettiamo (cella centrale) ed infine riportiamo a
galla quei ricordi dall’esperienza che ci possono aiutare a rispondere nel modo più
adeguato allo stimolo (cella posteriore). Una delle prove che si davano del fatto che la virtù
“memorativa” risiedesse nella terza cella era l’osservazione secondo cui una persona di
solito alza la testa quando fa lo sforzo di ricordare: questo accade, si diceva, perché in tal
modo lo pneuma fluisce meglio verso l’ultimo dei ventricoli. Per quanto concerne, poi, il
midollo spinale, la tradizione galenica lo riteneva come un luogo di “efflusso” dei canali
nervosi che da esso poi si ramificavano per raggiungere tutti i muscoli del corpo.
Le acque della scienza medica si mossero soltanto intorno all’epoca rinascimentale,
Il Rinascimento: sebbene il più grande genio di allora, e forse di tutti i tempi, Leonardo da Vinci, che pure
l’apporto di praticava ampiamente il sezionamento dei cadaveri per studi anatomici, fosse in accordo
Leonardo e
Vesalio con la teoria galenica modificandola solo a proposito della forma dei ventricoli. Egli
infatti, iniettandovi della cera riuscì a provare che la loro forma non era globoidale, come
riteneva Galeno, ma molto più intricata e complessa.
Il contributo di Leonardo, quindi, seppur importante, non è risultato radicale, come invece
si sono dimostrate le idee del medico fiammingo Andreas van Wesel, più conosciuto come
Andrea Vesalio (1514-1564), che studiando a fondo la tradizione galenica ne fece emergere
gli errori (ben duecento), dimostrandone così l’obsolescenza; sulla base di ciò che
distrusse, ricostruì un ampio sapere che si poneva in modo critico circa i dogmi consolidati
e che rifiutava le teorie derivate da credenze religiose.
Si allontana invece dalla “retta via” lo studioso emiliano Marcello Malpinghi (1628-1694)
che, influenzato dalla così detta “ossessione della ghiandola”, era convinto che la corteccia
cerebrale fosse formata da tantissime ghiandole produttrici di un liquido che fluiva poi nei
nervi. Sostiene questa tesi anche lo studioso svizzero Albrecht von Haller che la amplia
asserendo che la corteccia cerebrale fosse omogenea e senza sostanziali distinzioni tra la