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Struttura semplificata del neurone, unità funzionale del

sistema nervoso. Il nostro cervello ne contiene circa dieci

mila miliardi, diversi per dimensione e forma. Tutti sono però

costituiti da un corpo cellulare ( soma/pirenoforo) dotato

degli organelli necessari per svolgere le funzioni di base. Dal

soma si dipartono due diversi tipi di prolungamenti: i dendriti

che ricevono i segnali in entrata, e l’assone che porta il

segnale in uscita fino al bersaglio. All’estremità dell’assone vi

sono i terminali assionici che contengono mitocondri e

vescicole membranose piene di neurotrasmettitori. Queste

estremità prendono contatto con le cellule bersaglio che

possono essere altri neuroni, ghiandole o muscoli. Il loro

punto di incontro è detto SINAPSI. Il neurone che rilascia il

neurotrasmettitore è detto presinaptico e la cellula che

riceve è detta postsinaptica. Gli assoni sono rivestiti di una

guaina mielinica dal caratteristico colore biancastro, ricca di

lipidi.

Nel 1998 G. Rizzolati e Arbib hanno scoperto che l’area di Broca, che ha un ruolo chiave nel

linguaggio, è particolarmente ricca di neuroni specchio. E con questo nuovo tassello la teoria del

linguaggio secondo cui le azioni hanno sintassi simile a quella del linguaggio parlato o della

lingua dei segni, e la teoria dei neuroni specchio si sono intrecciate.

Iacobini nel 2005 ha dimostrato che nell’uomo i neuroni specchio operano in gruppi ben definiti.

Abbiamo un insieme fondamentale di neuroni specchio corrispondenti alla forma essenziale di

un’azione ( come muovere un braccio) , che insieme si integra con altri gruppi di neuroni

specchio che si attivano selettivamente in base alla finalità percepita dell’azione ( esempio della

tavola e del tè: afferro per ere, afferro per sparecchiare). In altre parole una stessa azione può

essere eseguita con finalità diverse. Inoltre i neuroni specchio sono in grado di rendere possibile

la comprensione di una azione anche quando essa non è completamente visibile. Mediante la

simulazione, infatti, la parte nascosta dell’azione può essere riconosciuta e il suo scopo inferito.

Mentre se le azioni osservate non fanno parte del nostro repertorio e quindi non possiamo

nemmeno intuirne lo scopo, la simulazione lascia il posto a una descrizione puramente visiva

delle stesse. Pare quindi che vi sia uno stretto legame tra l’organizzazione motoria e la capacità

di comprendere le intenzioni altrui. L’attività coordinata dei sistemi neurali sensori-motorio ed

affettivo dà luogo alla semplificazione e alla automatizzazione del comportamento che permette

agli organismi di sopravvivere e le emozioni costituiscono una delle prime modalità di

conoscenza disponibili. L’implicazione di questo processo per l’EMPATIA è ovvio. In uno studio del

2003 di Wicker et al. è stato dimostrato che sia provare soggettivamente disgusto che essere

Quando lo specchio si appanna: l’autismo. Il possibile malfunzionamento dei

testimoni della stessa emozione espressa dalla mimica facciale di un altro attivano lo stesso

neuroni specchio nei casi di autismo è un’ipotesi particolarmente affascinante. Per

settore del lobo frontale: l’insula anteriore. Quando osserviamo l’espressione facciale di un altro,

molto tempo gli scienziati hanno cercato invano la causa e la natura di questo

e questa ci conduce a identificare nell’altro un determinato stato affettivo, la sua emozione è

disturbo. Ora sembra che l’inattività di questi neuroni possa spiegare i profondi

ricostruita, esperita e perciò compresa direttamente attraverso una simulazione incarnata che

problemi di linguaggio, apprendimento ed empatia che causano l’isolamento

produce uno stato corporeo condiviso dall’osservatore.

caratteristico delle persone autistiche. Gli studi più recenti indicano interruzione

nell’attività dei mirror neurons di base, sia di quelli complessi. Per esempio, i

ricercatori della Harvard Medical School hanno scoperto che i neuroni specchio attivi

nelle persone non autistiche quando osservano un loro simile compiere una azione

priva di significato con le dita, si attivano con frequenza molto inferiore nei bambini

autistici. L’assenza di risposte rifletterebbe un difetto di una delle funzioni più

elementari dei neuroni e cioè riconoscere le azioni altrui. In un secondo studio, ad

adolescenti autistici e non, venivano mostrate immagini di persone con una

caratteristica espressione facciale. I due gruppi di ragazzi potevano imitare le

espressioni e riferire quali emozioni esprimevano: gli adolescenti non autistici

mostravano una spiccata attività di neuroni specchio corrispondenti alle emozioni

espresse, attività assenti nei coetanei autistici che capivano le espressioni dal punto

La dimensione psico-pedagogica dei neuroni specchio.

Poiché l’uomo e le scimmie sono specie sociali, è facile comprendere il potenziale vantaggio

evolutivo di un meccanismo basato sui neuroni specchio che colleghi gli atti motori elementari a

una più ampia rete semantica motoria, permettendo così la comprensione diretta e immediata

delle azioni altrui senza ricorrere a meccanismi cognitivi complessi.

Neonati già a poche ore dalla nascita sono in grado di riprodurrei movimenti della bocca e del

volto degli adulti che li guardano. Il corpo del bambino a cui lui non ha accesso visivo, simula

quindi correttamente quello dell’adulto, ma non come arco riflesso.

È ovvio che i bambini così piccoli non posseggono alcuna capacità di simulare tramite inferenze,

per cui deve esistere una simulazione incarnata automatica fin dalla nascita. Questo processo

intersoggettivo che continua e si espande per tutta la vita potrebbe essere alla base del

rispecchiamento materno di cui parla Winnicott (1967) e anche del concetto di sintonizzazione

affettiva di cui parla Stern (1985). A partire dai 10 mesi alcuni bambini assumono una

espressione preoccupata quando un bambino o un adulto piange, e nei mesi successivi essi

fanno i primi generici tentativi di conforto. Neonati di appena 12 mesi sono capaci di anticipare

lo scopo di azioni compiute da altri se loro stessi sono già capaci di compiere quelle azioni, il che

dimostra che certe abilità cognitive dipendono dallo sviluppo delle abilità motorie. Verso i 18

mesi l’intenzione di dare aiuto a chi soffre si esprime attraverso forme più precise. A 3-4 anni

cresce l’abilità di assumere il punto di vista di altri.

L’empatia, la capacità di lasciarsi coinvolgere dalle emozioni degli altri, è una competenza

precoce, una sorta di programma innato parziale come lo è il pianto o la sensibilità alla voce

umana. In quanto programma parziale, però, ha bisogno di essere esercitato e coltivato nel

corso degli anni. Se si vuole che le prime tracce di empatia si consolidino in forme di altruismo e

solidarietà è necessario che i bambini vivano a contatto con persone altruiste e che siano da

queste incoraggiate i a capire i puti di vista diversi dal proprio. Alcune strategie e stili educativi

empatici possono essere:

- Promuovere giochi di ruolo, dove i bambini devono calarsi nelle parti e nei panni di altre

persone per capirne meglio caratteristiche ed esigenze.

- Partecipazione attiva e promozione del pensiero altruistico: indurre il bambino a prendersi

cura dei più piccoli o a tener loro compagnia mettendo in evidenza i sentimenti degli altri ai

suoi occhi

- Imitazione: la famiglia è il primo luogo che il neonato incontra; sarà dunque portato a imitare,

nei primi anni di vita, i genitori e i fratelli, motivo per cui un clima affettuoso genera nel

bambino desiderio di imitare le persone che lo circondano. Daniel Goleman

In questo modo si avvia il bambino verso lo sviluppo di quell’intelligenza che

“intelligenza emotiva”,

(1995) chiama cioè la capacità di trovare un equilibrio tra parte razionale

ed emotiva della nostra mente, utilizzando le emozioni per il supporto che possono dare senza

lasciarsene condizionare e finirne schiavi. Caratteristiche fondamentali sono: riconoscere i

sentimenti altrui e propri, sapersi auto motivare fronteggiando le frustrazioni, gestire

positivamente i vissuti emozionali ( emozione=appraisal consapevole).

Dopo l’ambiente familiare il bambino incontra quello scolastico: un nuovo mondo non più

racchiuso in quello strettamente familiare, ma aperto a nuovi spazi sia fisici che affettivi e

cognitivi. È qui che per la prima volta il bambino può incontrare la tensione, lo stress e la

frustrazione.

Verso una pedagogia dell’empatia.

Negli ultimi anni la psicologia umanistica si è molto impegnata a condurre studi e ricerche,

creando i presupposti concettuali per una nuova metodologia didattica grazie agli studi di

Maslow, Rogers, e Gordon. Le loro metodologie hanno come obiettivo la sana crescita della

persona e il suo benessere psico-fisico sin dall’infanzia. Per raggiungere questo fine è necessario

educare all’affettività con l’affettività, avviando l’allievo a conoscere meglio le sue potenzialità e

a saperle utilizzare in un clima di rapporti interpersonali positivi.

Per Rogers, ad esempio l’insegnante non deve essere solo uno strumento per la trasmissione di

nozioni e conoscenze ma deve anzitutto essere una persona autentica che copra il compito di

facilitatore che deve aiutare l’allievo ad “imparare a imparare”, (concetto che richiama alla

memoria BRUNER) in un clima di empatia e fiducia. Anche per Gordon la relazione insegnante

allievo è più importante dei contenuti culturali. Se l’alunno si sente incompreso o umiliato dal

comportamento dell’insegnante nei suoi confronti, anche le discipline più piacevoli possono

provocare un rifiuto alla cui base abbiamo demotivazione e disinteresse.

Per Jerome Bruner educare significa anzitutto trovare un equilibrio fra il benessere della

comunità e l’indipendenza dell’individuo e saper affrontare i conflitti con discussioni aperte e un

forte spirito empatico. Per Bruner la tradizione pedagogica occidentale rende poca giustizia

all’importanza dell’intersoggettività nella trasmissione della cultura. Secondo J. Bruner alla

conoscenza bisogna arrivare attraverso l’intersoggettività, un processo interattivo in cui le

narrazione

persone apprendono le une dalle altre attraverso la delle proprie esperienze e lo

scambio reciproco di informazioni. Infatti la realtà si costituisce attraverso i processi cognitivi del

singolo individuo, ma anche del gruppo. Per concludere i processi di apprendimento e

insegnamento sono delle interazioni tra diverse visioni del mondo che si incontrano in un preciso

spazio e in quel preciso tempo. Quella di Bruner è pertanto una pedagogia della reciprocità che

pone al centro dell’attenzione un lavoro di interpretazione su ciò che i docenti attribuiscono alle

menti degli allievi e su ciò che questi ultimi attribuiscono alle menti dei docenti.

Proprio parlando di intersoggettività bisogna sottolineare che la simulazione incarnata ne

costituisce un meccanismo cruciale e i diversi sistemi di neuroni specchio ne rappresentano i

correlati sub-personali: grazie alla simulazione incarnata assistiamo a una

azione/emozione/sensazione e parallelamente nell’osservatore vengono generate delle

rappresentazioni interne degli stati corporeo-mentali associati a quelle stesse

azioni/emozioni/sensazioni, “come se” stesse compiendo un’azione simile o provando una simile

emozione. La simulazione incarnata è una delle componenti alla base dell’intelligenza sociale.

Chi fece dell’empatia l’oggetto principale della sua ricerca fu Edith Stein, Allieva del filosofo

Husserl. La filosofa vedeva nell’empatia non solo un mezzo per aprirsi agli altri, ma anche, e

soprattutto, per conoscere Dio. L’empatia non era solo apertura alla relazione con l’altro, ma

esperienza dell’altro dentro di sé, e dunque riconoscimento, come fisionomia interiore, del bello,

del vero e del divino. Inoltre per la Stein l’empatia è possibile solo se esiste una corrispondenza

tra il mio essere e l’essere dell’altro. L’empatia è il mezzo per incontrare gli altri, ma anche

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