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suo animo. A lei lo spettacolo della natura era particolarmente gradito e caro, come

attesta un frammento:

”Scuote Eros il mio cuore, come vento sui monti si abbatte su querce”

Ultimi canti (1832-1837)

La_ginestra lotta natura paesaggio

Il tema centrale è quello della dell'uomo contro la e il stesso del

simbolo

Vesuvio, assume il della condizione umana. Il motivo primario è, come in altre

matrigna

liriche del poeta, quello della natura intesa come ma con la differenza che il

poeta sembra superare la sua solitudine soggettiva e trovare un nuovo concetto,

quello di fraternità. « Qui mira e qui ti specchia,

ed anche secol superbo e sciocco,

quell'atteggiamento Che il calle insino allora

combattivo, fondato dal risorto pensier segnato innanti

sulla ferma abbandonasti, e, vòlti addietro i passi,

accettazione del del ritornar ti vanti, e procedere il chiami »

"vero" . Già in

passato le verità essenziali sulla natura umana furono, dice il poeta, "palesi al volgo":

esse possono dunque tornare ad essere accettate e condivise da un'umanità che solo

su tali fondamenti può ricostruire un "onesto e retto" vivere civile, ponendo fine

all'insensata guerra che vede gli uni combattere gli altri, invece di unirsi per difendersi

Natura

dalla sempre minacciosa.

La colpa del male di vivere è quindi unicamente della natura, ma l’uomo non può e

non deve rifugiarsi nelle illusioni: deve affrontare il “vero” a testa alta, con coraggio ed

eroismo ed è per questo che il poeta si pone di fronte all’umanità come maestro di

questa verità e come negatore delle illusioni del “secol superbo e sciocco”. E’ questa

la poetica della Ginestra dove il poeta si apre agli altri in nome di una solidarietà

umana che allevia almeno in parte il male della vita. In questa lirica il Leopardi si

propone di smontare le illusioni sulla umana “possanza” e perfettibilità, ponendo gli

uomini di fronte alla cruda verità su una Natura crudele, matrigna a causa di tutto il

male del mondo. 9

I l sentimento lucreziano della natura ha un duplice volto, che trae origine dalla

dottrina epicurea, la quale unisce in sé principi di casualità e di necessità. Il poema si

può facilmente suddividere in tre parti, ognuna delle quali consta di due libri. Infine

ogni diade sviluppa un tema ben definito: i libri I-II trattano la teoria degli atomi; i libri

III-IV affrontano come argomento l’anima e le modalità con cui avviene la conoscenza;

i libri V-VI sviluppano la dottrina del mondo.

L

 a teoria degli atomi

Il I libro si apre con un lungo proemio che contiene l’inno a Venere, l’elogio di Epicuro,

la condanna della “religio”, ovvero della religione tradizionale che Lucrezio considera

superstizione, l’esortazione a liberarsi dall’angoscia che la paura della morte produce

nell’uomo e, infine, l’ammissione che è difficile esporre le oscure scoperte dei Greci in

versi latini a causa della povertà della lingua e della novità del contenuto. I motivi che

possono aver indotto Lucrezio ad iniziare il suo poema con un inno a Venere sono stati

oggetto di lunghe discussioni fra i critici, in quanto non è facile spiegare perchè

l’autore, che pur intende demolire la religione tradizionale, abbia sentito il bisogno di

invocare una divinitа fra le più tipiche del patrimonio mitologico. La spiegazione va

cercata non tanto nel tributo pagato da Lucrezio alla tradizione letteraria,che

considera necessaria l’invocazione alla divinità quando ci si accinge a scrivere un

poema, quanto piuttosto nell’ampio ventaglio di significati allegorici che essa si

prestava ad assumere in sè. Venere, infatti, può significare sia la potenza creatrice

della natura, sia il piacere in movimento che produce l’aggregazione e la

ricomposizione degli atomi. Infine non è del tutto da escludere che Lucrezio abbia

subito anche qualche suggestione di tipo empedocleo e che Venere rappresenti la

forza dell’amore che si contrappone a quella dell’odio, impersonata nel poema dalla

figura di Marte. Dopo l’inno a Venere, il proemio contiene l’elogio di Epicuro. Lucrezio

si addentra nella dottrina epicurea, descrivendo la teoria atomica attraverso la

dimostrazione che “nil ex nilo, nil in nilum” e cioè che nulla nasce dal nulla e che nulla

si trasforma in nulla. La realtà dunque è eterna, le cose si formano senza alcun

intervento divino, ma mediante un processo di aggregazione/disgregazione della

materia, o meglio, degli atomi che la costituiscono. Lucrezio,infine, come giа aveva

fatto Epicuro, introduce il principio del “clinamen”, la possibilià per gli atomi di deviare

dal moto rettilineo per determinare attraverso uno scontro con gli atomi la formazione

dei corpi.

L

 ’anima e la conoscenza

Il III libro affronta la teoria dell’anima. Lucrezio distingue fra “animus” o anima

razionale e “anima” o anima vegetativa. Partendo dalla constatazione che l’anima è

mortale, il poeta passa poi a rimuovere uno dei più grandi timori che rendono

angosciosa la vita dell’uomo: la morte. Questa non deve essere temuta dagli uomini,

10

perchè dopo la morte non c’è sofferenza. Il IV libro tratta la teoria della conoscenza,

che per Lucrezio avviene su basi sensistiche: dai corpi si distaccano le immagini che,

colpendo il nostro corpo, generano le sensazioni.

L

 a dottrina del mondo

Il V libro tratta le origine del mondo. Tutto è soggetto al tempo e quindi è destinato a

disgregarsi; gli dei esistono, ma non si occupano degli

uomini: vivono negli “intermundia”. Il VI libro contiene

nella parte iniziale ancora un elogio di Epicuro, sviluppa

il tema che tutto ciò che accade nella natura non è

dettato da alcun intervento divino. Nonostante le

premesse materialistiche del sistema epicureo, la

fantasia lucreziana tende irresistibilmente a

personificare la natura e le sue forze, ora presentandola

come madre amorosa e benigna, ora come matrigna e

ostile. Con questa varia concezione della natura si

accordano le visioni e i paesaggi che si succedono nel

poema (sia visioni idilliche, piene di rigoglio vitale e di

serenità, sia visioni selvagge e impervie, furia di

elementi scatenati, paurosi cataclismi. i fenomeni come

le tempeste, i terremoti, le eruzioni vulcaniche e

soprattutto la peste danno un senso di morte

precludendo all’uomo ogni speranza. Con questo EPIDEMIA ATENIESE

scenario di dolore e di morte, che sembra in palese

contraddizione con i principi fondamentali della filosofia epicurea, tutta protesa a

liberare l’uomo dalle angosce in cui spesso è costretto a vivere, si chiude tragicamente

il poema. Inoltre non va sottovalutato che la descrizione della peste ha un valore

episodico e vuol dimostrare che il flagello non è opera di una divinità corrucciata, ma

effetto di cause naturali.

Il de rerum natura rappresenta, al tempo stesso, l’esaltazione della natura e della sua

potenza e lo svilimento dell’uomo. Ponendo a confronto la sublime grandiosità e

l’infinità forza della natura con la meschinità e la debolezza dell’uomo, Lucrezio è

condotto a irridere la superbia e l’ignoranza delle umane genti, a commiserare la

condizione umana, a vagheggiare una vita primordiale in comunione con la natura. Di

rado la serenità promessa da Epicuro diventa oggetto di poesia, e comunque essa è

presentata come una salvezza solitaria, riservata a chi si isola dagli altri uomini,

oppressi dalle paure e dalle passioni. I mali che dominano i cuori degli uomini si

raccolgono sotto il segno della paura, dell’ansia e del tedio. L’ansiosa insaziabilità

investe tutte le passioni e le aspirazioni umane, rappresentate come brama febbrile

protesa verso una meta che non si riesce mai a raggiungere. Quando la meta del

desiderio ansioso sembra vicinissima, interviene un ostacolo esterno, oppure il tarlo

intimo del tedio, dell’inquietudine e del rimorso a vanificare le speranze. Tra le

passioni ansiose rientra l’amore, destinato a rimanere una brama eternamente

inappagata. 11

Il poema si apre con l’invocazione a Venere. Venere rappresenta il simbolo della forza

creatrice e fecondatrice della natura ed è quindi naturale che, sotto questa veste

simbolica, sia invocata all’inizio di un poema sull’origine delle cose.

Madre degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei,

alma Venere,che sotto gli astri vaganti del cielo vivifichi il mare sparso

di navi,le terre fruttifere,

poichè, per merito tuo ogni genere di essere vivente

è concepito,e una volta nato contempla la luce del sole:

te,dea,te fuggono i venti,te le nubi del cielo,

e il tuo arrivo,per te la terra feconda e soave

fa nascere fiori,a te ridono le acque del mare

e il cielo placato risplende di luce diffusa.

Più in là il Poeta si rivolge a Marte, invocato sotto l’aspetto naturalistico, come simbolo

dell’energia maschile creatrice della natura, come Venere simboleggia quella

femminile. Il poeta si rivolge a Venere affinché persuada Marte a ristabilire la pace,

Marte cui non dispiace reclinare il capo sul grembo di Venere.

solo a te è dato infatti concedere agli uomini il dono

della tranquilla pace, poiché della lotta cruenta

son gli uffici spietati commessi al potente ne l’armi

Marte, che sul tuo grembo sovente la testa reclina,

vinto per te d’amore per piaga che mai non si chiude,

il ben tornito collo poggiando, a te gli occhi solleva,

bramosamente fiso suggendo per gli occhi d’amore,

e dal tuo labbro pende del nume supino lo spirito.

Dopo l’invocazione degli dei cari al Poeta, segue il primo inno ad Epicuro al cui

pensiero filosofico si ispira. Lucrezio mette in evidenza l’aspetto della dottrina epicurea

che egli ritiene più importante, cioè quello di avere distrutto la superstizione e il

terrore degli dei, svelando la vera natura dei fenomeni naturali.

Mentre l’umana stirpe, aperto spettacol deforme,

su la terra giaceva schiacciata, chè, d’incubi grave,

la Religione, il capo sporgendo da l’alto dei cieli,

con orribile aspetto minace su i vivi incombeva,

primo fu un uomo Greco, mortale, che, alzando lo sguardo,

conficcoglielo in volto, incontro, a magnanima sfida;

nè degli dei la fama, nè folgori o rombi minaci

l’atterriron dal cielo, chè invece ancor più ne fu scossa

de lo spirto l’acuta potenza, e la brama più accesa

di spezzare per primo le porte sbarrate del mondo.

Il Poeta ritiene che la dottrina di Epicuro non sia empia perché annulla il ruolo degli

dèi negli eventi naturali. È invece dannosa la falsa religione come è dimostrato

dall’episodio di Ifigenia, fanciulla vergine sacrificata alle divinità per ottenere che la

flotta greca potesse salpare dal porto di Aulide. La religione è in grado di opprimere la

vita degli uomini, turbare ogni loro gioia con la paura: ma se gli uomini sapessero che

12

dopo la morte non c’è che il nulla smetterebbero di essere succubi della superstizione

religiosa e dei timori che essa comporta. A tal fine è necessaria una coscienza sicura

delle leggi che regolano l’universo, e rivelano la natura materiale e mortale del

mondo, dell’uomo e dell’anima stessa.

Nell’ambito del V libro una sezione della storia dell’umanità è dedicata alla nascita del

timore religioso, che sorge spontaneo per ignoranza delle leggi meccaniche, che

governano il corso regolare dell’universo.

Lucrezio espone l’idea atomistica della materia costituita da «germi primieri» che non

si possono dissolvere e che combinati insieme danno origine alle varie forme della

natura.

Ogni pianta, pietra, uomo è formato da atomi, e così persino l'animo umano; ed ogni

cosa è destinata a nascere e disfarsi in eterno; solo gli atomi sono immortali e non i

loro aggregati.

Pur avendo dimostrato scientificamente la mortalità dell’anima, e il fatto che con la

morte cessa per noi ogni forma di sensibilità, positiva o negativa, Lucrezio si rende

conto che questo non è sufficiente a distogliere l’uomo dal dolore di dover

abbandonare la vita. Per convincerlo dà la parola alla Natura stessa, che si rivolge

direttamente all’uomo:

Se la vita trascorsa è stata colma di gioie questi può ritrarsene come un convitato

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