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In questa tesina ho cercato di evidenziare il duplice rapporto che si crea tra l'uomo e la Natura, la quale è nel contempo madre e matrigna per l'uomo.
Materie trattate: Italiano, Latino, Filosofia, Inglese, Scienze e cenni di Fisica
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l’empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede."
Come Lorenz, Leopardi ritiene, dunque, che l’assenza di finalismo nella Natura implichi che
l’uomo si assuma le proprie responsabilità, specialmente verso i propri simili; gli uomini si sono
stretti “in social catena” proprio a causa dell’indifferenza della Natura, che è matrigna.
Ciò che differenzia, invece, Lorenz e Leopardi, è il sentimento che i due provano riguardo
all’assenza di scopo e di significati ultimi nella Natura: l’etologo e filosofo austriaco appare più
sereno rispetto al poeta italiano, il quale parla, invece, di “orror”. Lorenz ritiene, infatti, che sia
ben peggiore un mondo regolato da un piano prestabilito, poiché esso priverebbe l’uomo del
libero arbitrio e lo ridurrebbe ad uno stato paragonabile a quello di un burattino.
Infine, mentre per Hartmann (e, quindi, per Lorenz) l’insipienza che caratterizza l’uomo
sarebbe la convinzione dell’esistenza di un finalismo in natura, per Leopardi essa è l’errore che
l’uomo compie considerando nemici i propri simili anziché la Natura ed è anche la fede nel
progresso, criticata dal poeta:
"A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode 8
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami."
William Wordsworth (1770 – 1850) didn’t share Leopardi’s pessimistic idea of Nature. The
relationship between man and Nature is the faulty line at which Leopardi and Wordsworth split
in opposite directions. Leopardi teaches us how frail we are compared to tyrannous Nature,
and Wordsworth teaches us that we are equal, even superior, to beneficial Nature.
Wordsworth's faculty for drawing inspiration from everyday life and objects led him to a sort of
mystic belief, whereby man and Nature were different but inseparable parts of a whole
universe, a total scheme created by God, or rather by a Mighty Power. He affirmed that
Nature, far from being a decorative background or simply the mirror of a particular mood, was
provided with a spirit and a life of her own, present not only in plants and animals, but in
inanimate objects as well, such as stones and mountains. So, she was a living presence
speaking to all those who were able to enter into intimate relationship with her and understand
her language.
It was through a fusion with Nature, then, and through a quiet contemplation of her beauty,
that man could rediscover the image of God and become conscious of his own inner life, since 9
Man and Nature joined together perfectly as parts of one Mighty Mind. Nature, in fact, was a
friend and comforter to man, the only great teacher from which, by penetrating into her divine
essence, man could learn virtue and wisdom:
“Books! ‘tis dull and endless strife:
Come, hear the woodland linnet,
How sweet the music! on my life,
There’s more of wisdom in it.
And hark! how blithe the throstle sings!
He, too, is no mean preacher:
Come forth into the light of things,
Let Nature be your Teacher.
[…]
One impulse from a vernal wood
May teach you more of man,
Of moral evil and of good
Than all the sages can.
Sweet is the lore which Nature brings;
Our meddling intellect
Mis-shapes the beauteous forms of things: -
We murder to dissect.
Enough of Science and of Art;
Close up those barren leaves;
Come forth, and bring with you a heart
That watches and receives”. , 4 , 6 , 7 and 8 stanzas)
(“The Tables Turned”, 3 rd th th th th,
The mission of the poet was therefore to open men's souls to the inner reality of Nature and to the calm,
meditative joy she can offer us.
To sum up, we can consider a sentence that Wordsworth wrote in Lines composed a few miles
above Tintern Abbey, that is emblematic of his conception of Nature. In fact, he wrote that
Nature is “the anchor of my purest thoughts, the nurse, the guide, the guardian of my heart,
and soul of all my moral being” (“Tintern Abbey”, lines 108-111) 10
Nei libri V e VI del De rerum natura Lucrezio prende in esame i fenomeni naturali più rilevanti,
quali i venti, le precipitazioni, i fulmini, le eruzioni vulcaniche, i maremoti, le inondazioni e i
terremoti. Le conoscenze e gli strumenti dell’epoca, ovviamente, erano molto inferiori rispetto
a quelli attuali ma ciò che accomuna il tempo in cui visse Lucrezio e la modernità è il
medesimo desiderio di spiegare razionalmente e scientificamente i fenomeni naturali. A tal
proposito, si possono confrontare le teorie del poeta e filosofo latino con quelle attuali, che
offrono una spiegazione molto più esauriente dei vari fenomeni ma senza dubbio molto meno
poetica. fulmine,
Riguardo al che è l'esempio più
argomentato, il tentativo di Lucrezio di distogliere
il lettore dalle credenze religiose per portarlo al
ragionamento e al razionalismo scientifico diviene
sempre più evidente, tanto che egli contesta le
tesi antiche, piene di magia e fenomeni
ingiustificati.
Lucrezio, sposando la teoria atomistica di
Democrito, considerava il fulmine come dovuto al movimento di particelle molto piccole e
leggere che, proprio per la loro leggerezza, riuscivano a passare anche attraverso agli oggetti
materiali. In questo modo Lucrezio rendeva conto degli incendi alle volte appiccati dai fulmini
anche all'interno delle case. Il tuono e il fulmine, sempre secondo Lucrezio, avevano una causa
comune ma erano indipendenti: l'urto tra le nubi causava sia il rimbombo (tuono) che la
liberazione degli atomi leggeri che andavano a formare il fulmine. Questi tentativi di
spiegazione possono sembrare a prima vista inconsistenti, ma, se calati nel contesto culturale
in cui questo pensatore viveva, denotano una fervida fantasia e soprattutto una notevole
disposizione al ragionamento teorico come metodo esplicativo dell'osservazione empirica.
Tutte le idee avanzate dai filosofi del passato sulla formazione dei fulmini e dei tuoni, pur se
ammirevoli, erano destinate a fallire in quanto a loro mancava un ingrediente fondamentale
per la comprensione del fenomeno, cioè il concetto di elettricità, sviluppatosi e maturato solo a
cavallo tra il 1700 e 1800.
La moderna teoria sui fulmini
Oggi è noto che i fulmini sono una scarica elettrica tra nube e nube, tra nube e cielo o tra nube
e terra che si sviluppa a seguito dell'accumulo di cariche elettriche in zone relativamente
circoscritte dell'atmosfera. Il meccanismo che produce questi accumuli di carica non è ancora
del tutto noto e, molto probabilmente, ne esistono diversi che sono più o meno efficienti a
seconda della particolare condizione meteorologica nella quale hanno luogo. Quello che oggi è
11
assodato è che tutti questi meccanismi necessitano di intensi moti verticali delle masse d'aria.
Questo è il motivo per cui i fulmini sono più frequenti durante il periodo estivo piuttosto che in
quello invernale; infatti è in estate che i bassi strati dell'atmosfera si riscaldano maggiormente,
dando origine ai temporali che sono essenzialmente degli intensi moti verticali d'aria, la quale,
sollevandosi, si espande, si raffredda e, condensando, dà origine alle nubi e alle precipitazioni.
Un altro aspetto assodato riguarda l'importanza del ruolo assunto dalle precipitazioni, siano
esse costituite da gocce d'acqua o da particelle di ghiaccio, per la separazione della cariche.
Secondo una delle teorie attualmente più promettenti il fenomeno del fulmine avrebbe luogo
quando una grossa particella di ghiaccio (un graupel, embrione di grandine) si trova immersa
in un ambiente ricco di goccioline d'acqua sovrafusa (acqua a temperatura inferiore allo 0 °C
ma ancora allo stato liquido), di vapore acqueo e di piccoli cristalli di ghiaccio, tutti sostenuti
da una corrente ascendente. In questo caso, i piccoli cristalli di ghiaccio che urtano contro il
graupel cedono ad esso una piccola carica negativa, diventando, in seguito a questa cessione,
leggermente positivi. I piccoli cristalli di ghiaccio, portati in alto dalla corrente ascendente,
portano all'accumulo di cariche positive nella parte alta delle nubi mentre i graupel, cadendo
verso il suolo perché più pesanti, accumulano la carica negativa negli strati inferiori delle nubi
(si veda figura 1). Questo meccanismo è stato riprodotto con successo in laboratorio; inoltre
nelle nubi temporalesche è stata spesso osservata la stratificazione della cariche positive in
quota e negative vicino al suolo. A sostegno di questa teoria c'è anche il fatto che nelle nubi
estive si ha molto spesso la convivenza di acqua liquida e ghiaccio a temperature anche di
10°C, rendendo l'ambiente particolarmente favorevole al meccanismo stesso. Uno degli
svantaggi di questo modello esplicativo è che, pur se fondato su un meccanismo
effettivamente riproducibile in laboratorio, non è stato ancora integrato in una teoria generale
e coerente e non si sa se è abbastanza efficiente da rendere conto delle grandi quantità di
carica elettrica che si liberano in un temporale. Molto lavoro resta da fare ma le strade
imboccate sembrano promettenti e i mezzi attualmente a disposizione sono molto migliori di
quelli su cui potevano contare gli illustri scienziati che ci hanno preceduto.
Figura 1. Schema di funzionamento di uno dei più accreditati modelli esplicativi del meccanismo di
separazione delle cariche elettriche. L'efficienza di questo meccanismo è 12
fortemente dipendente dalla temperatura. Sperimentalmente si è verificato che vi
sono degli intervalli di temperature in cui il cristallo di ghiaccio più piccolo cede
al graupel una carica positiva anziché negativa, cioè il contrario di quanto
mostrato in figura.
Il comportamento dei fulmini
Se i meccanismi che portano alla separazione delle cariche non sono ancora del tutto chiari,
quasi compresa appieno è invece la struttura e l'evoluzione del fulmine stesso. Già nella metà
del 1900, infatti, le tecniche di fotografia erano abbastanza sviluppate da permettere di
riprendere la struttura e l'evoluzione del fulmine. Il fulmine, grazie a quelle tecniche
fotografiche che si basano su pellicole mobili, rivela chiaramente la sua natura di fenomeno
articolato che avviene secondo una successione di fasi distinte che giungono a compimento in
pochi millesimi di secondo. Quando a causa della repulsione elettrostatica la carica in una zona
della nube è tale da non essere più sostenuta, da lì inizia a svilupparsi un canale di
ionizzazione. Questo canale si sviluppa a scatti, allungandosi di una cinquantina di metri a ogni
passo, lungo la direzione che offre minor resistenza al passaggio della corrente. Questo canale
non è ancora il fulmine che noi conosciamo; infatti questa prima fase non è direttamente
osservabile ad occhio nudo poiché ogni "scatto" avviene in una piccola frazione di secondo:
troppo poco per i nostri occhi. Mano a mano che questo canale si avvicina alla terra o ad
un'altra porzione di nube, la terra o la porzione di nube iniziano a sentire l'attrazione
elettrostatica delle cariche e un analogo canale inizia a svilupparsi da questo punto incontro al