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Questa tesina di maturità descrive la motocicletta, la sua storia, effettuando alcuni collegamenti disciplinari con delle materie scolastiche: in Storia viene preso in considerazione il periodo compreso tra la seconda metà del 1800 e i nostri giorni, in Macchine invece vengono presi in esame il motore a due e quattro tempi (differenze e il loro funzionamento).
La tesina inoltre prende in considerazione la carriera sportiva del campione di motociclismo Giacomo Agostini.
Storia: La seconda metà dell'ottocento sino ad oggi.
Macchine: Motori a due e quattro tempi (differenze, funzionamento).
LA MOTOCICLETTA: STORIA ED EVOLUZIONE
L’invenzione del motociclo precede quella dell’automobile, anche se i vantaggi del motore a
scoppio proprio delle prime automobili costruite da Carl Benz e Gottlieb Daimler, furono poi
sfruttati dai progettisti di motociclette.
Andando a ritroso si può affermare che la storia inizia con due francesi: Pierre e Ernest
Michaux, i quali, costruirono a Parigi nel 1869, il primo motociclo a vapore denominato
“Scuoti ossa”. Gottlieb Daimler, che può considerarsi il padre del motociclo, anche se le
vicende si intrecciano e confondono tra l’invenzione dell’automobile e quelle della
motocicletta, nel 1885 costruì e fece funzionare su
strada un biciclo di legno con motore a benzina; nel
1886 il tedesco Hildebrand costruì una bicicletta che,
anche se era mossa da un motore a vapore, presentava
una struttura che sotto alcuni aspetti assomigliava a
quella di una motocicletta.
Benz il 29 gennaio del 1886 aveva già brevettato un
"Triciclo a motore" a scoppio, poi presentato al
Prima motocicletta di Gottlieb Daimler
pubblico il 3 luglio dello stesso anno.
Concorrente di Benz fu un assistente di Otto, Daimler che assieme al suo aiutante Maybach
modificò nel 1883-85 il motore a scoppio a benzina, realizzato da Nicolaus Otto il 10
novembre 1876. Benz, perfezionandolo ulteriormente, inserì il motore di Daimler e Maybach
in un veicolo a tre ruote e lo brevettò come "veicolo con motore a scoppio" il 3 luglio 1886.
I brevetti di tutti questi motori erano piuttosto deboli, non si poteva certo impedire di copiare
il sistema (che era il frutto di tanti cervelli) né impedire di mettere un motore a un veicolo di
qualsiasi tipo.
Presto l’apporto di innovazioni tecniche consentì di migliorare le prime moto: i pneumatici di
J. B. Dunlop (1840 – 1921), inventati nel 1888, aiutarono ad assorbire parte delle scosse e dei
colpi provocati dalla superficie stradale.
Problemi presentava la trasmissione, che era generalmente realizzata mediante una cinghia di
cuoio, la quale, tendeva a rompersi o a slittare con l’umidità. Il motore si metteva in moto
pedalando o con “avviamento a spinta” (in cui il motociclista spingeva il veicolo, correndovi
di fianco e saltando sulla sella quando il motore partiva).
Al 1880 risaliva il triciclo a motore. Alcuni potevano essere considerati quasi poltrone a
rotelle motorizzate.
Dopo l'invenzione del motore, il primo ad applicarlo su un veicolo a tre ruote fu il francese
Federico Millet, che brevettò il 22 dicembre del 1888 la "Bicyclette à petrol Soleil".
In Inghilterra, le leggi sulla viabilità del 1861 e 1865 avevano stabilito che tutti i motoveicoli
dovevano essere preceduti da un uomo con una bandiera rossa.
Nel 1896 l’abrogazione di quelle leggi eliminò le restrizioni che a lungo avevano paralizzato i
progettisti inglesi e in quello stesso anno Capel Holden brevettò un motociclo con motore
posteriore a 4 cilindri, dotato di spinterogeno a commutazione, azionato da una bobina e da
una batteria. Le bielle esterne azionavano direttamente le ruote posteriori per mezzo di rinvii
a manovella. Il carburatore a iniettore di
Butler del 1889, perfezionato da Wilhelm
Maybach (1847 – 1929) nel 1893, fu il
precursore di quelli ancora oggi in uso.
A ideare qualcosa di molto particolare nel
1898 fu Bouton che col “De Dion Bouton”,
Il "De Dion Bouton" realizzato nel 1898
realizza un motoveicolo, con motore posteriore e differenziale, capace di raggiungere la
velocità di 40 Km/h.
Da questa idea a dare l'impulso definitivo e a creare qualcosa di diverso furono i due fratelli
russi: i Werner. Emigrati a Parigi appresero l'arte sia del motore che della bicicletta;
costruirono un veicolo a due ruote, utilizzando l'idea di Bouton, ma abolirono posteriormente
una ruota e il sedile, riprendendo l'idea della bicicletta draisina, con il sedile sopra la forcella
della ruota posteriore.
La loro idea funzionò, anche se, all'inizio, dopo molti ruzzoloni (come per la bicicletta), si
arrivò ad avere l’equilibrio del corpo con impercettibili movimenti. Ne costruirono alcuni
esemplari e li misero in commercio il 17 gennaio del 1898. Fu Michele Werner a coniare la
allusiva parola; abbandonò il termine "biciclo a motore", e ritenne più corretto chiamarlo
Moto-Ciclo, o meglio ancora Motocicletta al femminile, perché ormai stava diventando
"l'amante" più desiderata dagli uomini di ogni ceto.
All'inizio del ‘900 il nuovo veicolo ebbe notevole diffusione. Si moltiplicarono i modelli per
opera dei francesi Rivierre, Fournier, De Dion, Rambaud, Gareau, Gillardot; dei tedeschi
Hildebrand, Wolfmuller; non mancarono gli
italiani con Figini, Lazzati, Castellazzi,
Rosselli, Edoardo Bianchi; infine gli inglesi
con i due fratelli Goyan e Stevens, che
fondarono la nota AJS, iniziando la
produzione in serie, ma anche la sfida con le
moto del continente.
In Italia nel 1909 nacque la Benelli, seguita
dalla Guzzi nel 1921, dalla Morini, dalla La "Ducati 60" prima motocicletta prodotta
Ducati, dalla Laverda, dalla Garelli, dalla dalla casa Bolognese
Motobi, dalla Mondial e da un’azienda che si
distinse e dominò la scena mondiale nel secondo dopoguerra per molti anni, sia per la
costruzione che per gli strepitosi successi sportivi della sua “MV”: la Agusta.
Negli Stati Uniti l’interesse per il motociclo crebbe a tal punto che nel 1905 entrarono nel
mercato la Indian e la Harley & Davidson: entrambe le società introdussero l’uso della
manopola sul manubrio per controllare l’acceleratore nonché l’anticipo e il ritardo
dell’accensione. La Indian da 1,75 cavalli del 1905
aveva un motore a un solo cilindro ricavato da un
blocco di fusione.
La produsse il suo primo motore a due cilindri a V
nel 1909 e da allora ha sempre usato lo stesso
schema in molti dei suoi motori. La costruzione di
queste moto americane avvenne su licenza H&D,
anche in Italia, per mano dell’italiana Aermacchi.
Nel 1914, il primato di velocità per motociclette salì
a 150,5 Km/h.
Classico esempio di Harley & Davidson Nello stesso anno l’esercito inglese iniziò ad
usare le motociclette per i suoi portaordini, utilizzandole nella versione sidecar che poteva
essere dotato di mitragliatrice.
Nel 1920, pressoché tutte le motociclette di grossa cilindrata usavano come trasmissione una
catena o un albero.
Apparirono i motori con valvole in testa e alcuni, come i 1000 cc della Harley & Davidson e
la Indian, avevano quattro valvole per cilindro. In Germania, la BMW produsse i suoi primi
motocicli con motori a due cilindri orizzontali contrapposti.
Verso il 1930, Viliers e altre industrie iniziarono a produrre una serie di motori a due tempi
monocilindrici: il due tempi, rispetto a quello a quattro tempi, ha meno parti mobili e la sua
manutenzione è più semplice.
Tra il 1920 e il 1930, il motociclo subì un cambiamento di carattere sociale, cessando di
essere una macchina e diventando un mezzo di trasporto utilitario e relativamente a buon
mercato.
Un passeggero poteva essere trasportato sul sellino posteriore e la motocarrozzetta forniva la
possibilità di trasportare fino a quattro persone. Nel 1937, una Brough Superior dotata di un
motore JAP di 1000 cc portò il record
mondiale di velocità a 275 Km/h.
E, ancora una volta, l’industria del motociclo
si preparava alla guerra: nel 1938 l’esercito
tedesco si avvalse di una BMW modello R
75 con motocarrozzetta, mentre, sia gli
alleati che i loro nemici costruirono
motociclette pieghevoli per le truppe
paracadutate.
Il dopoguerra fu caratterizzato dall’entrata in
produzione di motori più piccoli, a elevato
La "Brough Superior" che stabilì un nuovo record
di velocità nel 1937 numero di giri, che avviarono in Europa (e
particolarmente in Italia per iniziativa della Piaggio con la “Vespa” e la Innocenti con la
“Lambretta) la produzione in grande serie di motorette.
Mentre si affermavano grandi marche (specialmente le inglesi Triumph, BSA, Norton e
AMC), altre case più piccole erano costrette a chiudere.
In Italia Guzzi, Gilera e Benelli continuarono nella scia della vecchia tradizione, e ad esse si
affiancarono nuove marche.
Un po’ dovunque nacquero moto per impieghi specifici, come il motocross, la competizione,
e le corse su strada.
All’inizio degli anni ’60, la fabbrica giapponese Honda apparse sui mercati occidentali con le
sue piccole 50 cc a quattro tempi, seguita dalla Suzuki e dalla Yamaha, con motori a due
tempi.
Queste marche dominarono subito la scena con modelli che andavano dalla piccolissima 50
cc alla 750 cc a quattro cilindri che raggiungeva a i 210 Km/h
MOTORE A COMBUSTIONE INTERNA
Il motore a combustione interna (MCI) è definito come macchina motrice termica che
permette di convertire l'energia chimica, posseduta da una miscela aria-combustibile, in
lavoro meccanico disponibile all'albero. La conversione avviene nella camera di
combustione, dove i gas combusti spingono il pistone verso il basso, e a sua volta,
quest'ultimo fa ruotare l'albero motore. La miscela consiste in un combustibile che può essere
benzina, gasolio, GPL e altri derivati del petrolio, mentre l’ossigeno dell’aria funziona come
comburente. Il tipo di combustibile determina le caratteristiche del motore e quindi la sua
applicazione nei vari ambiti. L'invenzione del motore a scoppio può essere ricondotta a
Eugenio Barsanti e a Felice Matteucci, che già nel 1853 ne dettagliarono il funzionamento e
la costruzione in documenti e brevetti depositati in diversi paesi europei quali: Gran
Bretagna, Francia, Italia e Germania. Nei primi prototipi mancava la fase di compressione,
ovvero la fase di aspirazione terminava precocemente con la chiusura della valvola di
aspirazione prima che il pistone raggiungesse metà corsa, al che scoccava la scintilla e la
combustione spingeva il pistone per la restante corsa, approfittando poi della depressione per
farlo risalire. Come si può dedurre, questo ciclo era davvero poco efficiente. A rendere il
motore a combustione interna efficiente fu l'introduzione della fase di compressione.
Le prime applicazioni pratiche dei motori a combustione interna furono come motori marini
fuoribordo. Questo perché il principale impedimento all'applicazione pratica del motore a
combustione interna in veicoli terrestri era il fatto che, a differenza del motore a vapore, non
poteva partire da fermo. I motori marini non risentono di questo problema, essendo le eliche
esenti da un rilevante momento di inerzia. Dopo anni di sperimentazioni, solo nel 1899
apparvero delle vere frizioni in grado di far partire un veicolo terrestre da fermo senza
doverlo spingere manualmente: ciò diede l'effettivo impulso allo sviluppo dell'automobile e
della motocicletta.
I motori più utilizzati per la propulsione civile sono quelli a 2 o 4 tempi.
MOTORI 2 TEMPI:
Fu inventato da Dugald Clerk nel 1879, mentre la prima sperimentazione la si ha nel
1880 da parte di Karl Benz. Questo motore si differenzia dal più diffuso motore a
quattro tempi differente alternanza delle fasi attive in
principalmente per la
relazione ai giri dell'albero motore: infatti se nel quattro tempi si ha una fase attiva per
ogni due giri dell'albero, nel due tempi si ha una fase attiva (ovvero la fase in cui
avviene la trasformazione effettiva dell'energia chimica in termica e dunque cinetica,
detta anche espansione) per ogni giro completo dell'albero. Strutturalmente, il motore
a due tempi, di norma, non presenta le classiche valvole d'aspirazione e scarico,
sostituite dalle "luci", ovvero fenditure non circolari ricavate direttamente sul cilindro,
aperte e chiuse dal moto alternato del pistone.
Una caratteristica che distingue il motore a due tempi dal quattro tempi è quella di
poter funzionare perfettamente in entrambi i sensi di rotazione. Questo è permesso dal
fatto che le luci di scarico/travaso vengono aperte e chiuse dal pistone in maniera
speculare rispetto al punto morto inferiore, dove la luce di scarico è la prima ad aprire
e l'ultima a chiudere. Al contrario, nel 4 tempi la simmetricità non c'è perché deve