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Questa tesina di maturità si pone l’obiettivo di tracciare un quadro, sebbene parziale e privo di ogni pretesa di esaustività, dello stato dell’esperienza artistica in relazione e sullo sfondo storico della tecnica, così come è stata acutamente delineata dal filosofo tedesco Martin Heidegger. La prima parte della tesina è dedicata al chiarimento del significato che la tecnica assume in Heidegger, il quale fornisce una spiegazione di tecnica che non si riduce alla pura strumentalità dell’apparato tecnico, ma assume i caratteri fondanti del pensiero metafisico. La tecnica, nella visione heideggeriana, rappresenta l’ultima risposta che l’uomo dà alla domanda fondamentale della metafisica: perché l’ente piuttosto che il nulla? Questa risposta è però tragica perché se da un lato si presenta come la più efficace dal momento che realizza il dominio dell’uomo sull’ente, dall’altro rappresenta il compimento ultimo della metafisica occidentale, come oblio dell’essere. Sin da Platone l’occidente ha cercato di ‘’ontificare’’ l’essere, e questo tentativo nasconde la volontà da parte dell’uomodi assicurarsi il dominio sull’accadere dell’ente. La tecnica ha realizzato tale dominio con la razionalizzazione del mondo tutto supportato dalla tecnologia avanzata e dalle scienze applicate. Ma come rimprovera Heidegger «ciò che l’uomo nella sua essenza èl’ingannevole convinzione che attraverso la produzione, la trasformazione, l’accumulazione il governo e il governo delle energie naturali, l’uomo possa rendere agevole a tutti e in genere felice la situazione umana».
Dietro questa volontà di dominio non è impossibile scorgere la volontà dell’uomo di esorcizzare il nulla e con questo la debolezza estrema dell’uomo odierno, il quale venendo meno al problema della morte e non realizzandosi così nel proprio Dasein, nasconde in casa l’ «ospite inquietante» del nichilismo. Il senso dell’essere consiste invece in questo accadere dell’ente che sporgendo dal nulla si rivela come non-nascondimento, e quindi seguendo l’etimo della parola greca ἀλήθεια, come verità. Recuperare il senso dell’essere, pensato come «evento» significa recuperare soprattutto il senso dell’uomo e fare i conti con il nulla. Presso i greci il linguaggio poetico era la forza stessa del linguaggio metafisico (della metafisica autentica). Oggi la tecnica ha indebolito l’arte fino a farla svanire. Ma resta ancora qualcosa da sperare, l’arte continua ad essere quel luogo privilegiato nel quale si verifica l’incontro dell’uomo con l’essere, e ai «poeti» è affidato il compito più rischioso ma salvifico di incamminarsi sulle tracce dell’essere. Il linguaggio poetico sarebbe, infatti, secondo Heidegger, totalmente al di fuori del linguaggio, e quindi del pensiero tecnico, scientifico, filosofico e metafisico, e quindi avrebbe in sé la forza di far riconoscere agli uomini la loro condizione di indigenza, di «mancanza di fondamento».
Filosofia: Thomas Heidegger.
Italiano: Eugenio Montale.
Storia dell'arte: L'arte moderna.
condizionare la manifestazione, vi si dispone come
all’accoglimento di un Il dono provoca il pensiero come rin-
dono.
graziamento. La volontà di potenza vuole invece il terreno stabile
su cui sia possibile prender base e anticipare l’evento in modo tale
che il suo sopraggiungere non sia imprevisto, ma in qualche modo
19
atteso perché provocato».
L’ente non si presenta più nell’esporsi dal nascondimento ma in un disporsi come
“fondo (Bestand)” disponibile, come oggetto che sta davanti a un soggetto che anticipa e
predispone le modalità della rappresentazione, e non più come “dono dell’essere”, dal
momento che il pensiero scientifico di fronte all’ente non coglie la manifestazione
dell’essere ma l’oggetto della sua provocazione. Se pensiamo che la tecnica non cessa per
questo di essere un modo del disvelamento, comprendiamo che la tecnica come è stata de-
scritta fin qui è la modalità con la quale il reale si disvela oggi, e si disvela appunto come
“fondo”. L’uomo moderno il mondo nella maniera della tecnica, ossia come fondo a
abita
disposizione.
3. L ’
A SALVEZZA DELL ARTE
3.1. La via verso «...ciò che salva»
Con la tecnica l’uomo giunge alla realizzazione del padroneggiamento conoscitivo e
soprattutto operativo dell’ente, e si pone come soggetto-padrone. Ma non per questo,
come abbiamo sottolineato sopra, si tratta di un semplice superamento della metafisica,
bensì della sua realizzazione più compiuta e quindi di una maniera di relazionarsi
all’essere. Per questa ragione Heidegger si oppone risolutamente a quelli che considerano
la sua riflessione una critica “romantica” contro la meccanicizzazione del mondo in nome
del mondo idillico della .
φύσις
«Egli non sta contro la tecnica [...]Al contrario, Heidegger
vede nella tecnica, nel raccogliersi dell’esperienza epocale da
U. G , Feltrinelli, Firenze, 2005, p. 113
Heidegger e Jaspers il tramonto dell’occidente,
19 ALIMBERTI 12
essa rappresentata, nelle possibilità estrema, la via verso un
20
“altro inizio” ».
L’età della tecnica rappresenta l’approdo della metafisica al suo compimento e al
suo esaurimento, ma questa fine apre al contempo le porte a una comprensione della sto-
ria della metafisica e a un suo superamento. L’occultamento totale operato dalla tecnica
diventa al contempo la possibilità per il pensiero di ascoltare il richiamo dell’essere e di
corrispondervi, perché, come è detto nella conclusione della conferenza La questione della
tecnica
: «quanto più ci avviciniamo al pericolo, tanto più chiaramente
cominciano a illuminarsi le e tanto più noi
vie verso ciò che salva, 21
domandiamo. Perché il domandare è la pietà del pensare»
Heidegger, com’è ovvio, diffida da ogni percorso che sia da ricercare nelle forme
tradizionali dell’argomentazione filosofica e nei suoi derivati, dal momento che il suo lin-
guaggio è legato quasi irrimediabilmente all’ente, come campo di ricerca e di analisi. Egli
spera invece in quelle esperienze e in quei linguaggi nei quali è possibile rammemorare il
rapporto con l’essere: linguaggio ed esperienza di verità è l’arte.
par excellence
Heidegger intravvede l’esigenza di un pensiero poetante e rammemorante contrap-
posto al pensiero calcolante della tecnica, e questa esigenza si concretizza nel profondo
22 e nella riflessione che già a partire da
incontro con il poeta tedesco Hölderlin Introdu-
fino a intraprende sul linguaggio, non
zione alla metafisica In cammino verso il linguaggio
come mero strumento o oggetto di tematizzazione logica e scientifica (questa era la ten-
denza delle filosofie del suo tempo da Carnap fino al primo Wittgenstein), ma come “casa
dell’essere”, come apertura originaria nella quale l’uomo da sempre si trova e che non de-
termina egli stesso. L’opera d’arte, e in particolar modo la poesia dal momento che «ogni
arte è essenzialmente poesia», è una «messa in opera della verità» ; nell’opera d'arte l'ac-
cadere della verità si dà in una originaria, in un produrre che non si esaurisce nel-
ποίησις
la produzione ma intrattiene e mantiene un rapporto essenziale con il non prodotto
) sicché l'operare si caratterizza più come "attingere e un ricevere" che come un
( φύσις
produrre. L’arte rappresenta così una riserva inesauribile di senso contro la volontà di
dominio totalizzante della tecnica che sfugge alla dinamica del dono.
F. V , Laterza, Roma 1997pp. 51-52
Guida a Heidegger,
20 OLPI
M. H , in Mursia, Milano 1976. Cit., p. 27
a questione della tecnica, Saggi e discorsi,
21 EIDEGGER L
Hölderlin e l’essenza della poesia, 1936
22 13
L’arte è l’opera più pericolosa e allo stesso tempo l’«affare più innocente», è impo-
tente vale a dire senza intenzioni di assicurarsi un qualche potere sulle cose, ma allo stes-
so tempo la più pericolosa, tragicamente rivelatrice, perché rivela quella violenza origina-
ria dell’uomo di dominare l’accadere del mondo. Scrive Heidegger: «Il porsi in opera della
verità apre il prodigioso, rovesciando l’ordinario e ciò che è mantenuto come tale . la veri-
tà, aprentesi nell’opera, non trova in ciò che è durato finora né fondamento né giustifica-
zione. Ciò che è durato finora non trova nell’opera che la confutazione della sua realtà
esclusiva. Ciò che è instaurato dall’arte non trova né contrappeso né compenso in ciò che
23
è immediatamente presente e disponibile»
Va da sé, quindi la morte dell’arte dal momento che ogni produzione artistica au-
tentica e siffatta risulta inadeguata, inintegrabile e incomprensibile ad un pensiero che si
rapporta agli enti nella sola misura in cui questi possono essere pre-vedibili e producono
gli effetti desiderati perché provocati. L’opera d’arte si realizza allorché si verifica “lo spa-
lancarsi, nel mezzo dell’ente, di un luogo aperto, nella cui apertura ogni cosa è diversa
dall’abituale” e con esso la mancanza da parte dell’uomo del potere di “conservare l’essere
come misura”, cosicché ogni opera d’arte “non consiste nel produrre effetti” ma “in quel
mutamento del non-esser-nascosto dell’ente che è connesso all’opera: cioè in un muta-
mento dell’essere” . Chiariamo però che la sentenza “morte dell’arte” non va intesa come
scomparsa definitiva dell’arte, ma come impossibilità a vivere e a operare all’interno del
pensiero della tecnica, che può assorbirla solamente nella forma dell’ «industria cultura-
le» come denunciava Adorno. L’arte non può sussistere all’interno della civiltà della tec-
nica, può piuttosto può sopravvivere in maniera epigonale e negativa, continua-
in-sistere,
re a vivere nella consapevolezza della propria morte. È questo forse il compito più arduo
che l’arte si sia trovato ad adempiere nel corso della storia dell’arte e della civiltà, il com-
pito di chi deve vivere per denunciare la propria morte, nella consapevolezza di non poter
produrre una civiltà, una storia ma soltanto, semmai, una contro-civiltà e una contro-
storia.
Si rivela più che mai illuminante Argan nel chiarire il concetto hegeliano di morte
dell’arte quando afferma che si tratta di «qualcosa di più e qualcosa di meno della morte
dell’arte: qualcosa di più perché non è soltanto un’assenza, ma una presenza contraria,
qualcosa di meno perché implica pur sempre un’attività artistica, benché di segno contra-
24
rio»
M. H in Mursia, Milano 1976
, L’origine dell’opera d’arte, Saggi e discorsi,
23 EIDEGGER
G. C. A , Laterza, Roma 1984, p.119
Arte e critica d’arte,
24 RGAN 14
3.2. Linguaggio e immagine
È importante notare come la riflessione sulla tecnica non sia indipendente dal lin-
guaggio e come l’appellarsi a un linguaggio originario sia conseguenza immediata delle
riflessioni fatte, giacché ogni qual volta Heidegger parla di tecnica, non riduce questa,
com’è stato chiarito fin da principio, all’operare tecnico o ancor peggio all’apparato tecni-
co con il quale l’uomo opera, ma la intende come modo del disvelamento e questo è già
nel senso del vale a dire come raccoglimento tre modi dell’esser-
λόγος, λέγειν,
responsabile sopra menzionati da parte dell’uomo (la che produce: λέγειν
causa efficiens)
significa in greco riflettere, considerare e anche dire. Ma anche il discorso sulla tecnica
moderna viene condotto in riferimento a una particolare configurazione del come
Ge-stell
25
immagine , ossia come piano rappresentativo dell’ente, che a partire da Platone viene in-
ἰδέα
terpretato come (aspetto, figura, ciò che in genere ci si prospetta visibilmente) fino a
Cartesio che pensa l’ente come l’oggettività del rappresentare, quindi come surrogato di
un soggetto che risolve tutta la realtà in immagine, vale a dire nella sua rappresentazione
calcolante. Anche questa riflessione sul concetto di immagine, sebbene Heidegger utilizzi
il termine immagine come un metafora filosofica, si rivelerà estremamente pregnante
nell’ambito di un discorso sulle arti, in particolar modo, com’è ovvio, delle arti figurative.
4. M ONTALE E LA QUESTIONE DEL DONO
4.1 Tra esistenzialismo e ricerca dell’essere
Alla luce delle riflessioni condotte vogliamo ora soffermarci nel tentativo di scorge-
re un esempio di questo linguaggio poetico del dono nelle parole del Grande Ligure, Eu-
genio Montale, il quale sembra conservare nei suoi versi moderni ma originari la ricerca
di una relazione donativa tra l’io e l’essere, che assume sovente una connotazione di “tota-
le disarmonia”. Diciamo subito che esiste una affinità, sebbene questa non sia mai stata
esplicitata dal poeta, tra la visione dell’uomo nel mondo di Montale e quella di Heidegger,
entrambi considerano l’uomo come gettato in un contesto già determinato, l’unica diffe-
renza sta nella posizione che l’io assume nei confronti di questa realtà: per Heidegger
l’essere-nel-mondo equivale a quella apertura del mondo nel quale apre anche se stesso, a
Heidegger affronta approfonditamente la questione in un saggio dal titolo significativo L’epoca
25 in La Nuova Italia, Firenze 2000
dell’immagine del mondo Sentieri interrotti, 15
quella illuminazione che dà significato alle cose in virtù dei suoi progetti, e quindi
l’essere-nel-mondo costituisce un rapporto attivo e progettuale nei confronti della situa-
zione, che Heidegger chiama dacché esistere nel mondo significa progettare,
comprensione,
e il progettare si fonda sulle possibilità che all’uomo sono offerte dal mondo, e che vengo-
no comprese; Montale invece si pone piuttosto in una relazione statica e non dinamica e
progettuale, e la realtà gli si presenta come una «muraglia», come una «campana di ve-
tro», che porta il poeta a trascenderla, ma nello stesso tempo lo lascia ancorato e lo ripor-
ta in questa. Per questa ragione in Montale troveremo un meccanismo di auto-difesa piut-
tosto che di progettazione, di rifiuto piuttosto che di accoglimento, anche se il poeta ligu-
re sentirà costantemente la necessità di non rifiutare del tutto il dono e anche di ricam-
biarlo. Tutto questo confluirà in maniera particolarissima nella sua poesia che può essere
contraddistinta dalla relazione triadica del È da notare che
rifiutare-ricevere-ricambiare.
questo modo di sentire e di comunicare con la realtà sia più vicino alla riflessione post-
esistenzialistica di Heidegger il quale a conclusione del percorso di che si
Sein und Zeit,
proponeva di interrogare quell’ente particolare (l’uomo), aperto alla comprensione
dell’essere o meglio al problema sull’essere, circa il senso dell’essere, comprende che
l’esserci non ha risposto circa il problema dell’essere, manifestando il nulla del suo essere,
cioè questo porterà il filosofo tedesco a impostare diversamente il
l’essere-per-la-morte;
problema dell’essere: il disvelamento dell’essenza dell’essere non può essere il risultato
dell’analisi dell’essere di un ente, ma deve essere il prodotto dell’iniziativa dell’essere. Po-