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LA RICERCA DI UN ALTERNATIVA
Il fascismo come religione pagana: il culto del littorio
LA CRISI DEI VALORI
Montale
Eliot
STORIA DELL’ATEISMO
Da Kant a Nietzsche
SENECA dietro le accuse di Nietzsche
“Phedra”
Giunto al potere il fascismo accelerò la simbiosi fra la religione nazionale e la religione fascista,
avviata dallo squadrismo e, per rendere percepibile immediatamente attraverso simboli il significato
irrevocabile e rivoluzionario del cambiamento di governo, avvenuto con la “marcia su Roma”,
iniziò con la fascistizzazione della simbologia di stato.
Il fascio littorio venne così introdotto ufficialmente nella iconografia dello stato italiano attraverso
un nuovo stemma e la messa in circolazione di monete e francobolli commemorativi;ma non
bastava certo il richiamo alla romanità per attenuare il carattere prettamente di partito che
l’emblema del littorio aveva assunto con il fascismo.
I RITI DELLA RIVOLUZIONE
L’ascesa del fascio littorio fra i simboli dello stato accompagnò la contemporanea ascesa, nella sua
liturgia, di riti che celebravano l’ascesa del fascismo al potere, come rivoluzione che segnava
l’inizio di una nuova era. Lo stesso termine “regime fascista”, entrato nel linguaggio politico dei
fascisti così come degli antifascisti all’indomani della “marcia su Roma”, era sintomo chiaro che il
governo presieduto dal duce del fascismo non era un governo come i precedenti. L’orientamento
totalitario della religione fascista, implicito nel suo dinamismo missionario e integralista, non si
espresse soltanto attraverso la monopolizzazione dei riti patriottici, mettendo al bando qualsiasi
altro tipo di liturgia di partito contraria al fascismo, ma si concretizzò soprattutto con l’istituzione di
riti nazionali fascisti, come l’anniversario della fondazione dei fasci e l’anniversario della “marcia
su Roma. Attorno all’evento della “marcia su Roma”era infatti subito fiorita una varietà d’iniziative
che ne volevano esaltare il carattere di grande evento storico, avviandolo già verso una
trasfigurazione epica. Lo stesso Mussolini deliberò di celebrare il primo anno dal suo avvento al
governo in forma solenne e spettacolare. Secondo il programma predisposto dalla commissione e
approvato dal duce, furono organizzati quattro giorni di festeggiamenti, dal 28 al31 ottobre, con
“grandiose cerimonie” a Milano, Bologna, Perugia e Roma.La glorificazione della “rivoluzione
fascista”, come la definì il giornale mussoliniano, fu una sorta di festa della federazione del
fascismo, una spettacolare rassegna delle proprie forze che serviva ad esaltare i fascisti,
rafforzandone il senso di unità attorno a Mussolini in un momento in cui il partito aveva appena
superato una grave crisi interna, come pure mirava ad impressionare i simpatizzanti e intimorire gli
avversari con l’esibizione della forza armata del PNF e la manifestazione del consenso che le
istituzioni, i combattenti e la popolazione davano al governo e al fascismo. La festa, inoltre,
consacrava formalmente le pretese del partito fascista alla diversità privilegiata nei confronti del
sistema dei partiti e sigillava l’unione indissolubile tra fascismo e stato nazionale, trasformando una
commemorazione di partito in una festa di Stato.
L’ARCANGELO MONDANO
Dopo la marcia su Roma il fascismo accentuò il suo carattere di religione laica, sia nella definizione
ideologica, che nel modo di vivere e praticare l’esperienza politica attraverso miti, riti e simboli.
Nello stesso tempo, però, cercò anche di servirsi della religione tradizionale per spianare la strada
alle sue ambizioni di dominio presentandosi come restauratore dei valori dello spirito e del prestigio
della religione cattolica, dopo un’epoca di agnosticismo, ateismo e materialismo. Fin dal 1921,
accantonando certi atteggiamenti anticlericali , iconoclasti e paganeggianti del primo fascismo,
Mussolini aveva esaltato l’importanza storica della religione cattolica, come potenza spirituale
mondiale di cui gli italiani dovevano essere orgogliosi. Non per questo però i fascisti smisero di
parlare del fascismo come di una religione:anzi non esitarono a fare frequenti confronti fra il loro
movimento e il cristianesimo, con l’intento di orientare verso il culto del littorio, con la suggestione
dell’analogia, un popolo in larghissima maggioranza cattolico.
Il carattere religioso del fascismo fu enfatizzato notevolmente durante la prima fase di governo,
principalmente per legittimare il monopolio del patriottismo e per rivendicare, di conseguenza, il
diritto al monopolio del potere. Ogni avversario del fascismo diventava così un nemico della
“religione della patria”;di qui la pretesa del governo fascista di avere i diritto di perseguire e bandire
chi non si convertiva al culto nazionale, cioè, in altri termini, chi non accettava la versione fascista
di questa religione, e di considerare la devozione al fascismo un atto di dedizione totale e definitivo.
UNA TEOLOGIA POLITICA PER LO STATO NUOVO
In origine la religione fascista era stata in gran parte espressione spontanea, ad un certo livello di
massa, soprattutto dello squadrismo, riflettendone l’emozionalismo aggressivo e ribelle, un
sentimento di fede comune non ancora subordinata alle regole di una dottrina. La religione fascista,
prima della marcia su Roma, non era ancora stata vincolata dall’obbedienza all’infallibilità di un
capo. Ma salito il fascismo al potere questa situazione divenne incompatibile con la necessità della
disciplina e dell’unità, capisaldi della concezione fascista dello stato nuovo. Non solo il ribellismo
squadrista doveva essere domato ovunque fosse ancora attivo, ma anche la spontaneità dei simboli e
dei riti doveva lasciare il posto all’istituzionalizzazione del sistema di credenze e valori espressi dal
fascismo. Questa istituzionalizzazione della religione fascista avvenne attraverso il contributo
decisivo apportato all’elaborazione della sua teologia politica dagli intellettuali di formazione
idealistica, che da anni predicavano una crociata culturale per la spiritualizzazione della politica.
Decisivo per l’elaborazione della teologia politica fu l’apporto di Giovanni Gentile e di molti suoi
seguaci, che diedero alla primitiva religiosità dello squadrismo un più robusto sostegno culturale,
convinti che il fascismo fosse la ripresa della rivoluzione morale sognata da Mazzini.Il filosofo
idealista affidava al fascismo e al suo capo il compito di risolvere il problema religioso che aveva
tormentato gli spiriti del Risorgimento, portando a compimento una rivoluzione incompiuta con la
creazione di uno stato nuovo in cui realizzare in modo totalitario l’integrazione delle masse nella
nazione. Il sincretismo dell’ideologia fascista accoglieva orientamenti diversi al suo interno, ma
nessuno di questi, in realtà, poteva aspirare a presentarsi come un’interpretazione autentica della
“fede”fascista, né mettere in discussione i capisaldi della religione fascista. Questa in effetti non
lasciava affatto in uno stato vaporoso o fluido le determinazioni dell’”idea fascista””:in teoria e
pratica esse convergevano tutte verso la sacralizzazione dello stato, di fronte al quale la fluidità
della religione s’irrigidiva in un dogma che non consentiva elasticità d’interpretazioni.
L’ORDINE MILITARE RELIGIOSO
L’ideologia fascista, come teologia politica dello stato, fu facilmente cristallizzata nei
comandamenti di un “credo”.Ciò consentì al fascismo di non esporsi a rischi dottrinari. E il
fascismo non nascondeva che la sua politica mirava a realizzare un tipo d’organizzazione simile alla
Chiesa cattolica, eletta a modello per la costruzione dello stato totalitario. Ma l’analogia con la
Chiesa cattolica andava, per i fascisti, oltre gli aspetti organizzativi e sociali, investendo la natura
religiosa di questa analogia. L’identificazione del partito con un ordine militare religioso servì
anche a reprimere i dissensi all’interno del partito stesso, per espellere i ribelli come “traditori della
fede”ed imporre l’obbedienza assoluta ai gregari. L’iscrizione al PNF non era un semplice atto di
adesione ad un programma politico, ma comportava un atto di dedizione totale, consacrato dal
giuramento..Il fascismo considerava infatti la “fede”il valore primario della militanza politica, la
principale qualità dell’uomo fascista, al di là delle capacità intellettuali. Cultura e intelligenza
contavano meno della dedizione ai dogmi della religione fascista. Negli anni del regime, almeno in
linea di principio, si stabilì che la “fede”doveva avere la precedenza sulla competenza perché
“valore integrale”.
La formalizzazione della religione fascista, attraverso una moltiplicazione piuttosto automatica dei
riti del culto del littorio, raggiunse il culmine con una definizione meticolosa delle regole di vita per
il fascista, travalicando spesso il limite del ridicolo nella ricerca di un conformismo di atti diretto a
produrre un conformismo di coscienze e credenze. Tutto questo non era privo di una sua logica. Il
partito non esitava probabilmente a sfidare anche il ridicolo nella convinzione che, alla fine, lo stile,
cioè la regola di comportamento morale e di costume civile, fissata entro i rigidi parametri di una
ordinata scansione dei momenti della vita pubblica, avrebbe determinato un cambiamento del
carattere, portando alla nascita dell’”italiano nuovo”.
IL FASCIO E LA CROCE
Secondo Mussolini lo stato fascista non aveva una teologia, ma aveva una morale. Tuttavia per il
fatto stesso di rivendicare allo stato la sua propria morale, il fascismo s’arrogava in realtà la
funzione propria della religione, la prerogativa di definire il significato e il fine ultimo
dell’esistenza per milioni di uomini e donne, secondo la propria concezione totalitaria della politica
che poneva lo Stato come valore supremo e assoluto.
Per questo quindi rivaleggiò con la Chiesa cattolica per il controllo e la formazione delle coscienze,
anche se, reso cauto dall’esperienza fallimentare d’altri esperimenti di religioni laiche antagoniste
della religione tradizionale, evitò di avventurarsi in una guerra di religione con il cattolicesimo.
Verso la Chiesa l’atteggiamento del fascismo fu ispirato più dal realismo politico che dal fanatismo
ideologico, mettendo in atto quella che potremmo chiamare una strategia sincretica di convivenza,
mirante ad associare il cattolicesimo nel proprio progetto totalitario. Mussolini aveva inoltre grande
considerazione per il valore e la potenza della religione nella vita collettiva, in quanto fede e
tradizione mitico-simbolica che hanno forti radici nella coscienza delle masse. Perciò era convinto
che il fascismo, pur rivendicando il primato della politica e l’eticità dello Stato fascista, doveva
evitare una guerra di religione perché su questo campo la sconfitta sarebbe stata altamente
probabile. Ma al di là della volontà di evitare guerre di religione per meditate e realistiche
valutazioni dei rischi che tale eventualità comportava, il fascismo non desistette dal ripetere
enfaticamente, in ogni circostanza ed in ogni sede, di essere movimento religioso, di avere un
concezione religiosa della politica che postulava l’Assoluto dello Stato di fronte al relativo degli
individui, né cessò mai di rivendicare, in relazione a questa religiosità dello Stato, il diritto
indiscutibile di definire la morale del cittadino e il fine ultimo della sua esistenza.
Certo, l’interesse del fascismo per la religione cattolica era esclusivamente politico, non teologico,
nel senso almeno che non sfiorava nessuno dei fascisti la tentazione d’interferire nelle questioni
dottrinali cattoliche, e tanto meno la pretesa di avanzare una propria interpretazione della teologia
cattolica con intenti più o meno riformatori. I riconoscimenti privilegiati alla Chiesa con gli accordi
del Laterano, come pure la volontà di non aprire contese religiose erano dettati dal proposito di
utilizzare la religione tradizionale come instrumentum regni. Del resto per tutto il periodo del
regime il fascismo, governo e partito, condusse contro la chiesa e le associazioni cattoliche una