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Il testo si compone di sedici endecasillabi. Nel lessico della poesia ricorrono le parole tematiche
come "mi rammento", "ricordanza", "memoria", "rimembrar", che riportano tutte al tema del
ricordo.
Possiamo dividere l’idillio in due parti principali. Tale suddivisione è evidenziata dall’anafora
(ripetizione di una parola o di gruppi di parole all'inizio di frasi o di versi successivi, per porre
l’accento su un'immagine o su un concetto) “O graziosa luna/O mia diletta luna” che sottolinea i
caratteri di questa dolce immagine. La prima è a sua volta divisa in due sezioni: la prima
riguardante lo spazio, la seconda riguardante il tempo.
Equilibrio spaziale: spazio finito, rappresentato dalla selva illuminata da una luce velata e dal colle,
e spazio infinito, rappresentato dalla luna che dall'alto tutto illumina, velata dalle lacrime che
scendono dagli occhi piangenti del poeta; il mondo infinito esercita uno straordinario fascino sul
mondo finito e limitato.
Equilibrio temporale: il momento presente che mette in moto il ricordo del tempo passato; fra i due
momenti sembra non esserci frattura: è passato un anno ma non è cambiato nulla, il dolore è sempre
lo stesso. Anche se in gioventù è ancora grande la speranza e la fede in un futuro roseo e appagante
e sono poche le cose da ricordare considerata il breve periodo vissuto, è già familiare la sensazione
di dolore che avvolge l'anima del poeta in un'atmosfera ormai scura e piena di dolore.
La ricordanza: il noverar, il rimembrar il passato e l'età del dolore "giova", fa bene, è dolce
ricordare nella gioventù le cose passate anche quando sono infelici e la loro tristezza non si è ancora
spenta ma dura tuttora nel presente avvolgendo tutta l'esistenza in una sofferenza che dura senza
fine, anche quando il cammino della vita futura è ancora lungo e pieno di speranza e le cose da
ricordare sono ancora poche (nel periodo della giovinezza).
Da un punto di vista fonico, ricorre frequentemente la consonante “l”: luna – volge – colle – allor -
selva- nebuloso- tremulo- dolore- diletta, che crea un’atmosfera d’intimità e di sereno
raccoglimento.
Vi sono inoltre numerosi aggettivi possessivi che indicano l’intimità e la confidenza tra l’io e la
luna (i due protagonisti).
Vi sono vari enjambements (v. 1-2-4-6-7-8-10-11-12-13) che rendono il ritmo estremamente fluido
e pervaso da musicalità. Ciò che colpisce maggiormente è che gli enjambements mettono in
posizione di rilievo, alla fine o all’inizio del verso, le parole chiavi del brano: rammento, colle,
selva, pianto, luci per occhi, travagliosa, ricordanza, noverar l’etate del mio dolore, tempo giovanil,
speme. Le cadenze musicali sono date anche dalla libertà metrica.
Il momento presente in cui il poeta si ritrova sullo stesso colle dell’anno precedente a osservare la
luna, mette in moto il ricordo del tempo passato; fra i due momenti sembra non esserci
interruzione, nonostante sia passato un anno, il suo stato d’animo non è cambiato: il dolore e la
tristezza sono sempre li stessi.
Il v. 9 esprime proprio questo rapporto passato/presente con i due verbi "era" e "è".
Il Leopardi dei piccoli idilli, ed in questo caso di “Alla Luna”, si rifugia su quel colle che a lui dava
la percezione dell’infinito, per lasciarsi accarezzare dal ricordo del tempo in cui sperava che il
domani sarebbe stato migliore, e nel quale un istante di gioia infinita o d’immenso dolore giovanile
sono fonte di pacati e dolci ricordi, che aiutano a sopravvivere nel mondo delle illusioni.
Solo perdendosi negli scenari della notte e illuminato dalla luce della luna, Leopardi riesce ad
abbandonarsi alla propria vita interiore fatta di ricordi e sentimenti. La luna è una donna graziosa e
diletta che s’inchina ad alleviare il pianto umano, dolce e lenitrice di dolore; scende a rischiarare la
selva, a ridare nuovo vigore alla luce degli occhi del poeta velati dal pianto.
Nel periodo in cui Leopardi scrive “Alla luna”, il poeta vive una condizione di pessimismo definito
“storico”, che si basa sulla "Teoria delle Illusioni".
Il Pessimismo Storico nasce indagando sulla causa dell'infelicità umana. Leopardi afferma,
attraverso la sua "Teoria delle Illusioni", che gli uomini furono realmente felici soltanto nell'età
primitiva, quando vivevano a stretto contatto con la natura. Essi però vollero uscire da questa
“beata ignoranza” e, iniziando a servirsi della ragione, intrapresero la ricerca della verità.
Le scoperte fatte con la ragione furono “catastrofiche”: essa, infatti, portò alla luce le illusioni, che
la natura, come una madre, aveva ispirato agli uomini; scoprì le leggi meccaniche che regolano la
vita dell'universo; scoprì il male, il dolore, l'infelicità, l'angoscia esistenziale.
La storia degli uomini quindi, dice Leopardi, non è progresso, ma decadenza e passaggio da uno
stato d’inconscia felicità naturale, ad uno stato di consapevole dolore, scoperto dalla ragione. Ciò
che è avvenuto nella storia dell'umanità, si ripete nella storia di ciascun individuo. Dall'età
dell'inconscia felicità, qual è quella dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, allorché tutto
sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse per il futuro, si passa all'età della
ragione, all'età dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile .
La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la natura madre, benigna e pia, che
cerca di coprire col velo dei sogni, delle fantasie e delle illusioni le tristi verità del nostro essere.
Il poeta osserva quindi la luna come simbolo della forza rasserenatrice della natura, e le parla come
ad una creatura cara. Egli rammenta che anche l'anno prima era salito su quel colle, ma il volto della
luna era apparso tremolante ai suoi occhi velati di pianto. Nulla è cambiato da allora, il suo animo è
ancora ricolmo di sofferenza, eppure ricordare il dolore di allora, gli arreca sollievo.
Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo leopardiano: una fase di "pessimismo
storico"(già trattato), una di "pessimismo psicologico" e una di "pessimismo cosmico" .
Il "Pessimismo Psicologico" si basa sulla "Teoria del Piacere", elaborata partendo dalla
riflessione sull'infelicità, che diventa la base del suo pensiero: secondo questa teoria, "l'amor
proprio" porta l'individuo ad una ricerca di piacere infinito per intensità e per estensione; poiché
questa richiesta non potrà mai essere soddisfatta interamente, l'individuo, anche nel momento di
maggior piacere, continuerà a sentire il desiderio non colmato. Questa insoddisfazione è di per sè
sofferenza, sicché l'essere umano, anche quando non soffre di mali materiali, è in stato di pena per
la sua stessa richiesta inappagata.
Questo tipo di pessimismo è ben più radicale del primo, perché l'infelicità non è un dato
occasionale, ma ormai è una costante della condizione umana.
Il "Pessimismo Cosmico" si basa sulla "Teoria del Patimento". L’aggiustamento della concezione
precedente di natura, avvenne quando il poeta spostò la sua attenzione dal tema del Piacere, che
non si può ottenere, a quello della Sofferenza che non si può evitare.
Anche se l’essere umano riuscisse a raggiungere il piacere, il bilancio della sua esistenza sarebbe
comunque negativo, per la quantità dei mali reali (infortuni, malattie, invecchiamento, morte) con
cui la natura, dopo averlo prodotto, tende a eliminarlo.
In altri momenti il Leopardi approfondisce la contemplazione del problema del dolore, arrivando
alla conclusione che la sua causa è proprio la natura: essa ha creato l'uomo con un profondo
desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l'avrebbe mai raggiunta.
Così Leopardi è allo stesso tempo attratto dalla natura, e allo stesso tempo repulso.
È portato ad odiarla, fino a considerarla una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini,
una forza oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche e crudeli .
E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le creature, sia gli uomini che
gli animali.
In questo momento della sua meditazione Leopardi rivaluta la ragione, essa è si colpevole di aver
distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l'unico bene rimasto agli uomini, i quali,
grazie ad essa, possono conservare nelle loro sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro,
come egli dice nella "Ginestra", possono vincere o almeno addolcire il dolore.
Giacomo Leopardi trascorse parte della sua vita a Recanati, un comune che, durante questo periodo,
divenne una Repubblica napoleonica.
Leopardi raggiunge la maturità durante il periodo della Restaurazione.
Questa è un’età caratterizzata da conflitti tra nazionalismo, liberalismo e romanticismo da un lato,
cosmopolitismo, assolutismo e classicismo dall’altro. La Restaurazione, dal punto di vista storico-
politico, è il processo che porta al ristabilirsi del potere assoluto dei sovrani in Europa in seguito
alla sconfitta di Napoleone. Inizia con il Congresso di Vienna nel 1814, convocato dalle grandi
potenze con lo scopo ridisegnare i confini europei. Più ampiamente però, lo scopo della
Restaurazione è di contrastare le idee della Rivoluzione francese diffuse ormai in tutta Europa dagli
eserciti napoleonici. Sotto questo punto di vista la Restaurazione si estende ad un contesto diverso
da quello puramente politico, toccando così anche quello culturale.
In letteratura si fa coincidere l'età della Restaurazione con il romanticismo, una corrente
letteraria di cui Leopardi è tra i massimi esponenti. In Italia gli scrittori, specialmente sotto
l’aspetto politico del romanticismo che esaltava il sentimento nazionale e la libertà dei popoli
oppressi, assunsero il compito di risvegliare e rianimare la coscienza nazionale e l’amor di
patria, di educare politicamente e di elevare spiritualmente il popolo italiano.
Affiancato dal romanticismo, nasce così un’esaltazione dei sentimenti a favore della patria (che
si traducono nel patriottismo), un’ideologia forte che sostiene l’affermazione della nazione
intesa come collettività d’individui che condividono tratti culturali, valori, tradizioni, lingua,
economia, storia e territorio, un vero sentimento di nazione: il nazionalismo.
Sono appunto tutti questi sentimenti ritrovati o nati che portarono al Risorgimento, durante il quale
l’Italia conseguì la sua unità nazionale da lungo tempo andata perduta.
L’unità d’Italia si ottiene nel 1861 in seguito alle tre guerre d’indipendenza, durante le quali, uomini
come Mazzini e Garibaldi spiccarono per le loro grandi capacità.
Purtroppo però, nonostante queste tre guerre d’indipendenza e la nascita dello Stato Italiano, parte
delle terre all’interno del confine naturale della penisola, erano ancora in mano agli stranieri.
Questo fu il motivo principale per cui, un’Italia combattuta al suo interno da neutralisti e
interventisti, entra in guerra schierata con l’Intesa nel 1915, un anno dopo lo scoppio del conflitto,
dichiarando guerra all’Austria – Ungheria e in seguito alla Germania (L’Italia entra in guerra più
tardi essendosi dichiarata Stato neutrale nel 1914). L’entrata in guerra dell’Italia fu formalizzata nel
segreto Patto di Londra, firmato da Sonnino all’insaputa del parlamento, con il quale l’Italia
riceveva la promessa di ottenere, in caso di vittoria, Trento e il territorio attiguo fino al Brennero,
Gorizia, Trieste e Gradisca d’Isonzo, l’Istria (tranne Fiume) fino a parte della Dalmazia.
Come già accennato in precedenza all’interno dell’Italia, l’opinione pubblica era divisa tra
Neutralisti e Interventisti.
Dei neutralisti facevano parte le maggiori forze politiche italiane che erano favorevoli alla
neutralità dello stato italiano; tra queste troviamo:
Giolitti e i liberali giolittiani;
- il Partito socialista con le masse operaie e contadine;
- i cattolici con il Vaticano.
-
Giolitti era contrario quindi all’intervento dell’Italia e il motivo si ritrova nella sua consapevolezza