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L’OPIFICIO DELLE PIETRE DURE

de' Medici nel 1588 e all’ inizio si occupava

prevalentemente della creazione di arredi in

pietre dure (un esempio di questa attività

originaria è la Cappella dei Principi in San

Lorenzo). Negli ultimi decenni del secolo

XIX, cominciò a indirizzare la sua attività

lavorativa anche nel restauro, dapprima solo

di opere appartenute alla scuola, in seguito

anche provenienti da tutto il patrimonio

artistico italiano. Oggi la sua attività è

riconosciuta a livello internazionale, grazie

alla notorietà acquisita in seguito

all’importanza che rivestì dopo la grande

catastrofe dell'alluvione del Novembre 1966.

Fu in quest’occasione che vennero fusi in

un’ unica entità l'antico Opificio mediceo ed

il Laboratorio di restauro della

Soprintendenza, che si occupò più

L'Opificio delle Pietre Dure è un Istituto strettamente dei restauri dell'alluvione. A

autonomo del Ministero per i Beni Culturali e questo nucleo furono annessi i laboratori

Ambientali e la sua attività si realizza minori sorti in seguito all'emergenza

prevalentemente nell’ambito del Restauro. dell'alluvione.

L’istituto nacque per volere di Ferdinando I

Oggi è sede di:

 una Scuola di restauro ufficiale dello Stato, definita di Alta Formazione,

 un museo della produzione artistica in pietre dure,

 un laboratorio scientifico,

 una biblioteca altamente specializzata nel campo del restauro,

 un ricchissimo archivio dei restauri compiuti,

 un centro di ricerca sulla climatologia

 laboratori di restauro all'avanguardia

L'attività dell'istituto si articola per settori di restauro e di ricerca individuati in base ai

materiali costitutivi delle opere d'arte.

Molta parte dell'attività si svolge anche all'esterno, sia sotto forma di cantieri operativi che di

consulenze tecnico-scientifiche, su tutto il territorio nazionale ed in ambito internazionale.

MUSEO

Il , diretto da un organo specializzato nella lavorazione delle pietre dure e creato

nel 1588 da Ferdinando I, non rispecchia una precisa volontà collezionistica, ma conserva

opere incompiute o parti di collezioni che testimoniano comunque un percorso storico della

manifattura attraverso i secoli. Fra le opere conservate troviamo anche progetti ed elementi

decorativi che dovevano far parte della cappella funeraria della famiglia Medici in San

Lorenzo, iniziata da Ferdinando I nel 1604.

All’interno del museo annesso all’ Opificio o in altre sedi europee sono conservati dunque

manufatti qui realizzati di vario genere:

-intagli (con questo termine ci si riferisce sia a quelli in pietre dure che ai cammei, dove

viene sfruttata la stratificazione delle pietre, data la differenza cromatica, per ricavarne un

disegno);

-mobili (uno dei quali è attribuibile ad una manifattura boema e proviene da Palazzo

Vecchio);

-quadri a commesso (che permettono di ammirare la variegata gamma di colori delle

pietre);

- la raccolta di pietre (che conta oltre cinquecento esemplari, tra pietre dure e tenere). Per

quanto riguarda questo campionario, è noto che erano in genere gli artisti stessi a recarsi per

conto dei Medici alla ricerca dei giacimenti più adatti. Ci sono marmi ( porfido, granito),

alcune pietre tenere come l’alberese, una pietra calcarea, e l’alabastro di Volterra. Oltretutto

fra le pietre pregiate è da ricordare sicuramente il lapislazzulo, particolarmente in voga nel

Cinquecento. La qualità migliore era il lapislazzulo di Persia, allora proveniente dall’

Afghanistan; questo fu poi sostituito nel settecento da quello siberiano

- mosaici

L’attività di restauro dell’Opificio si avvale oggi – e sempre di più- del supporto delle

discipline scientifiche, che forniscono l’ assistenza tecnico-diagnostica, ormai indispensabile

per preservare al meglio le opere e per mantenere così, anche dopo un eventuale restauro, il

loro impianto originale. la MADONNA DEL CARDELLINO

RAFFAELLO, (1506)

BIOGRAFIA DI RAFFAELLO

Raffaello nasce a Urbino nel 1483, figlio d’arte del pittore Giovanni Santi. Giovanissimo, viene

accolto, su insistenze del padre, nella bottega del Perugino. Al 1500 risale il suo primo

Incoronazione del beato Nicola da Tolentino,

contratto, per la pala di cui oggi ci restano solo

quattro frammenti. In questi anni Raffaello dipinge quello che è considerato il capolavoro del

Matrimonio della Vergine.

suo periodo perugino, il Nel 1504 si trasferisce a Firenze, dove

studia l’opera di Leonardo e Michelangelo. L’influsso leonardesco è evidente soprattutto nella

Madonna del cardellino, con la sua struttura piramidale. Sono gli anni in cui Raffaello

Madonna con Bambino,

continua a insistere con il tema della Madonna, realizzando la la

Madonna del Prato e Madonna del Granduca. Ritratto di Agnolo

la Ma sono anche gli anni del

e Maddalena Doni, Sacra famiglia

nonché dei due punti di svolta del periodo fiorentino, la

Canigiani Trasporto di Cristo al Sepolcro.

e soprattutto il Intorno al 1508 Raffaello si

trasferisce a Roma, dove Giulio II lo nomina “scriptor brevium apostolicorum”. Qui Raffaello

comincia a lavorare alle stanze vaticane, e in particolare inizia con la Stanza della Segnatura,

Disputa sul Sacramento Scuola di Atene

con, tra gli altri, i celebri affreschi della e della (dove

i filosofi hanno i volti degli artisti contemporanei a Raffaello). Nel 1512 inizia i lavori per la

Liberazione di San Pietro dal carcere

Stanza di Eliodoro, con la . Il 1513 è un anno chiave nella

vita di Raffaello: la morte di Giulio II e l’avvento di Leone X segnano una vera e propria svolta

nella sua carriera artistica. Raffaello non riceverà più commissioni veramente importanti a

Roma. Le committenze private gli permettono comunque di realizzare alcuni dei suoi dipinti

Ritratto di Baldassarre Castiglione Doppio ritratto.

più celebri, tra cui il e il Inizia invece una

inaspettata carriera di architetto e umanista: alla morte del Bramante, nel 1514, va ad

occupare il suo posto come direttore dei lavori della Fabbrica di San Pietro, e, l’anno

successivo, Leone X lo nomina Soprintendente alle antichità, una carica importante che

Raffaello assolve con passione. L’interesse di Raffaello per l’architettura, che non può

esplicarsi appieno nel cantiere di San Pietro, momentaneamente fermo, si esprime per altre

vie: la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo e Villa Madama, una villa su Monte Mario per

conto di Giulio de’ Medici. Muore a Roma nel 1520.

STORIA DELL’ OPERA

Raffaello realizzò quest’opera nel 1506 in occasione delle nozze del suo caro amico Lorenzo

Nasi, un ricco commerciante di lana, con Sandra Canigiani. I due avevano stretto amicizia nel

corso della sua permanenza a Firenze, durata dal 1504 al 1508.

Purtroppo la tavola ha una storia molto travagliata, di cui abbiamo diretta testimonianza

grazie al Vasari, che racconta nella sue “Vite” che appena quarant’ anni dopo la sua

realizzazione, nel 1547, crollò il palazzo in cui era conservato il quadro e che la tela

rimanendo coinvolta nell’ incidente subì danni gravissimi. Egli scrive infatti:

“Il […] quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandissima venerazione mentre che visse, così per

memoria di Raffaello statogli amicissimo, come per la dignità et eccellenza dell’opera. Ma capitò poi

male quest’opera l’anno 1548 a dì 17 novembre [invero fine 1547], quando la casa di Lorenzo insieme

con quelle ornatissime e belle degl’eredi di Marco del Nero, per uno smottamento del Monte di San

Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine. Nondimeno, ritrovati i pezzi d’essa fra i calcinacci

della rovina, furono da Battista, figliuolo di esso Lorenzo, amorevolissimo dell’arte, fatti rimettere

insieme in quel miglior modo che si potette”.

L’opera era dunque in pessime condizioni, tanto da essersi addirittura spaccata in 17 pezzi.

L’arduo compito di restaurarla per la prima volta sarebbe stato di Ridolfo del Ghirlandaio,

pittore affermato e amico di Raffaello. Le varie parti furono dunque ricomposte, ma con

l’aggiunta di due inserti per colmare delle mancanze. La storia conservativa del quadro da

allora è stata caratterizzata costantemente da una sovrapposizione di materiali, volta per lo

più a nascondere gli antichi danni. Per accordare infatti alla pittura raffaellesca le integrazioni

frutto dell’antico restauro la tavola è stata nel tempo patinata e riverniciata sovrapponendo

strati su strati di materiale, senza una pulitura preliminare.

IL RESTAURO

Questa seconda e più recente opera di restauro, invece, ha avuto inizio nel 1999, quando si è

deciso di riportare alla luce l’antico splendore dell’ opera d’arte. Il procedimento di recupero

della “ Madonna del Cardellino” è stato affrontato secondo i procedimenti più moderni, che si

affidano, oltre che ad un restauro tradizionale di tipo manuale, ad un supporto tecnologico.

Per cominciare sono state fatte delle INDAGINI DIAGNOSTICHE, non di tipo invasivo, che

utilizzano delle modalità innovative. Queste indagini sono dette “conoscitive” e utilizzano

una luce radente. Le fratture dovute al crollo sono state rilevate mediante una

RADIOGRAFIA IN LASTRA UNICA che ha individuato la divisione della tela in 17

frammenti. Era venuto a mancare nell’ incidente un angolo che probabilmente era molto

danneggiato; questo si può notare perché in quella zona mancano la preparazione e il colore.

Poi si è passati ai RAGGI ULTRAVIOLETTI, per cercare di capire quali sono stati i pigmenti

utilizzati nei restauri precedenti, e al RILIEVO IN 3D mediante un laser a scansione, per

riuscire a misurare l’andamento della superficie prima di intervenire.

La tavola di pioppo non è unica, ma vi sono due tavole a cui è stata sovrapposta la tela:

queste informazioni sul supporto sono state rilevate grazie alla TOMOGRAFIA

COMPUTERIZZATA, ossia una dettagliata ricostruzione volumetrica.

Dopo queste analisi strutturali, l’analisi si è concentrata sulla qualità del pigmento e del

colore. Infatti a seconda della qualità il raggio dell’INFRAROSSO penetra in maniera diversa.

Si è notato così che Raffaello usò la tecnica dello spolvero, che funziona come una sorta di

carta copiativa: tramite dei forellini praticati su un modello iniziale del disegno facendo

passare il carbone Raffaello ha tracciato dei contorni indicativi. Le uniche zone dove si vede

che ha agito a mano libera sono quella del paesaggio, realizzato quasi interamente di getto,

e quelle dove ha operato delle piccole modifiche: ad esempio la scollatura di Maria

inizialmente era più morbida e poi è diventata squadrata, l’orecchio di Giovanni Battista nel

cartone era più in basso.

Tutti gli interventi di ritocco e riparazione fatti in seguito all’indagine diagnostica, sono stati

condotti nel rispetto della storia di quelli fatti in precedenza. Questa è proprio la politica

adottata dalle squadre di restauro italiane: le opere devono essere restaurate cercando di

recuperarne le caratteristiche originarie, mantenendo tuttavi gli elementi di tutti gli

interventi non troppo invasivi fatti nel tempo, che contribuiscono comunque a formare la

storia di un’opera.

Dunque si è proceduti con la PULITURA, che consiste nella parziale o totale rimozione dei

materiali non originali. Nel caso della Madonna del Cardellino in un restauro precedente era

stato steso, secondo il gusto dell’epoca, uno strato di giallo anche per nascondere i

precedenti restauri. I colori tuttavia non si alterano tutti allo stesso modo, ma è

fondamentale lasciare anche un velo del tempo.

Successivamente c’è stato un RISANAMENTO DEL SUPPORTO inserendo una certa

quantità di resina nelle fratture, per poi passare alla fase della STUCCATURA. Infine ci si è

concentrati sul vero e proprio RITOCCO PITTORICO realizzato prima con l’acquerello e poi

con la selezione cromatica a tratteggio molto sottile, ma tutto è reversibile.

DOPO IL RESTAURO….

Ripulita in maniera così eccellente, la “Madonna” ci incanta con i suoi colori, dal blu

lapislazzulo del mantello alle tinte pastello che caratterizzano lo splendido paesaggio, e ci

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