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Greco: Polibio (ciclo delle costituzioni)
Latino: Seneca (De brevitate vitae ed Epistulae Morales ad Lucilium)
Italiano: Giacomo Leopardi (Teoria del piacere, Canto di un pastore errante dell'Asia, Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, Il sabato del villaggio)
Filosofia: Friedrich Nietzsche (Eterno ritorno)
andare avanti, ma non indietro, è possibile procedere verso il futuro, ma non verso il
passato. In campo scientifico, l’irreversibilità corrisponde al disordine; la teoria
dell’informazione afferma che un guadagno d’informazione equivale ad una
diminuzione di entropia, mentre la perdita di essa corrisponde a un aumento di
entropia. La trasmissione di un messaggio, con il passare del tempo, diverrà sempre
più confusa e disturbata. Semplificando, si può descrivere quest'affermazione
citando un gran numero di esempi, dal gioco di società del passaparola alle
trasmissioni radiofoniche e televisive, dalla copiatura dei manoscritti da parte degli
amanuensi medievali alle distorsioni e al progressivo deterioramento di una
registrazione discografica. Risulta ovvio, pertanto, che il tempo in fisica e biologia è
di tipo lineare.
Il principio di causalità: ecco perché non si può viaggiare nel tempo
Tutte le relazioni fra eventi diversi devono rispettare il principio di causalità: nessun
effetto può mai trovarsi nel passato della propria causa. È questo il motivo per cui
non è possibile viaggiare a ritroso nel tempo e tanto meno nel futuro, nonostante gli
innumerevoli riferimenti immaginari che la letteratura ha prodotto nei secoli a cui, in
tempi più recenti, si sono aggiunte sperimentazioni nel cinema. Cito, ad esempio, il
film Ritorno al futuro prodotto da Steven Spielberg, che ha fatto dei viaggi attraverso
il tempo il nucleo centrale della sua trama.
L’evoluzione biologica come massimo esempio del tempo lineare
A rappresentare il massimo dell’irreversibilità è, tuttavia, l’evoluzione biologica.
Nessuno può, infatti, prevedere ciò che succederà, come nessuno avrebbe potuto
prevedere ciò che è già successo.
È l’illustrazione più concreta e tangibile della successione lineare del tempo, che
caratterizza il modo di susseguirsi degli avvenimenti sia nella fisica sia nella biologia.
LA CIRCOLARITÀ DEL MONDO CLASSICO
In ambito storiografico e politico prevaleva, nel mondo classico, una visione ciclica
del tempo, e una concezione regressiva della storia umana, destinata ad avvolgersi
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su se stessa e a ripetersi all’infinito. Il primo tempo che i Greci conoscono è quello
circolare e ripetitivo del mito delle età, che si deve a Esiodo; si tratta di una nozione
poetico-mitica del tempo. L’età dell’oro, epoca felice in cui non si conoscevano
dolore e fatica, degenera progressivamente in età successive, che rappresentano
altrettante tappe del processo involutivo dell’uomo: l’età dell’argento, del bronzo e
del ferro. Chiusosi il cerchio con l’età peggiore, il ciclo riprenderà dall’inizio, e così
all’infinito.
La teoria delle costituzioni
Un’altra visione ciclica è quella dell’alternanza dei governi (πολιτεῖαι), contenuta
Ἰστορίαι
nelle di Polibio (206-124 a.C.).
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Già Erodoto, in un passo famoso delle sue Storie, aveva individuato nella monarchia,
nell’aristocrazia e nella democrazia le tre possibili costituzioni di uno Stato. In
seguito, pensatori e filosofi come Platone e Aristotele approfondirono
quest'argomento, sia mettendo in risalto una sorta di ciclo cronologico obbligato
(dal regime monarchico a quello aristocratico e infine a quello democratico), sia
analizzando in particolare la costituzione di Sparta, l’unica nel mondo greco che
pareva sottrarsi a quella sorta di legge evolutiva.
Il greco Polibio ha analizzato in modo approfondito la storia e la costituzione di
Roma repubblicana, riversando le proprie conoscenze nei quaranta libri che
compongono le sue Storie. L’autore sdoppia ciascuna delle tre costituzioni
tradizionali, individuandone una versione buona e una degenerata, e inquadrandole
tutte in una rigida successione involutiva circolare, dalla migliore alla peggiore e poi
di nuovo daccapo (ἀνακύκλωσις ).
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Secondo questa teoria, la forma originaria di governo è per ogni Stato la monarchia,
in cui il re agisce a difesa e per conto dell’intera comunità; quando, però, egli
comincia a sfruttare la sua posizione a proprio esclusivo vantaggio, la monarchia si
ἄριστοι),
trasforma in tirannide ed è infine rovesciata dai migliori fra i cittadini (οἱ
stanchi di sopportare soprusi. Costoro danno, allora, vita a un regime aristocratico,
che decade poi in oligarchia (governo di pochi, anziché dei migliori), per le stesse
ragioni che avevano mutato la monarchia in tirannide. Quando il popolo abbatte gli
oligarchi, fonda una democrazia, che a sua volta degenera quando cura solo gli
interessi della massa popolare (ὄχλος) e non di tutta la comunità, trasformandosi,
2 Storie.
3 anaciclòsi. 6
così, in oclocrazia. A questo punto il ciclo involutivo è compiuto e si può
ricominciare dal punto di partenza, con la monarchia.
Roma come esempio di perfetto equilibrio delle πολιτεῖαι
Secondo Polibio, Roma era immune da tale involuzione perché la sua costituzione si
fondava sul perfetto equilibrio delle tre forme buone: il consolato rappresentava il
potere monarchico, il Senato quello aristocratico e infine tribuni e concili della plebe
quello democratico.
L’analisi di Polibio si limitava, tuttavia, alle strutture esteriori delle
magistrature, tacendo sulla vera natura del potere romano: le cariche pubbliche,
infatti, erano occupate quasi esclusivamente da aristocratici e plebei arricchiti, che
tra il II e il I sec. a.C. finirono con il costituire una vera e propria oligarchia.
Quest’ultima non fu sostituita da una democrazia, come avrebbe voluto la teoria
dell’anaciclòsi, ma da una particolare forma di monarchia: il principato. Instaurato nel
27 a.C. da Augusto, segnò il passaggio dalla forma repubblicana a quella autocratica
dell’impero: senza abolire formalmente le istituzioni repubblicane, il principe
assumeva la guida dello Stato e ne costituiva il perno politico. Il termine princeps
stava, infatti, a significare primus inter pares , per indicare contemporaneamente la
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sua posizione di privilegio rispetto agli altri senatori, ma anche la sua formale
condizione d’eguaglianza rispetto a essi dal punto di vista costituzionale.
L’importante storico inglese Edward Gibbon (1737-1794) ha definito, per tali ragioni,
il sistema politico di Augusto «una monarchia assoluta mascherata dalle forme di
una repubblica» .
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L’anaciclòsi nel De re publica
La dottrina artistotelica-polibiana verrà in seguito ripresa da Cicerone (106-43 a.C.)
nel I libro del De re publica, allo scopo di mostrare i benefici che derivano dalla
coesistenza di un atteggiamento contemplativo della filosofia e dalla pratica di una
vita pienamente attiva nella politica: una precisazione che gli risulta necessaria dopo
aver notato l’atteggiamento di alcuni filosofi, il cui fermo attaccamento alla
metafisica li porta ad affermare che il vero saggio non debba essere coinvolto nella
4 primo tra i pari.
5 tratto da Edward Gibbon, Miscellaneous Works of Edward Gibbon (1796).
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conduzione di pubblici affari. Constata, tuttavia, come già aveva fatto Polibio, che la
res publica è degenerata nel principato.
Il principato come forma di governo imprescindibile secondo Tacito
A proposito del principato è, successivamente, Tacito (55-120) ad affermare che il
passaggio a questa forma di governo, e la conseguente rinuncia alla libertas, sono
stati necessari per conservare la pace. Secondo Tacito, infatti, non esistono
alternative: l’impero è l’unica forza in grado di salvare lo Stato dal caos delle guerre
civili.
IL TEMPO IN SENECA
Il tema del tempo è centrale nella riflessione filosofica dell’autore latino Seneca (4
a.C.-65 d.C.).
Essa ruota principalmente intorno a due poli: il tempo come entità fuggevole e
caduca, dalla quale il sapiens deve svincolarsi e che le persone comuni impiegano in
occupazioni dispersive; viceversa, il tempo come unico bene in possesso dell’uomo,
strumento per raggiungere la perfezione morale e la saggezza. Il tempo è labile ma,
se usato proficuamente, per raggiungere la saggezza, è l’unica nostra vera ricchezza.
Il tempo è, dunque, il nostro unico bene, e non importa quanto, ma come si vive.
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«vita, si uti scias, longa est»
Il De brevitate vitae
Al significato e all’uso del tempo, Seneca dedica una delle sue opere più conosciute,
il De brevitate vitae; il dialogo sviluppa come tema centrale l’opposizione tra
l’atteggiamento degli occupati, che scialacquano il proprio tempo disperdendosi in
occupazioni futili, e quello del sapiens, che, vivendo in solitudine, dedica il proprio
tempo alla sola conquista della saggezza.
6 «la vita, se sai usarla, è lunga», tratto da Seneca, De brevitate vitae, cap. II, 1.
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La linearità del tempo senecano tripartito
Nel De brevitate vitae, compare anche la concezione lineare che Seneca ha del
tempo. Secondo l’autore, esso è diviso in tre parti: passato, presente e futuro.
«In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est. Ex his quod agimus
breve est, quod acturi sumus dubium, quod egimus certum. [...] Hoc amittunt occupati;
nec enim illis vacat preaterita respicere, et, si vacet, iniucunda est paenitendae rei
recordatio» .
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Le Epistulae morales ad Lucilium
La riflessione senecana sul tempo, che trova una sua prima articolata espressione nel
De brevitate vitae, si completa nell’epistolario, in cui l’autore raccoglie una
corrispondenza unilaterale con l’amico Lucilio, personaggio di origini modeste,
proveniente dalla Campania, assurto al rango equestre e a varie cariche politico-
amministrative. Se si tratti di una raccolta di lettere reale o fittizia è questione di cui
si continua a discutere tuttora. L’opera, giunta a noi incompleta, costituisce, in ogni
caso, un unicum nel panorama letterario e filosofico antico.
Di fronte alla consapevolezza della fuga inarrestabile del tempo, della precarietà
dell’esistenza umana, della brevità della vita e dell’incombere della morte, si
manifestano la necessità e l’urgenza di vivere veramente, d'impiegare il poco tempo
che si ha a disposizione nella ricerca della saggezza. La maggior parte degli uomini
è, invece, preda di un drammatico errore esistenziale, che porta a sprecare la vita in
mille inutili occupazioni, a vivere proiettati continuamente nell’attesa di un futuro
che per natura è incerto e inconoscibile. Il sapiens è l’unico in grado di comprendere
il reale valore del tempo e di conoscere il corretto uso dello stesso. Tempo e
saggezza sono, infatti, per Seneca strettamente correlati: la capacità di dominare il
tempo, di concentrarsi sul presente, di vivere ogni giorno come una vita intera, sono
i primi decisivi passi sulla via della saggezza. Il saggio vive, infatti, ogni giorno come
se fosse l’ultimo; egli concentra nel proprio presente la memoria del passato e la
previsione del futuro, cioè tutto quanto il tempo.
7 «La vita si divide in tre tempi: ciò che è stato, ciò che è, ciò che sta per essere. Di essi quello che viviamo è
breve, quello che stiamo per vivere incerto, quello che abbiamo vissuto sicuro. [...] E proprio questo perdono
gli affaccendati: non hanno tempo di voltarsi a guardare il passato, e, se ne avessero, non è piacevole il
ricordo di unʼazione che rimorde», tratto da Seneca, De brevitate vitae, cap. X, 2.
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Seneca e il carpe diem epicureo
L’esortazione costante di Seneca a vivere intensamente e virtuosamente le giornate
come se ognuna di esse fosse l’ultima, sembra ricordare l’invito al carpe diem
oraziano .
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«Omnia quae ventura sunt in incerto iacent: protinus vive» .
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C’è, però, una profonda differenza: Orazio, epicureo, invitava a cogliere i piaceri del
momento, mentre Seneca, stoico, esorta a perseguire istante per istante il dovere
morale. Alla base del carpe diem c’è il concetto del vivere intensamente ogni attimo
dell’esistenza, capitalizzandone gioie e piaceri, in un’ottica distensiva dello spirito.
Nel concetto senecano del vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, si concretizza,
invece, l’ideale di una pratica filosofica sempre tesa alla conquista della saggezza, in