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COS’È L’INCONSCIO?
Per poter affrontare questo concetto dobbiamo prima prendere in considerazione una
parte più ampia: cioè il nostro cervello.
Esso è diviso in due parti, chiamate emisferi: l’emisfero sinistro, al quale appartiene la
parte logica del nostro cervello, e l’emisfero destro occupata dall’inconscio.
La definizione storica del termine deriva dal latino “scire” che significa conoscere. Da
qui provengono i due vocaboli protagonisti della psicologia dell’era moderna:
“conscious”, cioè consapevole, e “inconscious”, cioè inconsapevole o incosciente.
Entrambi gli aggettivi entrarono nella storia dal trecento e, grazie ad una serie di studi
ed al progresso della psicologia e della psicoanalisi, possiamo dare una definizione
abbastanza precisa dell’inconscio. Esso è quella parte del nostro cervello che elabora
pensieri che noi possediamo ma dei quali non abbiamo conoscenza.
Tutto ciò che è noto nella nostra mente, concetti, ricordi, sensi del dovere e di
responsabilità, ecc., appartengono alla sfera razionale. Mentre lapsus, ricordi rimossi,
istinti, emozioni, sogni, sono racchiuse nella faccia più nascosta del nostro cervello:
l’inconscio.
Al contrario del conscio, l’inconscio, non si esprime in maniera chiara e precisa, ma
attraverso segni ed emozioni che noi dovremmo riuscire ad interpretare e a soddisfare.
Nel momento in cui l’inconscio necessita di qualcosa che gli viene negato, sentiamo i
suoi effetti di conseguenza, ma spesso non avvengono nello stesso ambito, in quanto
si esprimono sottoforma di malessere, ansia, emicranie, stanchezza, sogni, ecc. Perciò
non è facile riuscire a comprenderlo.
Per poter comprendere meglio la distinzione dei due emisferi appena descritti si può
Freud
prendere in esempio il paragone che ci offrì sull’argomento: egli mise a
confronto il nostro cervello con un iceberg, evidenziando la suddivisione del conscio
dall’inconscio, come l’estremità visibile e la base nascosta dell’iceberg. La punta di
quest’ultimo è la nostra parte razionale, quella di cui abbiamo coscienza e che
ascoltiamo ogni giorno. Ma non prendiamo in considerazione la parte sottostante, la
base dell’iceberg, infinitamente più grande e rilevante. Essa è, infatti, la base di tutto,
fondamentale per lo spostamento dell’iceberg nell’acqua. E lo stesso accade al nostro
cervello. La parte razionale ci impone di prendere una decisione che bene o male ci
angoscerà. Ma sarà difficile mantenerla perché un’altra parte di noi ci spinge a
trasgredire la nostra scelta. Ad esempio se noi decidessimo di non sentire più una
determinata persona che ci fa soffrire, qualcos’altro ci spingerebbe invece a
comportarci al contrario. Si dice sia il cuore, ma è ovvio che sia scientificamente
impossibile. Questa imponente parte di noi è l’inconscio, che spesso ci guida quando
invece noi pensiamo di aver ragionato con razionalità.
La parte logica del nostro cervello è solo una minuscola parte in confronto alla parte
irrazionale. Ecco perché spesso è quest’ultima quella che decide. La prima spesso fa
da intoppo, ci fa credere
che sia meglio una cosa
quando invece noi ne
vogliamo un’altra.
E nell’inconscio lo
sappiamo, ma preferiamo
ascoltare l’unica parte che
tutti prendono in
considerazione. Questo
problema nasce dalla
nostra stessa società, la
quale impone regole e
schemi fissi che troppo
spesso non lasciano libertà
di agire, fissando dei limiti
che noi crediamo corretti,
ma che influiscono sul
nostro sistema
immunitario, causandoci
stress, nervosismo, malessere. Questo accade perché una parte di noi viene repressa,
o comunque accantonata e sottovalutata. Così finiamo per non accontentare la nostra
parte creativa, emozionale, quella che più influisce sulle nostre decisioni e sui nostri
stati d’animo.
MATERIA: STORIA
INTRODUZIONE
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tutti gli avvenimenti accaduti nell’arco
di tutti questi secoli, hanno le loro radici nella matrice psicologica dell’uomo.
Guerra, sofferenza, odio, insicurezza, distruzione...ma anche amore, pace, empatia,
arte, sono tutti prodotti dell’uomo, da sempre. Gli effetti che ne derivano sono proprio
gli avvenimenti che si verificano nella storia.
Ecco perché ho deciso di esaminare la mente di colui che è diventato il simbolo della
pazzia e della crudeltà umana: Adolf Hitler.
La vita del Führer: dall’infanzia al suicidio
Adolf Hitler nacque il 20 aprile 1889, nella città austriaca di
Braunau. Quarto figlio di Alois Schickelgruber e di Klara Hitler,
perse due dei suoi fratelli morti da piccoli di difterite, e un altro
fratello, ancora neonato.
Fu accudito amorosamente dalla madre. Qualcuno sostiene che il
padre fosse molto severo e che lo percuotesse regolarmente
durante l’infanzia, ma si trattava, comunque, di un provvedimento
disciplinare molto comune all’epoca.
Avava un fratellastro ed una sorellastra, nati dal matrimonio
precedente del padre. La famiglia si trasferì, quando Hitler aveva
due anni, oltre il confine, a Passau. Dopo due anni nacque un altro
fratello, Edmond. Traslocarono nuovamente nel 1895, nel paesino
di Hafeld. Un anno dopo nacque un’altra sorella, Paula, molto cara a Hitler.
In seguito ad un nuovo trasloco, Hitler frequentò il monastero benedettino del luogo,
caratterizzato da uno stemma con una svastica. Il suo sogno a quel tempo era di
diventare sacerdote.
Sogno che cambiò forma nell’arco di poco tempo, quando iniziò a coltivare una forte
passione per il disegno. Intorno al 1900, infatti, cominciò ad emergere il suo talento
pittorico, ma dal momento in cui si iscrisse alla scuola tecnica-scientifica Realschule
per decisione del padre, cominciò ad avere un rendimento sempre peggiore.
Il padre morì tre anni dopo, a causa di un’emorragia pleurica. La salute dello stesso
Hitler non era delle migliori: soffriva di infezioni polmonari, che lo convinsero, anche su
detta del suo medico, a lasciare la scuola che neanche lo soddisfaceva.
Nel 1906 si trasferì, quindi, a Vienna, convinto di riuscire ad ottenere un posto presso
una prestigiosa scuola d’arte. Ma con sua grande delusione dovette rimettere nel
cassetto quei sogni che per poco tempo lo avevano fatto sperare. Questa scuola rifiutò
i suoi disegni, sostenendo che fossero troppo architettonici, non pittorici: inadatti al
tipo di studi della stessa. Come se non bastasse, due anni più tardi del suo
spostamento, sua madre morì a causa di un tumore maligno al seno. Fu curata invano
dal dottor Eduard Bloch, un medico ebreo che curava i poveri. In seguito ad un
trattamento estremamente doloroso e all’assunzione di un farmaco costoso e molto
pericoloso, morì nel 1907.
“Io avevo onorato mio padre ma amavo mia madre”, queste le parole di un ragazzo
solo e dal cuore distrutto, che non disponeva che di un piccolo lascito ricevuto alla
morte del padre e di una pensione da orfano. Visse per sei anni a Vienna, durante i
quali, dal 1909, girava per la città come un vagabondo, in quanto non aveva più
neanche un soldo. Dormiva, quindi, nei dormitori pubblici, nei bar, negli ostelli
malridotti, alcuni dei quali finanziati da solidali ebrei.
Nonostante i suoi due migliori amici fossero di razza ebrea e ammirasse i mercanti
d’arte, i cantanti ed i produttori ebrei che lavoravano nell’opera lirica, questo fu
proprio il periodo in cui Hitler andò formando il suo risentimento per la razza semitica,
l’interesse per la politica e le capacità oratorie. Questo cambiamento fu possibile in
quanto a Vienna l’antisemitismo era molto diffuso e la stampa ritraeva gli ebrei come i
colpevoli di molti problemi: pensiero che interessò e influenzò lo stesso Hitler.
Nel momento in cui scappò a Monaco di Baviera, grazie ad un lascito da parte della
zia, per sfuggire al servizio militare nel maggio 1913, venne trovato e minacciato dalla
polizia che se si fosse rifiutato nuovamente di arruolarsi, avrebbe dovuto pagare una
salata sanzione e sarebbe stato condannato ad un anno di prigione. Per ironia della
sorte dopo la visita medica venne giudicato troppo debole per combattere. Venne
quindi lasciato in libertà.
Ma la sua carriera militare non si concluse qui: l’attentato alla vita dell’erede al trono
austriaco, Francesco Ferdinando, da parte di uno studente serbo, a Sarajevo – che
portò allo scoppio della prima guerra mondiale – creò in lui un più forte risentimento
nei confronti degli slavi. Si trovò, così, volontario ad entrare nell’esercito bavarese.
Combatté con merito per la prima volta contro inglesi e belgi a Ypres. Fu insignito di
due Croci di ferro per il suo coraggio. Inoltre, fu promosso appuntato. In seguito ad una
ferita a causa di un bomba nemica fu evacuato a Berlino.
Si trasferì a Monaco nel marzo 1919, alla vigilia della proclamazione della Repubblica
dei Consigli, dove si attivò in varie questioni politiche
antirivoluzionarie.
Dalla primavera del 1920 si dedicò unicamente alla propaganda
in favore del "Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori"
(NSDAP).
La sua ascesa, legata alla crisi della Repubblica di Weimar sotto i
colpi della grande depressione, fu agevolata anche
dall'acquisizione della cittadinanza tedesca, nel febbraio del
1932, grazie alla nomina di funzionario del governo del
Braunschweig.
Il 30 gennaio 1933, il feldmaresciallo Hindenburg lo incaricò cancelliere del Reich. Da
questo momento Hitler non lavorò più solo per rafforzare gli
ideali della Germania nazista, ma soprattutto per il proprio
potere personale. Capo dello Stato alla morte di Hindenburg, il 2
agosto 1934, dopo essersi sbarazzato anche del suo antico amico
e ora pericoloso rivale, il capo delle SA Ernst Röhm, assunse
anche il comando diretto della Wehrmacht.
Scoppiò la Seconda guerra mondiale che, con l'ulteriore
esaltazione dell'unità nazionale intorno al Führer, accrebbe la
concentrazione dei poteri nelle sue mani.
Dai circoli militari, cioè alcuni settori dell'amministrazione e della
diplomazia, scaturì l'attentato del 20 luglio 1944, al quale Hitler
sopravvisse scatenando una sanguinosa repressione, ordinando
la resistenza ad oltranza e la "terra bruciata" dinanzi al nemico,
che ormai invadeva la Germania da est e da ovest.
Prima di suicidarsi nel bunker della Cancelleria di Berlino assediata dai soldati
dell'Armata rossa, il 30 aprile 1945, pronunciò un’ultima professione di fede
antibolscevica e antisemita all’atto di cedere i poteri all’ammiraglio Karl Dönitz.
COMMENTO PERSONALE
L’infanzia di Hitler non può essere assolutamente considerata come una giustificazione
del terrore e dello sterminio che ha disseminato nelle vite di milioni di innocenti, ma
può essere considerata una spiegazione alla nascita della sua violenza, un principio di
quella che è diventata poi la sua malattia.
Ritengo invece che non si possa arrivare alla semplice conclusione “lo ha fatto perché
era completamente pazzo”, in quanto bisognerebbe considerare come lo è diventato.
Ciò non lo estrania assolutamente dalle sue colpe, essendo lui il disumano autore e
protagonista di questa tragedia.
La sua infanzia difficile ha dato vita probabilmente alla sua smania di terrore perché
egli non è stato in grado di assorbire ed accettare le violenze e le umiliazioni subite
quando non era ancora nelle condizioni di poter reagire.
Nel momento in cui lo è stato perché si è trovato in una situazione fisica e politica in
cui poteva esserlo, probabilmente non ha saputo controllare il rancore che lo
governava da sempre.
Ed è presumibile che questa sua smania di potere contro il più debole sia stata il
riflesso del quadro nel quale aveva vissuto da piccolo, ma dove era lui nei panni della
vittima innocente.
Il suo sembrava essere un rifiuto del mondo, di ciò che era diverso da lui.
Ciò si potrebbe spiegare dal fatto che Hitler era sempre stato rifiutato da suo padre
per la sua diversità, in quanto amante dell’arte, quando quest’ultimo pretendeva
invece che avesse un ruolo sociale ben diverso. Egli gli imponeva questa sua idea con
la violenza, senza lasciargli altre alternative.