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Andrea Moresco: Analisi del rapporto tra il pensiero e la parola
della propria dimensione interiore, né mero strumento di
comunicazione esteriore, ma è l'ambito in cui l'essere (Ereignis)
prende forma, si fa evento. Il linguaggio coincide così con il
manifestarsi dell'essere e con l'illuminarsi dell'ente.
Per questo Heidegger parla del linguaggio come “casa dell'essere”: l'uomo non
è padrone di questa casa, ma ne è un semplice ospite. Significativa è
strumento
l'identificazione del linguaggio non più come come uno ma come un
ambiente dove l'essere è a casa, può aver dunque luogo e senso. Il senso
dell'essere, come avevo accennato nell'introduzione, è anzitutto il senso di un
linguaggio storico
certo complessivo (da Platone, a Aristotele, Cartesio, Hegel,
Nietzsche, etc … ) assunto e tramandato nel corso nelle varie epoche.
Il linguaggio si serve dell'uomo per parlare (dice Heidegger a proposito degli
“gli usati dal linguaggio per parlare”):
uomini: nel linguaggio, chi parla non è
l'uomo, è il Linguaggio, ossia è l'essere. Heidegger sostiene che non è l'uomo a
possedere il linguaggio, bensì il linguaggio a possedere gli uomini. Si potrebbe
ora concludere una certa svalutazione, o meglio una certa passività, della
funzione dell'uomo all'interno dell'evento dell'essere, nonostante riguardi così
da vicino la sua esistenza: l'uomo non è padrone nemmeno di ciò che dice e,
anzi, può parlare solo dopo avere ascoltato; e dobbiamo aggiungere anche che
tanto meno l'uomo non è libero di essere libero, ma che la libertà, secondo
Heidegger, va intesa (in senso ontologico e non più antropologico) come il dono
dell'essere all'uomo. In ultima battuta, scrive il filosofo “quel che conta è
l'essere, non l'uomo”. Vorrei qui sottolineare la valenza anti- esistenzialista di
questa affermazione con cui Heidegger prende le distanze da Sartre e da tutta
la moda esistenzialistica del momento, rivendicando ancora una volta il senso
ontologico e non antropologico della sua ricerca.
Bisogna tuttavia considerare pure che, se è vero che il linguaggio, inteso in
Ereignis
ultima istanza come (l'eventualizzarsi dell'essere), si serve dell'uomo
per esprimersi, e fa dell'uomo il luogo e il tramite della rivelazione dell'essere,
è altrettanto vero l'essere si eventualizza e si disvela solo con la risposta
dell'uomo all'appello del linguaggio, tant'è che Heidegger stesso parla di
“coappartenenza di chiamata e ascolto”, ossia di coappartenenza
(Uebereignen) di essere (chiamata) e uomo (ascolto): come lui stesso dice
l'uomo è “pastore dell'essere” al punto che essere e uomo risultano consegnati
l'uno all'altro. Il linguaggio non è un puro prodotto della nostra attività
linguistica, ma non può fare a meno di usare l'uomo come suo messaggero.
Uomo ed essere non vanno quindi pensati nel tradizionale schema metafisico
soggetto-oggetto, ma nel modello post-metafisico dell'Ereignis, ossia l'evento
di coappartenenza tra uomo ed essere. Pur trovandoci sicuramente nell'ambito
di una filosofia anti-umanistica, l'uomo, a mia interpretazione, ha nell'ambito
dell'Ereignis un ruolo sì passivo ma pur sempre fondamentale e necessario.
nell'Holderin, Gesprach,
Heidegger stesso, definisce l'uomo come ossia come
dialogo fatto di appello e risposta. Sei personaggi
E' un po' lo stesso principio secondo cui i di Pirandello si
servono degli attori e del Capocomico per raccontare il loro dramma. E proprio
come gli attori finiscono per mal- interpretare e mal- rappresentare la storia dei
sei personaggi, allo stesso modo, a mio avviso, l'uomo talvolta fraintende il
dettato dell'essere (del linguaggio). Pensiamo al linguaggio come “casa
Esame di Stato A.S. 2009/2010
Andrea Moresco: Analisi del rapporto tra il pensiero e la parola
dell'essere” o, meno metaforicamente, come ciò in cui l'essere si disvela, si
esprime e prende corpo: possiamo coerentemente dedurre che il linguaggio,
nell'esprimersi attraverso l'uomo, si faccia pertanto portavoce dell'essere
all'uomo. Pensiamo ora all'essere, se non proprio come Dio (infatti Heidegger
stesso rifiutò quest'equazione onto-teologica, asserendo che l'essere, a
differenza di Dio, non è fondamento del mondo, bensì assenza di fondamento
(Abgrund), e tanto meno esso non crea né plasma il mondo), piuttosto come
simile a un Dio: l'essere infatti deve essere atteso e ringraziato dall'uomo,
proprio come fa un fedele nei confronti di Dio, e inoltre il manifestarsi di Dio, a
Ereignis,
detta di Heidegger stesso, può avvenire solo nella dimensione dell'
ossia dell'essere. Per quanto appena detto, l'essere, attraverso il linguaggio,
non può che dettare all'uomo messaggi tipicamente religiosi, di giustizia
universale, solidarietà, fratellanza, pace e uguaglianza, proprio come fa un
qualsiasi Dio di una qualsiasi religione; a conclusione di questo ragionamento
sillogistico, non vivendo certo in un mondo fatto di giustizia universale,
solidarietà, fratellanza, pace e uguaglianza, mi pare quindi verosimile che
l'uomo fraintenda nell'ascoltare l'appello del linguaggio, altrimenti vivremmo in
un mondo perfetto, e da questa incomprensione nascano i mali e i conflitti tipici
della condizione umana e del nostro mondo (ingiustizia, guerra, sopraffazioni).
A causa di questo fraintendimento “pirandelliano”, l'uomo si discosta quindi dal
messaggio dell'essere. Il quale discostarsi dall'essere, in una costruzione
ontologica che, sin dal debutto parmenideo, non ammette una terza via,
significa accostarsi al non-essere : vale a dire, nel nostro ragionamento,
compiere durante l'esistenza umana l'esperienza del nulla. E questa, che in
altri filosofi potrebbe esser considerata una contraddizione inaccettabile, non lo
è sicuramente in Heidegger. Da una parte, infatti, la possibilità di poter
progettare la propria vita che egli concede all'uomo implica un suo non-essere-
Essere e tempo,
ancora, cioè l'apertura dell'ente all'essere; dall'altra egli in è
convinto che l'uomo, in vita, possa compiere l'esperienza del nulla: l'angoscia
che un uomo prova di fronte a una minaccia, e in particolar modo di fronte
all'inevitabilità della morte, lo pone davanti al nulla, ossia al potenziale
annullamento della sua vita. Preso dall'angoscia l'uomo sprofonda e si dilegua
nel non-essere. Così l'angoscia rivela all'uomo quello che è il significato
autentico della sua presenza nel mondo, del suo esserci, ovvero la morte o,
meglio ancora, la decisione anticipativa per-la-morte, in virtù della quale la vita
diventa qualcosa di labile e sfuggente. In sintesi, tramite l'angoscia, intesa
come esperienza emotiva del nulla , l'uomo comprende la radicale nullità del
suo Esserci.
Considerando varie forme e registri linguistici (giornalistico, tecnico, scientifico,
etc...), Heidegger sostiene che il tipo di linguaggio che più efficacemente degli
altri ne esprime l'essenza, ossia disvela l'essere, è quella poetica. Infatti,
poichè l'apertura del mondo accade anzitutto e soprattutto nel linguaggio, è
nel linguaggio che si verifica ogni innovazione, ogni mutamento dell'essere:
Dichtung,
quindi, per il significato stesso di “il linguaggio stesso è poesia in
senso essenziale”. Se il linguaggio essenziale è poesia (creazione, apertura,
innovazione ontologica), d'altro canto ogni altro parlare è decaduto, diventato
un semplice strumento di comunicazione, che si limita ad articolare e
Esame di Stato A.S. 2009/2010
Andrea Moresco: Analisi del rapporto tra il pensiero e la parola
sviluppare dall'interno un'apertura già aperta. Nel linguaggio essenziale,
invece, si aprono i mondi storici in cui l'ente viene all'essere e si manifesta
nelle varie modalità della presenza umana nel mondo: per questo la poesia è
“il fondo che regge la storia” “il linguaggio originario di un popolo”
nonché ,
come dice Heidegger nella sua conferenza su Holderlin.
La parola poetica rappresenta quindi l'ambito, la radura, in cui le cose vengono
all'essere: afferma Heidegger “la poesia è istituzione in parola dell'essere”. Così
ad essa va riconosciuta un'attività creatrice fondamentale e necessaria ad ogni
civiltà: essa infatti determina innanzitutto l'identità, la cultura, usi e costumi, e
la storia di un popolo. La parola poetica apre e fonda pertanto le varie epoche
storiche; la storia di un'epoca non è altro, quindi, che la produzione di un'opera
in cui quest'epoca (dell'essere) viene istituita e rappresentata.
La poesia diventa così la somma espressione artistica del pensiero umano.
Questa vicinanza tra pensare e poetare apre a un'altra conclusione: è nel
dialogo con la poesia, sostiene il filosofo, che il pensiero si avvicina all'essenza
del linguaggio, e quindi all'essere. Il linguaggio è quindi pensare e poetare
insieme; per usare un termine heideggeriano, il linguaggio è coappartenenza di
Lettera sull'umanismo
pensiero e poesia. Ecco la frase contenuta nella che a
mio avviso racchiude, servendosi di una metafora, quanto detto fino a qui:
“Il linguaggio è la casa dell'essere. Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori e
i poeti sono i custodi di tale dimora”.
L'essenza del linguaggio va quindi ricercata nei grandi pensatori greci
dell'antichità, come Anassimandro, Parmenide o Eraclito, e nel più grande
poeta della modernità, Holderlin.
Vorrei partire da una citazione di Holderlin stesso :
Ma è nostro, o poeti,
restare a capo scoperto
sotto la tempesta di Dio,
ma afferrare con la propria mano
il raggio del Padre,
porgere al popolo il dono divino
circonfuso dal canto
Holderlin, a detta di Heidegger, è una potenza della storia del popolo tedesco, il
genio del cuore che si spezzò per la Germania. Holderlin è il perfetto poeta
heideggeriano, la sua poesia è fortemente nutrita di pensiero ( è poesia
Denkende Dichtung ),
pensante : esprime, con il potere della parola ciò che
manca al popolo tedesco, la sua carenza d'essere, e si fa messaggera della
possibilità di un superamento di questa carenza. A questo scopo, Holderlin nei
suoi versi mira dare al suo popolo un'identità, una cultura, delle nuove divinità,
come fecero Esiodo ed Omero per il popolo greco. Egli ha piena consapevolezza
della potenza della parola poetica, al punto che Heidegger lo definisce “il poeta
dei poeti”.
Holderlin non è però non era ancora riuscito a venire alla luce. Si tratta infatti di
Seyn)
uno di quei poeti che nel loro dire anticipano sì il futuro essere ( di un
popolo nella sua storia, ma che nel fare ciò vengono immancabilmente
trascurati. E infatti Heidegger si chiede “per quanto tempo i tedeschi
continueranno a trascurare queste parole feconde (di Holderlin, ndt)?” Holderlin
Esame di Stato A.S. 2009/2010
Andrea Moresco: Analisi del rapporto tra il pensiero e la parola
scrive in un momento di grande povertà per il popolo tedesco, di grande
“il poeta nel
carenza d'essere come ho detto prima, Heidegger lo definisce
tempo della povertà”, in cui l'uomo ha ormai rotto il suo rapporto autentico con
l'essere, strumentalizza tecnicamente la natura, si crede padrone dell'ente
anziché pastore dell'essere, filosofa anziché pensare, considera il linguaggio
come strumento di baratto e di dominio. Come dice Holderlin, “noi uomini
d'oggi abbiamo invero molte esperienze, nel senso della conoscenza scientifica,
ma in ciò abbiamo perso la capacità di percepire le cose, la natura e le relazioni
umane nella loro pienezza e vitalità. Abbiamo perduto il divino, vale a dire lo
spirito si è ritirato dal mondo”. Siamo in un'età in cui gli Dei sono fuggiti (“la
notte degli dei”) dal mondo e il Dio che ci salverà non è ancora arrivato, siamo
all'interno di un nichilismo in atto di cui Nietzsche diventa l'esponente più
rappresentativo, ma Holderlin non perde la speranza e, per primo, apre la
speranza dell'apertura di una nuova era storica. Secondo lui, infatti, anche nel
tempo della povertà estrema la parola non manca, manca solo il luogo dove è
possibile l'ascolto; per questo bisogna mettersi in cammino, e soprattutto
Unterwegs zur Sprache.
mantenersi in cammino verso il linguaggio: