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Introduzione Linguaggio e importanza della parola tesina
Questa tesina di maturità descrive il tema della comunicazione e del linguaggio. “In cammino verso il linguaggio”, pubblicato nel 1959, rientra nella produzione filosofica di Martin Heidegger, uno dei massimi filosofi del XX secolo. Si tratta di una raccolta di saggi editi e conferenze di Heidegger, che appartiene alla seconda fase di sviluppo del suo pensiero. L’opera presenta un carattere abbastanza unitario, nonostante le ripetizioni che lo caratterizzano. Oggetto della riflessione filosofica in questo testo è il linguaggio. Infatti, il mondo filosofico all’inizio del XX secolo conobbe una vera e propria svolta in direzione di tale argomento, in quanto il problema del linguaggio divenne il cardine del filosofare. Il mezzo linguistico, solo in relazione al quale la realtà e il pensiero esistono, venne inteso come una sorta di ponte originario tra l’uomo e il mondo circostante. Dunque nell’ambito della cosiddetta svolta linguistica, il linguaggio divenne il problema di base della filosofia. Incarnazione emblematica di questa svolta fu proprio Martin Heidegger che esprime la propria visione filosofica in merito a tale argomento soprattutto in quest’opera. Delineare nei suoi molteplici aspetti il concetto di linguaggio in Heidegger non si configura come un qualcosa di semplice, in quanto il linguaggio si sottrae spontaneamente alla meditazione speculativa dell’uomo, rimane chiuso in se stesso, dunque è difficile intuirne l’essenza. Ciò risulta ancora più difficile se si considera la peculiarità del linguaggio heideggeriano che spesso è intraducibile, dato che Heidegger crea parole nuove, secondo le esigenze del suo pensiero. La tesina permette i collegamenti con le altre materie scolastiche.
Collegamenti
Linguaggio e importanza della parola tesina
Filosofia - "In cammino verso il linguaggio" di Martin Heidegger .
Storia - La comunicazione nei totalitarismi.
Italiano - Giuseppe Ungaretti.
Latino - Quintiliano.
Inglese - Samuel Beckett.
Storia dell'arte - Surrealismo e Magritte.
FILOSOFIA
“In cammino verso il linguaggio”- Martin Heidegger (1959)
Introduzione
“In cammino verso il linguaggio”, pubblicato nel 1959, rientra nella produzione filosofica di
Martin Heidegger, uno dei massimi filosofi del XX secolo. Si tratta di una raccolta di saggi
editi e conferenze di Heidegger, che appartiene alla seconda fase di sviluppo del suo
pensiero. L’opera presenta un carattere abbastanza unitario, nonostante le ripetizioni che lo
caratterizzano. Oggetto della riflessione filosofica in questo testo è il linguaggio. Infatti il
mondo filosofico all’inizio del XX secolo conobbe una vera e propria svolta in direzione di
tale argomento, in quanto il problema del linguaggio divenne il cardine del filosofare. Il
mezzo linguistico, solo in relazione al quale la realtà e il pensiero esistono, venne inteso
come una sorta di ponte originario tra l’uomo e il mondo circostante. Dunque nell’ambito
della cosiddetta svolta linguistica, il linguaggio divenne il problema di base della filosofia.
Incarnazione emblematica di questa svolta fu proprio Martin Heidegger che esprime la
propria visione filosofica in merito a tale argomento soprattutto in quest’opera. Delineare
nei suoi molteplici aspetti il concetto di linguaggio in Heidegger non si configura come un
qualcosa di semplice, in quanto il linguaggio si sottrae spontaneamente alla meditazione
speculativa dell’uomo, rimane chiuso in se stesso, dunque è difficile intuirne l’essenza. Ciò
risulta ancora più difficile se si considera la peculiarità del linguaggio heideggeriano che
spesso è intraducibile, dato che Heidegger crea parole nuove, secondo le esigenze del suo
pensiero.
“In cammino verso il linguaggio”- Martin Heidegger- a cura di Alberto Caracciolo
L’opera si compone di VI sezioni differenti intitolate:
IL LINGUAGGIO;
IL LINGUAGGIO NELLA POESIA. IL LUOGO DEL POEMA DI GEORG
TRALK;
DA UN COLLOQUIO NELL’ASCOLTO DEL LINGUAGGIO;
L’ESSENZA DEL LINGUAGGIO;
LA PAROLA;
IL CAMMINO VERSO IL LINGUAGGIO.
Nella parte iniziale Heidegger intende il linguaggio secondo una nuova accezione.
Solitamente per linguaggio si intende il parlare come attività e capacità propria dell’uomo,
per cui la voce è l’elemento costitutivo del parlare. Anche Wilhelm von Humboldt, filosofo
tedesco del XVIII secolo, espresse la visione, intendendo per linguaggio quell’elemento si
strutturazione del pensiero che corrisponde a una precisa visione del mondo. Heidegger
critica fortemente sia l’una sia l’altra definizione. Egli al contrario afferma che il linguaggio
rientra nella quotidianità dell’uomo, l’uomo è uomo in quanto essere parlante. Il linguaggio
non può essere definito soggettivamente, ma occorre che sia il linguaggio stesso a parlare in
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noi. Sostiene inoltre che “Il linguaggio è il linguaggio. […] Il linguaggio parla” , dunque
che riflettere sul linguaggio significa giungere al parlare del linguaggio. Ma dove l’uomo
può cogliere questo parlare? In una parola già detta, che custodisca il parlare stesso del
linguaggio, che si richiami al luogo della sua essenza. Questa parola già detta deve essere il
risultato di una ricerca linguistica e come tale la si può ritrovare soltanto nella poesia, il
luogo dell’essenza del parlare del linguaggio.
Ne “Il linguaggio nella poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl” Heidegger esamina
alcuni versi che appartengono alla produzione letteraria di Georg Trakl, per scoprire il
"luogo" (Ort: quel che riunisce a sé) del poema di Trakl, in quanto solo dal luogo della
poesia prendono luce e suono i singoli componimenti poetici. È proprio dal rapporto tra
pensiero e poesia che si evoca l’essenza del linguaggio, affinché l’uomo impari a dimorare
nel linguaggio stesso. Dopo aver esaminato e analizzato numerosi versi, Heidegger giunge a
identificare l’Ort con l’eterogeneità che caratterizza il linguaggio poetico di Trakl. Infatti “il
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linguaggio della poesia è per sua natura polisenso” . Dunque se si pretende di capire quanto
dice una poesia con l’idea che essa ha un solo significato nulla risulterà chiaro. Intrinseca al
parlare della poesia è dunque una velata ambiguità.
Il terzo saggio è stato composto da Heidegger sotto forma di dialogo tra l'Interlocutore (lo
stesso Heidegger) ed un Giapponese (il conte Shuzo Kuki). Ponendosi all'ascolto del
linguaggio, evitando la rappresentazione del linguaggio, è possibile accedere a quella
dimensione più alta, che rende possibile il dialogo al di là di ogni differenza culturale. Il
colloquio con il giapponese è quindi lo spunto per una riflessione sulla dicotomia tra Essere,
che si manifesta attraverso la parola, e Nulla, la possibilità permanente che si offre al
Dasein, al quale il mondo appare come realtà che si instaura nel nulla.
In “L’essenza del linguaggio” Heidegger si sofferma sui due versi conclusivi della poesia di
Stefan George, intitolata appunto La parola:
Così io appresi triste la rinuncia:
Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca.
Heidegger invita a riflettere con maggiore attenzione sul verso in cui il poeta dice di aver
appreso, triste, la rinuncia. E’ in questa “rinuncia” che si racchiude l’esperienza poetica
della parola, e perciò del linguaggio. La rinuncia del poeta consiste nel suo porsi in un
diverso rapporto poetico con la parola, “..il poeta ha capito che solo la parola fa si che
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qualcosa appaia, e sia pertanto presente, come quella cosa che è” . Il poeta ha appreso che
solo la parola consente un rapporto con la cosa. Quando viene a mancare la parola giusta,
quando essa non ci viene concessa dal linguaggio, quel che vorremo intendere con una
parola lo lasciamo nell’ inespresso, nel suo essere ancora assente. Attraverso
l’interpretazione dei versi di George, Heidegger mette in luce anche la vicinanza di pensare
e poetare. Pensare e poetare si muovono nell’elemento del dire, si appartengono
reciprocamente, ma determinare il loro rapporto autentico risulta difficile. Alla luce di
queste non semplici considerazioni la parola, il dire, non hanno la stessa essenza della
“cosa”. Ciò che fa essere il linguaggio come linguaggio è il Dire originario in quanto
mostrare. Il linguaggio parla, “..parla in quanto dice, cioè mostra. Il suo dire scaturisce dal
Dire originario, sia per quanto s’è fatto parola sia per quanto è rimasto ancora
inespresso..; ..in quanto il parlare è l’ascolto del linguaggio, parlando, noi ri-diciamo il Dire
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che abbiamo ascoltato” .
Nella quinta sezione intitolata “La parola” Heidegger analizza una particolare poesia di
Stefan Georg intitolata appunto “La parola”. La poesia è incentrata sul tema della rinuncia
del poeta alla parola. La rinuncia non è però da intendere in senso negativo, ma positivo,
poiché è la parola stessa a manifestarsi, donando il nome alle cose. Egli afferma che “il
termine più antico per indicare il potere della parola,…per indicare il dire è Lògos: il Dire
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originario (die Sage)” .Tuttavia l’essenza del linguaggio come Dire originario resta avvolta
nel mistero, nell’indeterminato, nell’inclassificabile.
Nella parte conclusiva della sua opera “In cammino verso il linguaggio” Heidegger giunge a
uno dei cardini del suo pensiero : "L'uomo non sarebbe uomo se non gli fosse concesso di
parlare ininterrottamente, per ogni motivo, in riferimento a ogni cosa (...). In quanto il
linguaggio concede questo, l'essere dell'uomo poggia sul linguaggio. […] E' la facoltà di
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parlare che fa l'uomo, uomo" . "Dire e parlare non sono la stessa cosa. Uno può parlare,
parlare senza fine, e tutto quel parlare non dice nulla. Un altro invece tace, non parla, e però,
col suo non parlare, dice molto […] Dire (Sagen) significa "mostrare, far che qualcosa
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appaia, si veda, si senta" .
"Ciò che fa essere il linguaggio come linguaggio è il Dire originario (die Sage) in quanto
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mostrare (die Zeige)" . Da esso traggono origine tutti i segni e la possibilità di essere segni.
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È il Dire originario che ci fa giungere alla parola. Camminando verso il linguaggio
possiamo entrare in colloquio con il linguaggio stesso, rispondere al suo appello, alla
chiamata di qualcosa che è “prima di noi”, che non può essere oggettivato, rifiutando ogni
forma di metalinguaggio, entrando in un circolo ermeneutico, ricercando l’autenticità della
parola.
NOTE
1. “In cammino verso il linguaggio”- Martin Heidegger – a cura di Alberto Caracciolo
pag. 28
2. Ibidem Pag. 74
3. Ibidem Pag. 200
4. Ibidem Pag. 187
5. Ibidem Pag. 189
6. Ibidem Pag 198
7. Ibidem Pag 199 STORIA
“La comunicazione nei totalitarismi”
Nel periodo compreso tra le due Grandi Guerre si crearono i cosiddetti regimi totalitari
accomunati, tra le altre cose, come ben descritto nell'opera della studiosa Hannah Arendt
"Le origini del totalitarismo", dalla presenza di un leader carismatico e dal culto della sua
persona, dall'organizzazione del consenso e dalla repressione del dissenso. Questi aspetti
sono assolutamente basilari per quanto riguarda la costituzione e il mantenimento di un
regime dittatoriale e furono resi possibili dall'enorme sviluppo che investì quelli che oggi
sono definiti "mezzi di comunicazione di massa". Nei primi anni del ventesimo secolo,
andò sviluppandosi un processo che vedeva la comunicazione ricoprire un ruolo sempre più
importante. Ma i regimi totalitari intensificarono i propri interventi sul sistema culturale,
sottoponendo mezzi di informazione e manifestazioni varie ad un controllo capillare. Il
cinema, per esempio, era sottoposto a misure censorie. Infatti quest’ultimo aveva l’obbligo
di sopprimere o rendere invisibili scene con donne semi nude o ragazzi che chiedono
l'elemosina; si chiedeva di cambiare le parole straniere, come ad esempio camion, con
parole italiane, come autocarri. Ai giornali, invece, fu proibito dare notizie su processi
svoltisi al tribunale militare, su Einstein, sulle malattie del Duce o del Papa; mentre si
invitava caldamente a sottolineare particolari come la divisa da primo maresciallo
dell'impero indossata dal Duce, la freschezza di Mussolini dopo quattro ore di trebbiatura ed
infine le dieci acclamazioni della folla per far affacciare Mussolini al balcone.
Tra i vari regimi totalitari, quello che seppe sfruttare nel migliore dei modi la propaganda fu
sicuramente quello nazista; Hitler, capita l'importanza di quest'aspetto, istituì il ministero
della propaganda con a capo uno dei suoi collaboratori: Joseph Paul Goebbels. A
testimonianza di quanto peso dessero i nazisti alla diffusione dell'informazione ogni mattina
i redattori dei quotidiani di Berlino e i corrispondenti di quelli stampati in altre città del
Reich si riunivano al ministero della propaganda per farsi dire dal dottor Goebbels quali
notizie stampare e quali tacere, come scrivere le notizie e come intitolarle, quali campagne
rimandare e quali lanciare e qual era l'articolo di fondo desiderato per quel giorno. Per
evitare malintesi venivano fornite, insieme alle istruzioni orali, direttive scritte giornalmente
che venivano inviate ai piccoli giornali periferici per telegrafo o per posta. I giornalisti
dovevano essere di pura razza ariana e irreprensibili dal punto di vista della fedeltà al
regime. Analogo trattamento subirono i nuovi mezzi di comunicazione di massa, cioè la
radio e il cinema. Il nazismo avvertì molto acutamente l'enorme potenziale di questi enti per
la generazione del consenso; essi vennero quindi asserviti alla propaganda del Reich.
Nell'URSS, invece, l'uso dei mezzi di comunicazione di massa fu portato avanti in una
maniera molto più rigida e "fisica": mentre, infatti, nei regimi nazionalfascisti il consenso
veniva organizzato in modo rigido ma senza alcuna esagerazione, in Russia si era creato una
vera e propria atmosfera di terrore; un esempio significativo di questa sottomissione dei
cittadini nei confronti del regime ci viene fornito dallo scrittore Aleksandr Isaevic
Solzenisyn autore del libro “Arcipelago Gulag”: "si sta svolgendo, nella regione di Mosca,