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Introduzione
Sembra lecito far iniziare la tesina con un’introduzione, non tanto per la sua difficoltà di
comprensione, che non sussiste, ma per motivare la scelta del contenuto, contestualizzando
gli spunti delle varie materie appresi nel corso di studi.
libero arbitrio
Il tema da me affrontato è quello del ; c’è da premettere che si tratta di una
tematica notevolmente ampia, le cui sfumature toccano i campi più disparati della storia del
sapere umano; pertanto tengo a sottolineare che mi concentrerò più precisamente
sull’evoluzione del libero arbitrio nel corso della Historia umana e il suo modo di esistere in
rapporto alla società.
La mia speculazione parte dalla definizione filosofica di arbitrio, che permette di delinearne in
modo astratto il polimorfismo.
Per poi approdare all’età classica greca e latina in cui le leggi dell’agire umano si fondano
sulla concezione fatalistica e provvidenzialistica, per giungere all’età moderna, fondendosi
con l’indagine scientifica del reale, e trovare sbocco nella teoria delle possibilità, coronando
dell’anti-determinismo.
il sogno
L’interesse per questo tema e un’analisi approfondita a riguardo, guidata dalle teorie delle
varie scuole di pensiero affermatesi nel corso della storia, mi ha portato a valutare come
l’antitesi tra le due ideologie, l’una fatalistica l’altra probabilistica, ancora oggi durante quella
che è ormai classificata come terza rivoluzione industriale, non si sia tramutata in una sintesi
conciliatoria. 3
P I
ARTE Sulla definizione filosofica di arbitrio
L’armamentario Kantiano alla vita pratica Critica della ragion
Sembra inevitabile, quando si parla di libertà, non fare riferimento alla
pratica; Critica
premesso che quest’opera è frutto di precedenti riflessioni trascendentali (
della ragion pura) per le quali nessuna esperienza poteva dimostrare la ragion pura, essa
assurge al titolo di “Critica” perché anche la ragion pratica, come quella pura, tenta di
separare il trascendente dall’immanente, escludendo la conciliazione antropologica tra
sensibilità e intelletto. sensitivum
Dunque non è tautologia spicciola la distinzione kantiana tra arbitrio e arbitrio
liberum che si esplica nel soggetto-uomo, riconosciuto come fenomeno sottostante a leggi
empiriche, che lo coinvolgono sensibilmente, sia prima come oggetto intelligibile attraverso
le facoltà di ragione, espressione dell’incondizionamento, sia poi attraverso l’intelletto, ponte
tra ragione e sensibilità.
Ma allora dove possiamo ricercare il fattore comune ad entrambi?
causalità
Nella categoria della Kant ritrova il divenire dell’esistenza. Entrambe: ragione e
natura seguono il rapporto di causa-effetto; più precisamente: la prima applica tale principio
alla seconda. Per questo non è contraddittorio pensare alla causalità libera, non empirica, ma
che ha i suoi effetti nel mondo sensibile.
Il primo ostacolo da superare è l’inconciliabilità tra natura e libertà, esse sono entrambe
aspetti fondamentali della vita umana; apparentemente non c’è un’origine comune, non è
chiaro se l’arbitrio sia libero o condizionato dai fenomeni. In realtà per comprendere la
questione non possiamo far riferimento ad un unico punto di vista, dobbiamo basarci su
un’osservazione a tutto tondo. Per la soluzione a questo problema infatti esiste sia un
risultato intelligibile, per il quale le azioni sono al di là della catena naturale, sia un risultato
empirico dove le azioni sono necessitate dalla natura. Le azioni sono ritenute sia libere, per il
carattere intelligibile, necessarie,
sia per via delle cause empiriche e degli effetti empirici
della causa razionale. 4
critica della ragion pratica, negativo,
Nella Kant illustra i due momenti dell’idea di libertà: il
positivo,
che è semplice indipendenza dalle inclinazioni sensibili, e il che è la capacità di
autodeterminarsi moralmente.
legge morale,
Certa è l’esistenza della essa, pur essendo realmente oggettiva, provvede
alla deduzione di una facoltà indimostrabile dall’esperienza: la libertà, la quale non castiga
legge della causalità mediante la libertà.
ma conferma la causalità; si parla infatti di
La legge morale si basa sugli imperativi categorici, validi universalmente a priori, ma che non
devono ingannare sulla falsa prevalenza della proprietà positiva della libertà.
Secondo la causalità della legge naturale, ogni causa determina l’effetto figlio pur essendo
stata anch’essa il risultato di una causa madre; viene quindi ribadita la necessità di un ordine
che presiede su tutti gli eventi naturali. Questa legge è una legge dell’intelletto, in virtù di
quel legame indissolubile tra l’esperienza umana del fenomeno e il fenomeno stesso, il quale
se non esistesse ucciderebbe il principio di oggettività scientifica.
Il dubbio sorge spontaneo nel dover stabilire se un evento è solo effetto naturale e quindi
rapporto
necessario, o effetto della libertà. Sappiamo che le cause della natura vivono un
orizzontale tra di loro, come se fossero tutte effetti del medesimo momento temporale, per i
quali non si trova un origine .
E’ possibile che questo effetto sensibile sia dovuto ad una causa intelligibile che non
danneggi la legittimità della legge naturale? L’intelletto ha ciò che gli occorre per il suo uso
empirico, mentre le spiegazioni fisiche seguono il loro libero corso.
Non possiamo comunque supporre l’esistenza di cause dal potere intelligibile che dominano
sulle altre, perché altrimenti il soggetto agente (causa phaenomenon) sarebbe sempre
imbrigliato nella natura con le sue azioni dipendenti da essa, mentre il phaenomenon del
soggetto avrebbe i requisiti trascendentali per risalire dall’empirico al trans fenomenico,
quando acquista valore nell’esperienza del solo intelletto puro.
Supponiamo ora di inquadrare la situazione facendo riferimento al carattere empirico, poiché
esso stesso è fenomeno ed è una delle cause naturali che sottostanno alle leggi empiriche;
concretamente ciò si verifica nelle forze e nelle facoltà che l’uomo applica alle sue azioni.
Ma dato che anche per Kant l’uomo è animale razionale, ha sia conoscenza della natura
sensibilmente, l’appercezione,
sia conoscenza di se stesso tramite con la quale operazioni e
determinazioni interne non sono derivate dalla sensibilità.
imperativi,
La causalità della ragione è rappresentata dagli che noi assegniamo come regole
alle nostre attività; questi rendono effetti i fenomeni che a seconda delle condizioni
particolari si presentano in forme diverse. Questa causalità è sempre parte del carattere
empirico, in quanto a partire dalle sue manifestazioni fenomeniche, sviluppa una regola che
spinge le azioni della ragione stessa; deviare dalla necessità della ragione non è libertà ma
impotenza. Rispetto a tale carattere empirico non esiste la libertà in quanto pre condizionata
dall’ambiente. Se invece le azioni sono rapportate alla ragione, troviamo una legge diversa
da quella della natura.
La natura come facoltà intelligibile non deve sottostare alla forma del tempo, altrimenti
seguirebbe anche essa la legge empirica dei fenomeni, una causalità uguale alla natura e
non uguale alla libertà.
Quindi il libero arbitrio è pensabile solo in modo trascendentale in accordo alla tesi della
terza 5
Antinomia (1), non come il poter scegliere tra un’azione contraria o conforme alla legge o
che provochi piacere sensibile, se infatti contaminiamo l’arbitrio con l’empirico si perde la
moralità dell’agire.
“non serve, per risolvere il problema tra determinismo e libero arbitrio,
In realtà per Kant
puntare su un determinismo psicologico invece che meccanico, o su motivi razionali che
hanno tuttavia la loro esistenza nel tempo” (2) . Perché dobbiamo immaginare la stessa
morale come sinodo di ragione e sentimento, in quanto se l’uomo fosse solo sensibilità essa
non esisterebbe, o se fosse pura ragione, la morale perderebbe senso rientrando nella
“santità”, in pieno accordo con la legge. revival
Potremmo quindi azzardare nel rappresentare la Critica della ragion pratica come un
platonico, tendente alla convivenza tra due mondi paralleli: il fenomenico della scienza e il
noumenico dell’etica, che comportano, il primo le inclinazioni umane, e il secondo la libertà
e il dovere.
Non potendoci limitare alla sola dottrina Kantiana per una definizione oggettiva di cosa sia
esattamente il libero arbitrio, è necessario un confronto con altri due grandi filosofi della
storia, che hanno saputo, in modo concordante o discordante da Kant, illustrare la condotta
pratica dell’uomo: Kierkegaard e Nietzsche.
Causalità e necessità
Kantianamente parlando, benché l’unica interpretazione del mondo sia quella dello schema
causa-effetto, la mente sembra essere predisposta a scorgere nella natura l’esistenza di un
fine e di conseguenza, di una causa suprema (Dio) che ordina il mondo a misura d’uomo,
rendendo possibile libertà e moralità. Ma il modello teologico non può pretendere di spiegare
scientificamente la natura data la sua indimostrabilità, sebbene esso ci rammenti i limiti del
meccanicismo e l’intrascendibilità del fenomenico. Inoltre la visione di un fine in questi
imperativo ipotetico non
termini, secondo la critica della ragion pratica, richiamerebbe un e
categorico .
(3)
La componente causale (che porta Kant a rendere il mondo fenomenico necessitato da cause
parallele) è esclusa in Kierkegaard, infatti essendo definito il “filosofo della possibilità” non
solo nega la relazione tra i vari stadi dell’esistenza, vissuti come mondi inconciliabili, ma
priva l’individuo del suo aspetto trascendente che in Kant portava alla costruzione delle
proprie possibilità. Questo è un fattore impossibile nell’uomo Kierkegaardiano, il quale è
punto zero angoscia
posto nel a scegliere tra opzioni di vita prestabilite, causa o dell’ durante
disperazione
l’indagine fenomenica del soggetto in rapporto al mondo esteriore o della
quando l’individuo rapportandosi al proprio io, reagisce o con un rifiuto del proprio modo
d’essere, o con un’accettazione non corrispondente alla visione del suo essere finito.
Anche Kierkegaard come Kant concepisce l’uomo come ibrido di necessità e libertà, benché
in balia del precostituito, coordinato o dalla legge morale o dalla legge divina. 6
Seconda inattuale (sull’utilità e il danno della storia per la
Per quanto riguarda Nietzsche, la
vita) è un’opportunità per criticare la visione dell’uomo come processo necessario voluto
dalla storia (anch’essa risultato di rapporti di causa-effetto), accusata di voler vanificare
l’agire umano in ribellione di fronte allo schema della metafisica. Questa facoltà dell’uomo
appena individuata allarga il panorama delle possibilità, non più considerate alla stregua di
un agente lenitivo. La morale e la divinità
Per Kierkegaard lo stadio etico è il primo passo per raggiungere una libertà nella legge, dal
momento che l’estetico conduce a possibilità inconcludenti e quindi all’angoscia; proprio
come in Kant l’uomo etico dà a se sesso la propria legge, ma mentre per Kant la moralità è il
punto di arrivo(4), in Kierkegaard il principio morale perde valore dinnanzi a quello religioso,
il quale opera grazie alla fede dell’uomo che si affida nelle mani di Dio. Il Dio Kantiano rientra
nei postulati ed è quindi indimostrabile, al contrario della morale assolutamente certa,
fondamento della libertà. prova
Quindi Kant si approccia agnosticamente alla divinità(5): sbaglia perciò sia la
ontologica prova cosmologica
che pretende di passare dalla possibilità alla realtà, sia la che
fa un uso scorretto del principio di causa: partendo dall’esperienza vuole scalare la catena
degli effetti contingenti e arrivare alla prima causa (il necessario), connettendo
prova fisico-
ingenuamente il fenomenico al trans-fenomenico. Infine sbaglia anche la
teologica che immagina una mente ordinatrice del mondo, tralasciando che l’ordine naturale
può essere anche il risultato della stessa legge di natura.