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Sintesi
Latino: Lucrezio
Greco: Menandro
Inglese: Hardy
Filosofia: Schopenhauer
Italiano: Manzoni
Estratto del documento

Destino e libero arbitrio

Eutichide,la Tyche di

Antiochia

Percorso tesina

Eleonora Caianiello

III^E

Introduzione: Dibattito (posizioni generali) tra i due neuroscienziati

contemporanei Pinker e Rose sull’influenza che i geni hanno nella vita

dell’uomo; clinamen

Latino: Lucrezio e il (l’esaltazione del libero arbitrio umano

ricondotta alla genesi cosmologica); confronto e differenze con un passo

De divinatione De providentia

tratto dal di Cicerone e dal di Seneca;

tuche

Greco: la crisi dell’individuo nell’età ellenistica; il ruolo della (destino)

nella Commedia menandrea;

Inglese: Hardy e gli influssi darwinisti e di Schopenhauer, la visione

pessimistica del cosmo, la riduzione dell’uomo a marionetta soggetta al destino

The Mayor of Casterbridge;

indifferente (se non ostile); riferimento testuale a

Filosofia: Schopenhauer e il principio di volontà come limitazione di ogni

scelta umana;

Italiano: Manzoni e il ruolo della Provvidenza divina sul percorso umano ;

confronto con la concezione di Verga (ideale dell’ostrica, immobilismo e

darwinismo sociale, riferimento al romanzo zoliano)

Determinismo e libertarismo, il dibattito tra

Pinker e Rose

Steven Pinker, neuroscienziato cognitivista

“Contrariamente a quanti molti pensano del mio lavoro e delle mie teorie, io

non credo affatto che quello che le persone facciano sia controllato dai geni […]

Il problema non è di stabilire se queste affermazioni siano vere o false, ma di

stabilire quanto siano banali. E’ ovvio che siamo in controllo della nostra vita e

del nostro destino, ma la mia domanda è: che cosa nelle nostre menti ci

consente di controllare le nostre vite? Che cosa ci rende padroni della nostra

vita in un modo diverso da quello di una scimmia o di un gatto? L’approccio che

io seguo per rispondere a questa domanda è anche indicato come

<<psicologia evoluzionistica>> […] I desideri e le credenze non sono oggetti

privi di colore, odore, sapore […] Non esiste alcuna anima immateriale,

fantasma o spirito che magicamente manovri le leve del nostro

comportamento. In parole semplici ritengo che le credenze sono un tipo di

informazione immagazzinata nel cervello con le stesse modalità con cui

l’informazione è immagazzinata in qualsiasi porzione di materia. I desideri sono

invece gli scopi, che operano allo stesso modo in cui operano i goal states, gli

obbiettivi nei programmi di intelligenza artificiale. La domanda che segue

immediatamente questa spiegazione è: perché noi abbiamo il tipo di pensieri e

sentimenti che abbiamo? Un’ importante fonte di informazione per rispondere a

questa domanda si trova nei processi che hanno prodotto il cervello, e in

particolare nel meccanismo di selezione naturale. Per oltre un secolo, in ambito

psicologico la percezione è stata compresa in termini di adattamento, cioè

come un prodotto della selezione naturale. Questa logica, secondo me, può

essere estesa. Così come negli organismi esistono complesse facoltà che

costruiscono un’interpretazione del mondo, a partire da un’ immagine

proiettata sulla retina, così esistono complesse facoltà cognitive. Ritengo che

noi disponiamo, per esempio, di intuizioni sul mondo fisico che ci permettono di

comprendere gli oggetti inanimati; di un senso intuitivo della biologia che ci

consente di comprendere come funziona il mondo vivente; di una psicologia

intuitiva che ci consente di essere creature sociali e di interpretare il

comportamento di altre persone alla luce dei loro desideri ed opinioni; di un

senso del numero e del senso dello spazio; di una capacità linguistica che ci

consente di instaurare legami sociali e di scambarci informazioni […] Altre

emozioni sono state interpretate con successo come adattamenti; la paura è

ritenuta un adattamento che prepara l’organismo ad affrontare un pericolo. Gli

stimoli che inducono universalmente la paura sono i pericoli ancestrali, come le

altezze, gli animali velenosi, le acque profonde, i luoghi chiusi. La componente

fisiologica della reazione a questi pericoli, ad esempio il rilascio di adrenalina e

l’aumento della frequenza cardiaca, preparano l’organismo ad oaffrontare un

pericolo fuggendo o reagendo in un altro modo adeguato. La paura, inoltre, è

direttamente correlata alle quantità di pericoli nell’ambiente: gli animali che si

sono evoluti su isole senza predatori, perdono il senso della paura, tanto è vero

che sono vittime predestinate, se i predatori invadono di nuovo il loro ambiente

[…] Nel caso di emozioni sociali, invece, dobbiamo rifarci ad un altro corpo di

cooscenze, in particolare al concetto di vantaggio genetico indiretto ben

Richard Dawkins

riassunto nella metafora di del “gene egoista”: le persone

hanno un’ innata tendenza ad amare la loro famiglia, i loro figli, genitori e

fratelli, perché un gene in grado di indurre tali emozioni protegge e favorisce

copie di se stesso presenti nelle persone amate. Così come un gene per la

paura avrà meno probabilità di finire in fondo a un burrone, così un gene che

faccia amare i propri figli sarà selezionato positivamente, perché avrà più

probabilità di finire nel corpo di un nipote e quindi di arrivare, generazione

dopo generazione, fino a noi […] Non si intende affermare che i geni causino

direttamente comportamenti anche se per comodità si usa semplificare in tali

termini […] Penso inoltre che attività umane importantissime come i sogni, la

religione, l’arte, la musica, il linguaggio scritto, la matematica e la scienza che

apprendiamo a scuola non siano adattamenti, bensì prodotti collaterali di

adattamenti.

Steven Rose, neurobiologo

“Theodesius Dobzhansky ha detto che niente ha senso in biologia se non alla

luce dell’evoluzione”. Io ho un cruciale emendamento, ovvero che niente ha

senso in biologia se non alla luce della storia, cioè della storia evolutiva, dello

sviluppo sociale, insomma della storia della nostra stessa scienza. I cervelli

reali, al contrario di Steve, trasformano informazione inanimata in vivo

significato, dando un senso al mondo che ci circonda. L’elaborazione del

cervello conferisce agli imput sensoriali un significato, che è basato

sull’esperienza, ed è fornito sia dalla storia evolutiva che dallo sviluppo

individuale […] Prendiamo l’amore umano, ad esempio. Steve spiega l’amore

come la conseguenza del comune interesse genetico che i partner hanno verso

i figli. Questo non lascia spazio all’amore omosessuale, all’amore fra individui

che non siano imparentatie così via. E’ chiaro che come neuroscienziato io

posso parlare degli impulsi nervosi nell’ipotalamo, di sbalzi ormonali; ma né

queste cose, né i nostri geni possono dirci niente sul sentimento che si prova

quando si ama, su cosa significi essere una persona innamorata, due persone

che si vogliono bene e che interagiscono. Organismi e menti non sono fenotipi

vuoti, correlati banalmenente a particolari configurazioni di geni. Le nostre vite

linea di vita,

formano una traiettoria di sviluppo, cioè una concetto che dà

anche nome ad uno dei miei libri, e sono stabilizzati dall’azione di ciò che ho

omeodinamica.

definito Questa traiettoria non è determinata dai nostri geni, né

è suddivisa dalle categorie strettamente dicotomiche di geni e ambiente. Essa

emerge da quello che io definisco un processo autopoietico, plasmato

dall’interazione di specificità e plasticità. […] Io temo che l’approccio

congeli la vita.

riduzionista e semplicistico che Steve ci ha presentato Nel

tentativo di catturare la vita nel suo essere, si perde il suo divenire. La

selezione è il principale ma non il solo meccanismo che induce questi

cambiamenti, i processi selettivi sono limitati, non tutti i cambiamenti sono

evolutivi. Alcuni possono essere dettati da contingenze e da incidenti storici

essenzialmente neutri nei loro effetti. Gli organismi non sono semplicemente

delle vittime passive dei processi selettivi, ma giocano un ruolo attivo nel

creare il loro, il nostro destino.”

Se Pinker avesse ragione, dunque, sarebbe anche vero, come afferma Rose,

che “Tutti i nostri desideri ed emozioni più intimi, i nostri più meschini fallimenti

egoistici, così come le nostre più altruistiche ambizioni di creare un mondo

migliore, sono solo un illusorio spettacolo di ombre cinesi”

Libertà versus necessità

Il clinàmen lucreziano

Infine, se sempre ogni movimento è concatenato

e sempre il nuovo nasce dal precedente con ordine certo,

né i primi principi deviando producono qualche inizio

di movimento che rompa i decreti del fato,

sì che causa non segua causa da tempo infinito,

donde proviene ai viventi sulla terra questa libera volontà,

donde deriva, dico, questa volontà strappata ai fati,

per cui procediamo dove il piacere guida ognuno di noi

e parimenti deviamo i nostri movimenti, non in un tempo determinato,

né in un determinato punto dello spazio, ma quando la mente di per sé ci ha

spinti?

Difatti senza dubbio in ognuno dà principio a tali azioni la sua propria

volontà, e di qui i movimenti si diramano per le membra.

Non vedi anche come, nell'attimo in cui i cancelli del circo

sono aperti, non possa tuttavia la bramosa forza dei cavalli

prorompere così di colpo come la mente stessa desidera?

Tutta infatti, per l'intero corpo, la massa della materia

deve animarsi, sì che, una volta animata, per tutte le membra

segua con unanime sforzo il desiderio della mente.

Quindi puoi vedere che l'inizio del movimento si crea dal cuore,

e dalla volontà dell'animo esso procede primamente,

e di là si propaga poi per tutto il corpo e gli arti.

[Lucrezio, De rerum natura, II, 251-271]

Lettera a Meneceo:

Epicuro scriveva nella “era meglio seguire i miti sugli dei

piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici: quelli infatti lasciano la

speranza di placare gli dei mediante onori, ma il destino comporta una

necessità implacabile”. Questa sentenziosa affermazione ci dimostra che già

Epicuro non riusciva a piegarsi alla rigorosa dottrina meccanicistica e

deterministica democritea. Questo approccio viene ripreso da Lucrezio, il quale

nel De rerum natura introduce il clinàmen dando ampio spazio al valore del

libero arbitrio umano. L’atomo infatti, è dotato della facoltà di deviare

leggermente dalla sua traiettoria; senza questa deviazione gli atomi

cadrebbero come pioggia nel vuoto senza causare alcun urto, e quindi senza

plasmare la materia. Il binomio libertà/necessità viene dunque scisso e

disgregato: la necessità, intesa deterministicamente, per Lucrezio, non fa altro

che sopprimerebbe la libertà che è prima prereogativa per la completezza

morale di tutti gli uomini. Il clinàmen è una facoltà naturale insita nella materia

e i suoi risvolti morali giustificano la libertà accordata a tutti gli uomini.

La dottrina del clinàmen è stata interpretata da moltissimi critici per spiegare la

filosofia epicurea – riletta in chiave lucreziana naturalmente – e il suo carattere

è stato talvolta definito pessimistico, talora più ottimistico. La visione che

propongo e che condivido è che la filosofia epicurea rispetto alla filosofia

lucreziana affronta le tematiche della logica e della fisica ma soprattutto

dell’etica in chiave meno pessimistica rispetto all’approccio lucreziano. Ad ogni

modo, affermare che la filosofia di Lucrezio presenti essenzialmente massime

proprie a un uomo angosciato, disperato, che sovente rammenta l’infima

“il genere umano si

condizione umana e l’imminente fine del mondo (cfr.

travagli senza alcun frutto e invano sempre, e tra inutili affanni consuma la

vita, certo perché non conosce un limite al possesso e nemmeno, fin dove

s’accresca il vero piacere” De rerum natura, libro V, vv. 1430-1433) tanto da

ante-litteram,

essere stato paragonato ad un Leopardi è un’ipotesi certamente

legittima; ma va ammesso, d’altra parte, che la teoria del clinàmen non può

essere pessimistica: riconoscere i limiti della condizione umana non è indizio di

un carattere nevrotico o esisistenzialisticamente angosciato, ma segno di una

capacità di abbracciare il reale in una veduta di luci ed ombre. (Roncoroni)

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