Anteprima
Vedrai una selezione di 8 pagine su 34
Lavoro minorile Pag. 1 Lavoro minorile Pag. 2
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 6
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 11
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 16
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 21
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 26
Anteprima di 8 pagg. su 34.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Lavoro minorile Pag. 31
1 su 34
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

1. Premessa

Cos’è il lavoro minorile? Perché esiste? Qual è la responsabilità del potere pubblico? Il lavoro

minorile è scomparso nei paesi ricchi? Che tipi di lavoro svolgono i minori? Quali fattori li

spingono a entrare nel mercato del lavoro? Sono alcuni degli interrogativi (le cui risposte

potrebbero sorprenderci) sul lavoro minorile che però, forse, non ci poniamo ed a cui non pensiamo

abbastanza. Troppo immersi nella nostra frenetica vita quotidiana, finiamo con il dimenticarci che

ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, in qualsiasi parte del mondo, magari a noi vicina, bambini

vengono sfruttati in attività a loro non competenti, anziché andare a scuola, come dovrebbero.

L’intenzione di occuparmi di questa tematica mi è stata suggerita dalla lettura del libro “Storia di

Iqbal” di Francesco D’Adamo, libro acquistato e letto alcuni anni fa. Ho così deciso di rileggerlo,

trovando la lettura talmente coinvolgente, che ho subito pensato: “Sì, ho deciso! Nella mia tesina mi

occuperò del lavoro minorile!”. Questo scritto affronta il delicato tema del lavoro minorile da una

prospettiva nazionale ed internazionale, per gli aspetti legislativi e quelli conoscitivi, per quelli

teorici e definitori e per quelli di quantificazione. Vengono dapprima ripercorse le origini della

problematica in questione, partendo dalla Rivoluzione industriale, dalla presa di coscienza, dalle

prime leggi e convenzioni sino ad arrivare ai giorni nostri, facendo tappa nei vari continenti e nel

nostro Paese. Dopo una panoramica della situazione mondiale e nazionale si cerca, poi, di trovare

risposta a quegli interrogativi iniziali, passando in rassegna le tipologie di lavoro minorile, così

come le organizzazioni internazionali che da anni si occupano del problema (Unicef, ManiTese).

Vengono inoltre inserite alcune storie vere di bambini sfruttati, tra cui lo stesso Iqbal Masih, Mohan

e Velucio. Conclude il lavoro l’inserimento di esempi letterari, italiani ed inglesi, di bambini cui

l’infanzia è stata negata, come Rosso Malpelo, piccolo lavoratore di una zolfatara sicilana e Oliver

Twist, piccolo orfano coinvolto in varie imprese criminose.

Il problema dello sfruttamento del lavoro minorile è globale, riguarda ormai ogni angolo della

Terra. Iqbal ripeteva spesso nei suoi interventi pubblici che: “nessun bambino dovrebbe impugnare

mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che dovrebbe tenere in mano sono penne

e matite”. Così dovrebbe essere, ma spesso non lo è affatto. Troppi, troppi bambini sono ancora

invisibili. 5

2. Che cos’è lo sfruttamento del lavoro minorile?

L'espressione "lavoro minorile" nel XIX secolo designava il ricorso al lavoro dei bambini in

fabbrica; attualmente è utilizzata per definire l'impiego di minori in generale, soprattutto per lavori

che potrebbero compromettere la loro educazione o danneggiare la loro salute.

Nel 1986 il Comitato Esecutivo dell’UNICEF indicò alcuni criteri utili per definire lo sfruttamento.

Tra essi vi sono:

- lavoro a tempo pieno in età troppo giovane;

- eccessivo numero di ore di lavoro;

- lavoro pericoloso per la salute o che comporta stress fisico/psicologico;

- salario inadeguato;

- lavoro che impedisce di accedere all’istruzione;

- lavoro che mina la dignità e l’autostima dei bambini (es. schiavitù e sfruttamento sessuale).

Il concetto di lavoro minorile ha, secondo l’accezione dell’I.L.O. (Organizzazione Internazionale

del Lavoro), una connotazione negativa, poiché comprende tutte le forme di attività economica

svolte dai minori, eccetto quelle definite come accettabili (lavori leggeri o comunque non

pericolosi) e, per questo motivo, è da combattere in tutte le sue forme.

3. Origini del lavoro minorile, presa di coscienza e prime leggi

In ogni epoca ed in ogni società, i bambini sono stati utilizzati per lavori tipici degli adulti; ma è con

l’avvento della prima rivoluzione industriale, che ebbe il suo inizio in Inghilterra alla fine del

Settecento, che cominciarono a comparire i primi fenomeni dello sfruttamento minorile in ambito

lavorativo, fino ad allora non considerato un problema sociale. Molti elementi, connessi con la

liberazione dell’agricoltura e dei rapporti feudali, con l’ascesa della borghesia, con lo sviluppo del

capitalismo mercantile, con l’evolversi delle tecnologie, delle comunicazioni, dei trasporti e,

contemporaneamente, con l’incremento demografico, contribuirono a rendere fertile il campo. Alla

fine del XVIII secolo, nei cotton mills di Manchester o di Glasgow, i bambini orfani e quelli di

famiglie povere lavoravano dall’età di otto anni, dalle 14 alle 16 ore giornaliere in luoghi rumorosi

e polverosi, sfruttati dai datori di lavoro in cambio del solo mantenimento. L’impiego di bambini

rispondeva al bisogno degli industriali di far quadrare le loro spese rispetto alle mansioni svolte. La

borghesia industriale del XIX secolo riteneva che l’impiego dei bambini rappresentasse un fattore di

pace sociale, evitando delinquenza ed ozio ed aiutando così le famiglie povere a sopravvivere. Per

giustificare ciò, l’imprenditoria diffuse l’idea che la statura infantile era necessaria per alcune fasi 6

della fabbricazione. Da allora cominciarono la presa di coscienza e le prime leggi. L’Inghilterra, a

partire dal 1802, adottò tutta una serie di leggi (bills), cercando di ovviare agli aspetti più negativi

del lavoro minorile (anche se con scarsi risultati). Ben presto le cattive condizioni a cui erano

sottoposti i bambini poveri si generalizzarono. Spesso i bambini, con il consenso di dirigenti

politici, sociali e religiosi, venivano impiegati in lavori pericolosi (per es. quelli tipici delle

miniere). Il tutto portò a dei risultati fortemente negativi: analfabetismo, ulteriore impoverimento di

famiglie già povere e moltissimi bambini ammalati e storpi. La regolamentazione all’inizio fu molto

timida: ma a partire dal 1837 il medico e statista Louis-Renè Villermè accusò lo stato per “la

durata troppo lunga del lavoro dei minori in molte fabbriche”. Egli, nel suo celebre rapporto un

“Tableau de l’ètat physique et moral des ouvriers employès dan les manufactures de coton, de laine

et de soie”[Tavola dello stato fisico e morale degli operai impiegati nelle manifatture di cotone,

lana e seta], descrisse le condizioni fisiche e morali dei bambini operai del suo paese (Francia), che

lavoravano 14 ore al giorno: “questa moltitudine di bambini, alcuni di appena sette anni, magri,

sparuti, coperti di cenci, che si recano nelle fabbriche a piedi nudi, sotto la pioggia e tra il fango:

pallidi e snervati, offrono uno spettacolo di miseria, sofferenza e abbattimento”. La descrizione di

questa realtà era però ben lontana dall’impressionare alcuni liberisti, che la consideravano come un

“male necessario”. Nel 1841, venne così vietato l’assunzione di minori di 8 anni nell’industria e

venne limitato il lavoro a otto ore tra gli 8 ed i 12 anni e a dodici ore tra i 12 ed i 16 anni. Tuttavia

questa legge ebbe scarso impatto. Nel 1842 un’inchiesta promossa in Inghilterra sul lavoro minorile

nelle miniere di carbone inglesi, evidenziò la spaventosa realtà nella quale erano costretti a vivere i

minori in quell’epoca: “…nelle miniere di carbone si presentano casi di baby lavoratori con età

che partivano dai 4 anni…con giornate di lavoro quasi mai inferiori alle 11 ore…e turni lavorativi

anche notturni”. Nel 1843, negli Stati Uniti, il lavoro dei bambini venne limitato a 10 ore al giorno

in Connecticun e Massachusetts. In Francia, a partire dal 1830, ispettori, medici, prefetti e

funzionari locali ridussero le condizioni lavorative minorili e gli incidenti di cui rimanevano

vittime. Nel 1844, sempre in Francia, una seconda legge ridusse a sei ore e mezza giornaliere il

lavoro dei bambini. Nel 1847, Villermè vietò l’utilizzo di minori di 12 anni e ridusse il lavoro a

dodici ore giornaliere fino ai 18 anni. Nonostante ciò, egli criticò la mancanza di risultati fino dal

1843. Intanto, l’avvento di una politica di “istruzione pubblica” andò progressivamente liberando i

minori dal lavoro. Dal 1816, ad opera di Jules Ferry, i comuni furono costretti ad avere una scuola

elementare e, nel 1833, una legge diede loro i mezzi per tale compito. Nelle zone industriali si

vedevano dunque bambini che cominciavano a lavorare in fabbrica alle sei del mattino, poi

andavano a scuola per circa metà giornata, per poi ritornare a lavorare fino alle venti o alle ventuno.

In alcune fabbriche vennero organizzati corsi di poche ore al giorno, ma con scarsi risultati. I

rapporti amministrativi della seconda metà dell’Ottocento sulle “scuole di fabbrica” nei cotonifici

alsaziani rilevarono che i bambini erano troppo stanchi per poter apprendere efficacemente. La

scuola divenne dunque una concorrente della fabbrica e gli industriali non vollero ridurre l’orario

lavorativo per permettere più ore di lezione, finchè nel 1881-1882 la scuola elementare divenne

obbligatoria e gratuita (il che comportò la frequentazione scolastica invece della fabbrica per i figli 7

di famiglie modeste) dai 6 ai 13 anni. Intanto l’istruzione progredì e la diffusione degli assegni

familiari migliorarono il livello di vita dei più poveri, rendendo meno necessario il salario del

minore.

4. Un fenomeno planetario: approcci regionali

Occorre fare una premessa, sottolineando come sia molto difficile quantificare il fenomeno in

termini numerici, poiché i dati tendono a variare notevolmente da una statistica ad un’altra. Inoltre

il lavoro minorile non è soltanto una prerogativa dei Paesi in via di sviluppo, ma anche di quelli

industrializzati.

4.1 Africa

L’Africa vanta decisamente il primato in quanto a sfruttamento del lavoro minorile; infatti un

bambino su tre lavora, soprattutto nell’agricoltura familiare, nella provvista di beni essenziali e nel

commercio. Il decadimento economico ha alimentato il lavoro minorile nel settore informale.

Recentemente l’Africa si trova in primo piano per il traffico di minori, sia internazionale sia interno.

Dalla metà degli anni ’90 il traffico minorile, soprattutto dall'Africa Occidentale verso l'Italia ed i

Paesi Bassi, è diventato sempre più considerevole. Riguardo al traffico interno, quello di piccoli

lavoratori domestici e di bambini destinati alle piantagioni sta diventando un’attività molto

redditizia per persone spregiudicate, soprattutto nell'Africa Centrale ed Occidentale. In quest’area, il

traffico di minori è in continuo aumento. Infine l’Africa è tristemente nota per i cosiddetti bambini

soldato: la Coalizione "Stop all'uso dei bambini soldato", stima che più di 120.000 bambini siano

attualmente coinvolti nei conflitti armati che colpiscono il continente: molti di questi non hanno più

di 7 o 8 anni.

4.2 Asia

In Asia lo sfruttamento del lavoro minorile è quantitativamente maggiore e rappresenta un vero e

proprio modello produttivo. Tralasciando il lavoro agricolo svolto dai minori nel nucleo familiare, i

bambini asiatici operano attivamente sia nel settore informale (ovvero lavoro nero e subappalto,

come ad es. miniere, piantagioni, fornaci, edilizia…); a tutto ciò si aggiunge la delocalizzazione,

cioè l'organizzazione produttiva situata in varie regioni o stati, da parte delle multinazionali

occidentali, soprattutto nel settore tessile. In Asia si riscontrano inoltre le peggiori forme di

sfruttamento minorile (per es. schiavitù per debiti, molto diffusa in India, che ammonterebbe a circa

5 milioni e servitù domestica) ed i bambini soldato sono in continuo aumento. L’UNICEF ritiene

che l’Asia sia il continente con il maggior numero di piccole prostitute (almeno 1.000.000). Si è

calcolato che i bambini di famiglie rurali senza terra producano circa un quinto del prodotto interno

lordo indiano in agricoltura, miniere, cave, fornaci, fabbriche tessili, telai per tappeti, vetrerie, e nel

gigantesco settore informale urbano… 8

4.3 America latina e area caraibica

Dettagli
Publisher
34 pagine
1727 download