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Sintesi
Introduzione Lavoro - Tesina


Questa tesina di maturità descrive il tema del lavoro, collegandolo con altre materie scolastiche. Tesina maturità argomenti: in Latino etimologia e Otium-Negotium in Seneca, in Greco etimologia, Epicuro e Zenone, in Italiano Pirandello e "I quaderni di Serafino Gubbio operatore", l'alienazione dell'uomo dal lavoro, in Filosofia Karl Marx, "Ideologia tedesca", "Il capitale" e la società capitalistica, Storia la crisi del 1929 e in Inglese l'età vittoriana e David Copperfield.

Collegamenti

Lavoro - Tesina


Latino: Etimologia e Otium-Negotium in Seneca.
Greco: Etimologia, Epicuro e Zenone.
Italiano: Pirandello e "I quaderni di Serafino Gubbio operatore"; l'alienazione dell'uomo dal lavoro.
Filosofia: Karl Marx "Ideologia tedesca", "Il capitale" e la società capitalistica.
Storia: La crisi del 1929.
Inglese: L'età vittoriana e David Copperfield.
Estratto del documento

esisteva un termine ben specifico per designare tale attività così come è concepita oggi. I termini

utilizzati erano: Poiesis, che designava l’attività creativa; Ergon un fatto pratico o una necessità;

Ponos infine era usato per indicare un’opera faticosa o addirittura una pena o afflizione. Dunque

nell’antica Grecia ritroviamo il lavoro solo nell’aspetto concreto e materiale, definito in funzione

del prodotto che punta a fabbricare. Inoltre esso non era un mezzo di ascesa sociale cosi come lo

è oggi, non aveva un riconoscimento significante nella società del tempo, esistendo una società

ancora troppo rigida e che ammetteva la schiavitù.

Anche la lingua latina distingue l’opus, l’attività creativa, e il “labor”, che richiama il lavoro

faticoso e oppressivo. Inoltre il fatto che gli antichi Romani designassero l’attività pubblica

negotium , in accezione negativa rispetto alla sfera privata dell’otium è senz’altro rivelatore. L’

otium, infatti, lungi dall’indicare la pigrizia e l’inattività, rappresenta la sfera intellettuale,

spirituale e privata, della quale il “negotium” designa l’opposto, l’impegno nell’attività

commerciale, pubblica e politica. Nella cultura latina dunque si scorge una ulteriore

caratterizzazione del lavoro umano, che diviene anche elemento di distinzione dell’attività

pubblica da quella privata: da un lato la contemplazione e dall’altro l’attività, entrambe specchio

della natura interiore dell’uomo. Seneca, consapevole di ciò, è un esempio della concezione del

tempo, influenzata dalle diverse scuole di pensiero, come quella stoica o epicurea, che

proponevano diversi modelli di comportamento. Egli nel suo scritto De otio, indica le

fondamentali differenze di pensiero, e giunge a conciliare l’attività, tipica del negotium, e la

contemplazione, propria dell’otium. In questa opera Seneca infatti, sebbene fosse un seguace

della filosofia stoica, che prediligeva l’attività pubblica, negli anni dell’esilio dalla corte

imperiale di Nerone (intorno al 62 d.C.), riscopre il valore “politico” della vita privata entro gli

ampi confini della comunità umana: quando è impossibile agire all’interno della comunità-Stato,

il saggio può dedicarsi alla funzione “politica” di modello e insegnamento all’interno della più

vasta collettività umana.

Così scrive in quest’opera: “Quanto alla vita meditativa, la scuola stoica e l'epicurea la pensano in

modo diametralmente opposto e tuttavia, seppure per strade diverse, conducono entrambe a quel

fine. Epicuro dice: "Il saggio non partecipi alla vita pubblica, se non costretto da qualche

accidente". Zenone, invece: "Il saggio partecipi alla vita pubblica, se non vi sia qualcosa che

glielo impedisca". L'uno sostiene l'isolamento come principio, l'altro come evenienza.”; e ancora:

“dove risieda Dio, se egli muova la sua creazione e se ne prenda cura o si limiti a contemplarla,

se ne sia fuori e l'abbracci, diffuso intorno ad essa, o la compenetri tutta, se il mondo, infine, sia

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eterno o si debba piuttosto annoverare fra le cose caduche e temporanee. Chi guarda a tutto

questo rende un servizio a Dio: testimonia infatti l'opera sua. Noi diciamo che il sommo bene è

vivere secondo natura, e la nostra natura ha due facce, una rivolta alla contemplazione e l'altra,

invece, all'azione.” Inoltre aggiunge: “Del resto la natura volle facessi l’una e l’altra cosa, e agire

e dedicarmi alla contemplazione: l’una cosa e l’altra faccio, dal momento che neppure la

contemplazione è senza azione.” (Seneca, De otio).

Dunque Seneca individua la possibilità di vivere secondo natura, quindi realizzando il proprio

ruolo, sia in un ambito pubblico e politico, sia in uno spirituale e intellettuale, attribuendo

importante valore ad entrambe le attività. Perciò l’attività umana assume anche queste sfumature,

sebbene non possiamo ancora identificare questa attività con il lavoro, che deve permettere

all’uomo da un lato di realizzarsi e dall’altro di procurarsi un ruolo nella società.

Vi sono dunque diversi valori attribuiti dall’uomo al lavoro nella cultura antica, ma con la nascita

e la diffusione del cristianesimo assistiamo ad un’interpretazione alternativa: l’uomo trova nel

lavoro il giusto mezzo per provvedere al proprio sostentamento e la caratteristica che lo distingue

dal resto del creato. Nella Bibbia infatti è scritto: “Fruttificate, moltiplicatevi, riempite la terra,

sottomettetela” (Gen., 1, 28); “ Dio ha collocato l'uomo nel giardino dell'Eden ut operatur, perché

lavori” (Gen., 2, 15). L’uomo ha la vocazione al lavoro, e il lavoro ha la vocazione a trasformare

il mondo; come l'uomo è l'oggetto di Dio, così la terra diviene l'oggetto dell'uomo, che la

trasforma assoggettandola alla ragione. Questa visione che pone il lavoro come fondamentale

attività umana è senza dubbio più vicina alla modernità; filosofi e intellettuali moderni, infatti,

hanno posto il lavoro a fondamento delle loro tesi economiche, antropologiche e politiche, come

impostazione dello stato e delle relazioni sociali.

La stessa Costituzione italiana afferma che “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul

lavoro” (articolo 1), e che “ La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e

promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di

svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra

al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4). Ciò evidenzia quanto esso sia

importante all’interno di un paese, e quanto peso abbia e dovrebbe avere per ogni cittadino,

singolo individuo sociale di una comunità statale.

Karl Marx (1818-1883), filosofo ed economista tedesco, senza dubbio comprese ciò e

osservando i fenomeni economici e sociali dell’Inghilterra dell’Ottocento, fornì una profonda

analisi della società capitalistica, individuando nel lavoro, ossia la produzione dei mezzi di

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sussistenza, in particolare quello del proletariato, non solo l’attività fondamentale e la prima

“azione storica” dell’uomo, ma anche il fulcro delle speculazioni e sfruttamenti presenti nel

Capitalismo. “Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione,

per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché

cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro

condizione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la

loro stessa vita materiale” (K. Marx, Ideologia tedesca, cap. 1, 1845). L’essere umano è tale

dunque nella sua esteriorità, nel rapporto con la natura e con la società, che è il lavoro, e dunque

anche la stessa coscienza risulta semplicemente come riflesso della sua attività produttiva nella

società: “ Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la

coscienza”(Ibid.). Marx dunque pone nel lavoro la vera realizzazione dell’essenza dell’uomo,

ricalcando il pensiero espresso da Hegel nella dialettica tra signoria e servitù della

Fenomenologia dello Spirito. Marx però, a differenza di Hegel, coglie l’essere dell’uomo non più

solo in astratto e nella sua interiorità o “coscienza”, ma nei suoi rapporti esterni con gli altri

uomini e con la natura che gli fornisce i mezzi di sussistenza, e denomina questi rapporti come

“rapporti di produzione”, che sono storicamente determinati dai differenti modi di produzione

delle diverse epoche. La scienza dell’economia politica, quale studio dell’economia capitalista,

che individua nel lavoratore una “bestia da soma” e nel lavoro soltanto “la figura dell’attività di

guadagno”, mostra in essa dunque un vero e proprio ostacolo per la stessa realizzazione

dell’uomo. Marx quindi ne Il Capitale offre un ritratto approfondito di questa società

capitalistica,e individua nello sfruttamento del lavoratore la fonte di guadagno del capitalista.

Infatti sia il lavoratore sia il lavoro sono ridotti a merce, che come tale ha un valore d’uso e un

valore di scambio. Il primo è correlato alla qualità stessa della merce e al suo consumo; il

secondo invece è l’astrazione delle caratteristiche fisiche e dell’utilità della merce, quantificabile

nel denaro, “equivalente generale” di tutte le merci, e che è determinato dal tempo di lavoro.

Questo lavoro però, precisa Marx, non è il lavoro individuale del singolo, ma essendo trattato

come semplice merce, risulta essere il tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione

delle generalità delle merci scambiate. Il lavoro però, inteso come “forza-lavoro” comprato dal

capitalista, ha un valore d’uso differente da quello di tutte le altri merci: nel consumarsi produce

altra quantità di lavoro. Perciò quando l’imprenditore investe una quantità di denaro, il capitale,

nell’acquisto di mezzi di produzione, acquista mezzi di produzione (macchine e tecnologie) e la

“forza-lavoro” degli operai sotto forma di salario, che non equivale al valore della merce che il

lavoro dell’uomo ha prodotto, ma a un valore inferiore, corrispondente agli oggetti d’uso

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necessari al sostentamento suo e della sua famiglia. Questo procedimento si può riassumere nella

formula D- M- D', dove D' indica che il denaro ottenuto sul mercato dalla merce M risulta

maggiore del capitale D investito. Questa formula inoltre si distingue da quella del processo di

circolazione semplice della merce: M- D- M, dove il denaro rappresenta il mezzo di scambio tra

due merci qualitativamente differenti ma quantitativamente equivalenti. Al contrario nella prima

formula agli estremi dello scambio vi sono le somme di denaro, qualitativamente identici ma

quantitativamente differenti per un certo valore, che sta all’origine del profitto. Questo processo è

fonte di guadagno del capitalista, e Marx chiama questa eccedenza di valore rispetto al valore del

capitale originario “plus-valore” e il lavoro dell’operaio sfruttato, eccedente rispetto al lavoro

necessario per la produzione della merce, “ plus-lavoro”. Questo plus-valore è impiegato

dall’imprenditore per aumentare sempre più la capacità di produzione attraverso i macchinari e

l’impiego di tecnologie, che sempre più eliminano e alienano il lavoro dell’uomo, sostituendolo.

In questa società capitalistica dunque il lavoro umano viene continuamente mortificato, e

considerato soltanto come semplice mezzo di profitto. L’uomo stesso cosi risulta essere oggetto

di sfruttamento e alienazione da parte del capitalista: innanzitutto esso è alienato dell’oggetto del

lavoro, ossia il prodotto in cui il lavoro si oggettiva realizzandosi, che non appartenendo al

lavoratore è in realtà espropriazione dell’operaio; in secondo luogo è alienato dall’attività

lavorativa, in quanto il lavoro alienato non è più momento di realizzazione dell’uomo, ma perdita

di esso; ne segue l’alienazione dal genere umano, poiché nel lavoro alienato l’uomo perde la

possibilità di poter trasformare la natura secondo un progetto consapevole, caratteristica primaria

del essere umano; infine vi è l’alienazione dell’uomo stesso, poiché la produzione e la stessa vita

del lavoratore divengono proprietà di un altro, del capitalista. Da questa prima analisi Marx

giunge ad affermare che la proprietà privata in realtà non è un presupposto, come viene presentata

nell’economia politica, ma è il risultato del lavoro espropriato, la realizzazione di questa

appropriazione e il mezzo attraverso l’espropriazione stessa si attua. Da qui, in seguito, Marx

proporrà l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, e l’affermazione del

comunismo, quale emancipazione umana. Ma egli chiarisce anche che ciò è la semplice

conseguenza di una società capitalistica squilibrata, che mira soltanto alla valorizzazione del

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