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Nel 1866 compare il romanzo “una peccatrice” in cui è adombrata un’avventura
catanese.
Nel 1869 lascia Catania per trasferirsi a Firenze dove frequenta i migliori salotti della
città. Inizia la fraterna amicizia con Luigi Capuana e scrive “ storia si una capinera”
ed “ Eva”.
Nel 1872 si trasferisce a Milano, dove si stabilirà per circa un ventennio,
interrompendo il soggiorno solo con periodici viaggi in Sicilia.
Nel 1873 compare a Milano “Eva” romanzo che suscita scandalo nei critici di parte
moderata avversi al naturalismo.
Nel 1875 compare “Eros” e “Tigre”. Solo con Eros Verga giungerà ad una narrazione
oggettiva e distaccata, tutta in terza persona, mentre successivamente con l’adesione
al verismo, farà ricorso all’impersonalità. Dopo un silenzio di tre anni nel 1878 esce un
racconto che si discosta fortemente dalla materia e dal linguaggio della sua
precedente narrativa, le passioni raffinate e artificiose, il soggettivismo esasperato,
la lirica melodrammatica, si tratta di “ rosso malpelo” la storia di un garzone di
miniera che vive in un ambiente duro, disumano, narrata con un linguaggio nudo e
scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima
opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Il Verga, in
effetti si proponeva fermamente di dirigere il “vero”, rifiutando ogni etichetta di
scuola. Diceva in una lettera di se stesso: “ ho cercato sempre di essere vero, senza
essere né realista né idealista, né romantico, né altro”.
In verga dovette suscitare molta impressione “l’assomoir” (bettola) 1877 di Zola, per
la sua ricostruzione di ambienti e psicologie popolari, che davano l’impressione diretta
della realtà vissuta, e soprattutto, per il suo linguaggio, che riproduceva il gergo dei
sobborghi operai parigini. Nel 1866 con dedica a Zola esce “Giacinta” , ma fallisce la
sua ambizione di proporsi come modello di una nuova narrativa di impianto naturalista,
restando tutto sommato, prigioniero della tradizione del romanzo psicologico
romantico. Verga aveva in animo, con le sue opere e con il suo disegno di un ciclo di
romanzi, di tracciare un quadro sociale, di delineare la fisionomia della vita italiana
moderna, passando in rassegna tutte le classi, da ceti popolari alla borghesia di
provincia, all’aristocrazia. Criterio unificante è il principio della per la sopravvivenza,
anche se Verga non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale, ma
sceglie come oggetto della sua narrazione i “Vinti”, che piegano il capo sotto il piede
dei potenti. Il primo romanzo del ciclo è “ I Malavoglia” (1881), narrano la storia di
una famiglia di pescatori che dopo una lotta contro le difficoltà della vita si disgrega
tristemente. Pieno di significato è il contrasto tra il vecchio capofamiglia “padron
Ntoni”, che lotta strenuamente e con tutte le sue forze per contrastare le avversità
della vita che vogliono la disgregazione della famiglia, ed il giovane nipote Ntoni, che
ignora i nobili principi del vecchio e preso dal desiderio dei facili guadagni, conosce il
disonore del carcere dopo essersi allontanato dagli affetti familiari ed alla fine
deve abbandonare il paese. È la storia di una famiglia ,vissuta fino ad allora
relativamente felice, che le difficoltà economiche generate dalla situazione dell’Italia
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post-unitaria spingono a compiere una speculazione commerciale disastrosa, che segna
l’inizio di una serie interminabile di sventure. La casa e la barca devono essere cedute,
alcuni componenti della famiglia si disperdono; però al termine della vicenda i più
giovani riescono a ricostruire il nucleo famigliare nella casa dei padri. Nel romanzo
Verga analizza i contraccolpi prodotti dal progresso moderno nei primi anni post-
unitari in un arcaica comunità di pescatori, sino allora vissuta ai margini della storia. A
distanza di un anno da “ i malavoglia”, Verga pubblica un altro romanzo, “il marito di
Elena” (1882), di ambiente cittadino e piccolo borghese. Nel 1889 esce il secondo
romanzo del ciclo dei vinti: “mastro don Gesualdo” storia della ascesa sociale di un
muratore che, con la sua intelligenza e la sua energia instancabile accumula enormi
ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli affetti familiari. Il
terzo del ciclo “la duchessa de Leyra” non sarà mai portato a compimento. Così gli
ultimi due romanzi del progetto iniziale non saranno neppure affrontati “l’onorevole
Scipioni” e “ l’uomo di lusso”. Le ragioni di questi interruzioni non sono facili da
definire, dovettero combinarsi sia l’inaridimento dell’ispirazione e la stanchezza e il
logoramento dei moduli veristi.
Il 30 ottobre del 1920 lo scrittore è nominato da Giolitti :Senatore del Regno.
Muore il 27 Gennaio del 1922 colpito da una trombosi celebrale.
TECNICA NARRATIVA E IDEOLOGIA VERGHIANA
Il Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere veriste
composte dal 1878 in poi; e ciò da origine ad una tecnica narrativa profondamente
originale e innovatrice, che si distacca sia dalla tradizione, sia dalle contemporanee
esperienze italiane straniere. Nelle sue opere effettivamente l’autore si eclissa, si
cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro
parole. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai, nelle opere del Verga: la
voce che racconta si colloca all’interno del mondo rappresentato , è allo stesso livello
dei personaggi. Non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare; ma il
narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il oro modo di pensare e di
sentire, si riferisce agli stessi criteri interpretativi, agli stessi principi morali, usa il
loro stesso modo di esprimersi. È come se a raccontare fosse uno di loro, che però non
compare direttamente nella vicenda e resta anonimo; quindi i fatti non passano
attraverso la lente dello scrittore: siccome chi narra è interno al piano della
rappresentazione, il lettore ha l’impressione di trovarsi faccia a faccia con il fatto
nudo e crudo. Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché il
Verga , nei Malavoglia e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in
scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori, la cui visione e il cui
linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese. Anche il linguaggio non è
quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero,
punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni, popolari, dalla sintassi
elementare e talora scorretta, in cui traspare chiaramente la struttura dialettale
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(anche se Verga non usa mai direttamente il dialetto, ma sempre e solo il lessico
italiano; tanto che se deve citare un termine dialettale lo isola mediante il corsivo).
Al fondo della visione del Verga sta un giudizio radicalmente negativo sulla società
umana. Lo scrittore ha sotto gli occhi la realtà italiana degli anni 1870 1880, che vede
gli inizi di uno sviluppo dell’economia in senso capitalistico e il primo avvio, in alcune
zone d’Italia, ad un processo di industrializzazione che preannuncia la trasformazione
di un paese agricolo e arretrato in un paese moderno. Verga, dal suo punto di vista di
proletario agrario del sud, legato ad una realtà arcaica ed immobile, che conosce bene
le condizioni delle masse contadine, respinge polemicamente questa realtà. Il
progresso gli appare si grandioso ed epico, ma egli vede anche chiaramente i suoi
inevitabili risvolti negativi, lo sfrenarsi delle ambizioni e degli interessi, la negazione
di tutti i valori, il trionfo dell’utile e della forze, lo scatenarsi degli antagonismi tra
classi sociali e individui la durezza dello sfruttamento e dell’oppressione sui più
indifesi. Questo quadro desolato del vivere sociale per Verga, però, non è limitato al
mondo presente, nella sua visione il meccanismo delle sopraffazioni e delle sofferenze
è una legge di natura, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo. Nel
Verga vi è la consapevolezza di un destino doloroso e della sua invincibilità, vi è la
coscienza assoluta dell’impossibilità di migliorare l’avvenire dell’uomo. Contrariamente
a quella fede nel progresso dell’uomo che vediamo illuminare gli scritti degli autori di
questi periodi, nel Verga vi è la radicate convinzione che il dolore è la dura legge della
vita al cui rigore nessuno può sfuggire. Il verga sente una pena infinita per la
sofferenza materiale e morale dei suoi personaggi, per i quali non riesce nemmeno a
suggerire un rimedio. Il suo dolore non giunge alla disperazione perché il male non può
distruggere la dignità dell’uomo, anzi la fortifica e la ingigantisce, impegnando l’uomo
stesso in una lotta da cui egli ritrae fierezza e nobiltà. Contrariamente al naturalismo
francese che considerando l’uomo un prodotto dell’ereditarietà e dll’ambiente, nega il
libero arbitrio, il verismo non arriva a tanto e riconosce all’uomo, la sua libertà di
pensare e di agire, anche se essa è schiacciata dalle forze avverse della natura e
dell’egoismo brutale dell’uomo stesso.
NATURALISMO FRANCESE E POETICA
DEL VERISMO ITALIANO
Gli scrittori veristi italiani, nell’elaborare le loro teorie letterarie e nello scrivere le
loro opere, prendono le mosse , dal naturalismo che si afferma in Francia nel 1870.
Per capire il fenomeno italiano occorre dunque esaminare quello francese. Il
retroterra culturale e filosofico del Naturalismo è il Positivismo, un movimento di
pensiero che si diffonde a partire dalla metà dell’800 ed è espressione ideologico
della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente
sviluppo della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche. Il positivismo è
caratterizzato dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso e idealistico e dalla
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convinzione che tutto il reale sia un gioco di forze materiali, fisiche, chimiche,
biologiche, regolato dalle ferree leggi meccaniche; il positivista crede solo nei fatti
positivi dimostrabili scientificamente e sperimentalmente, e vede nella scienza
moderna l’unico strumento capace di spiegare la realtà e di dominarla, asservendola ai
bisogni dell’uomo. Di qui la fede nel progresso. Il modello di scrittore – scienziato di
cui aveva preso le mosse Verga, era Balzac, la cui concezione del mondo era ispirata a
un rigoroso determinismo materialistico, affermando che i fenomeni spirituali sono
determinati dall’ambiente fisico in cui l’uomo vive “ il vizio e la virtù sono dei prodotti
come il vetriolo e lo zucchero” scriveva Balzac nel 1864. Altro modello della letterario
della scuola naturalistica fu Gustave Flaubert, l’ autore di “madame bovary”. Il quale
diceva: “L’artista deve essere nella sua opera come DIO nella creazione, invisibile e
onnipotente, si che lo si senta ovunque, ma non lo si veda mai”. Un altro scrittore che
diede la sistemazione più compiuta delle opere naturalistiche e riassunse nella sua
opera il movimento (naturalista), ponendosi come un vero e proprio capo scuola come
fu Emile Zola (1840 – 1903). Zola sostiene che il metodo sperimentale delle scienze
applicato in un primo tempo ai corpi inanimati (chimica, fisica), poi ai corpi viventi
(fisiologia), deve essere ora applicato anche alla sfera spirituale, agli atti intellettuali
e passionali dell’uomo. L’immagine di Zola che si diffuse in Italia fu quella del
romanziere scienziato e impavidamente realista, nonché dello scrittore sociale, in
lotta contro le piaghe della società in nome del progresso e dell’umanità. Una teoria
coerente ed un nuovo linguaggio furono elaborati da due intellettuali conservatori, due
galantuomini meridionali, che operavano nell’ambiente milanese, assorbivano le stesse
sollecitazioni del naturalismo francese e condividevano l’ammirazione per Zola, sia