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Inglese - On nationality di David Miller
Storia - "Questione Giuliana" ed esodo istriano
Italiano - Fulvio Tomizza
Roberta Trento IIIE
L'Istria di tutti e di nessuno...
L'Istria di tutti e di nessuno...
L’Istria è una penisola situata nel Mar Adriatico. Il nome deriverebbe dal popolo
degli Istri o dal latino Hister che significa Danubio, in riferimento alla sua posizione
cioè al confine danubiano. L’Istria fu da sempre oggetto di contese tra i vari imperi
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o stati, passando sotto l’amministrazione dei romani, dei goti, della Repubblica di
Venezia, degli Asburgo d’Austria, dell’Italia, della Jugoslavia e infine della Croazia e
Slovenia. In virtù delle suddette contese può essere considerata un territorio di
tutti, di vari popoli, etnie e culture, ma allo stesso tempo, di nessuno.
Mappa concettuale
Filosofia
Nascita del concetto di nazionalità
Inglese
David Miller, On nationality 1995
Storia
“Questione Giuliana” ed esodo istriano
Italiano
Fulvio Tomizza
Partendo dalla nascita del concetto di nazionalità, caratterizzato da un
nazionalismo acceso e a volte aggressivo, elaborato dai romantici e sviluppato in
seguito con Hegel, si giunge a un nuovo modo di percepire l’identità nazionale,
come quello teorizzato nel 1995 da David Miller nel suo libro On nationality. Questa
nuova teoria si adatta al popolo istriano, che, diviso a causa delle diverse etnie e
culture presenti nella penisola, rimane comunque caratterizzato dall’amore che ha
provato e continua a provare per la sua Istria. Molti istriani dovettero scegliere alla
fine della seconda guerra mondiale se rimanere nella loro terra sotto il regime
jugoslavo o restare italiani abbandonando l’Istria. Testimone dell’esodo, Fulvio
L
Tomizza, raccontò nei suoi libri il dramma di un popolo.
a nascita del concetto di nazionalismo coincise con la nascita del concetto
di nazione che cominciò ad affermarsi a partire da quello di popolo, che
aveva dominato nella filosofia politica del XVIII secolo. Il popolo è costituito
dalla volontà comune che è alla base del patto originario. La nazione è
costituita essenzialmente da legami indipendenti dalla volontà dei singoli: etnia,
religione, lingua, tradizioni. La nazione è un destino che incombe sugli individui al
quale non possono sottrarsi senza tradimento. In questi termini la nazione venne
concepita chiaramente soltanto ai primi dell'800 in clima romantico; il concetto è
formulato da Fichte e sarà poi sviluppato da Hegel. Sia la prima sia la seconda
guerra mondiale sono state combattute sotto l'insegna del nazionalismo. Nella
seconda guerra mondiale il fascismo e il nazional-socialismo si fondarono sulla
teoria hegeliana e sul romanticismo tedesco, secondo i quale lo Spirito Assoluto si
incarna nella nazione più forte che domina sulle altre. Questo
nazionalismo considerato aggressivo e negativo si contrappone a
un nazionalismo che percepisce la nazione come identità
collettiva.
In 1995 David Miller developed a social theory of national
identity. David Miller, born 8 March 1946, is a British political
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theorist. He is currently Professor in Social and Political Theory at Nuffield College,
Oxford. Previous works include Social Justice, On Nationality and Citizenship and
National Identity. Miller is known for his support of a modest form of civic
nationalism. In his opinion there are five aspects that play an important role in
establishing the national identity. The most important point is that the national
identity is based on people's belief that a national community exists. According to
Miller, a national community is not based on the existence of certain characteristics
but in the belief that those characteristics are accepted by all the community's
members. A national community is not an aggregation of people characterized by
its physical and cultural traits, but a community whose very existence depends
upon its members’ mutual recognition. So people must acknowledge one another
as compatriots and share the belief that they belong to the same group.
The national identity is based on historical continuity or on the building of a new
one which is considered true.
On the other hand the community must feel rooted in to a territory and its
members are expected to act in defense of their national identity.
Common concepts about ethnicity and nationality fail when applied to Istria, in fact
only Miller's concept of nationality can be applied. The national identity of Istria
exists only if we consider it a national community based on the shared feelings
they have for their territory.
L'Istria è una terra multietnica e multiculturale abitata da croati, italiani, sloveni,
istrorumeni. Questo territorio, insieme a parte dell’attuale Friuli Venezia Giulia, fu
oggetto di contese, durante la prima e la seconda guerra mondiale; in quest’ultimo
caso furono a contenderselo l'Italia e la Jugoslavia.
Con l’espressione “questione giuliana” o
“questione triestina” si fa riferimento alla
contesa di questi territori nella seconda parte
della seconda guerra mondiale e nel
dopoguerra.
Il 3 luglio 1946 fu attuata una sistemazione
provvisoria che prevedeva la creazione del
Territorio Libero di Trieste comprendente la
città, dal litorale fino a Duino, e a sud parte
dell'Istria fino al fiume Quieto. Il territorio
venne diviso in due zone: la Zona "A"
amministrata dagli alleati e la Zona "B"
amministrata dagli jugoslavi.
Nel 1947 venne stipulato il trattato di Parigi che prevedeva l'abbandono delle terre
Istriane da parte di coloro che volevano mantenere la cittadinanza italiana.
In realtà l'esodo era iniziato prima della fine
della guerra per il terrore provocato dai
massacri delle foibe, dagli annegamenti e
deportazioni nei campi di sterminio messi in
atto dai Titini a danno degli italiani; a tutto
questo si sommava il terrore di vivere sotto una
dittatura comunista in un territorio non più
italiano.
La maggior parte degli italiani optò per l'esodo,
incamminandosi verso Trieste. Lasciarono tutto
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con la speranza di ricostruire una nuova vita; arrivati in Italia, vennero smistati nei
campi profughi. Altri furono obbligati a lasciare l'Istria perché espropriati del diritto
di proprietà da parte dell'autorità jugoslava o dei comitati popolari della zona B del
territorio libero di Trieste per conto del regime di Tito.
Il gruppo minoritario doveva possedere determinati requisiti per rimanere nelle
terre amministrate dalla
Jugoslavia: avrebbero
dovuto essere di
ascendenza slava, nemici
dichiarati dell'Italia
fascista e di obbedienza
comunista. Comunque la
Jugoslavia non
riconosceva la
cittadinanza agli istriani
italiani. Chi decideva di rimanere nelle sue terre diveniva quindi un apolide.
Così ebbe inizio l'esodo, che coinvolse 250000 istriani.
I giorni dell'abbandono dell'Istria e della propria casa sono giorni che non si
dimenticano. Sono avvolti nella nebbia del ricordo, ma ancora vivi e sopratutto
incancellabili. Exodus significa esilio in patria, estirpazione di famiglie dalla terra
dei padri, significa affrontare un viaggio verso l'ignoto e la ricostruzione di una
nuova vita da un'altra parte; gli esuli si allontanarono da una terra che non è più
loro, ma alla quale idealmente appartengono. Costretti a un taglio definitivo con le
proprie radici, ma sopratutto alla condanna di non poter mai più ritornare,
custodiscono gelosamente gli oggetti che hanno viaggiato con loro, ultimo legame
con la vita passata. Tutto ciò fu aggravato dalla vita terribile nei campi profughi.
Fulvio Tomizza è uno dei tanti profughi che, nonostante fossero legati da un
sentimento profondo alla propria terra,
dovettero lasciarla per trasferirsi a Trieste.
Nacque nel 1935 a Materada, un piccolo
villaggio vicino a Umago, da una famiglia
della piccola borghesia. Nel 1954, quando
la zona B del territorio libero di Trieste
passò sotto l'amministrazione jugoslava,
decise di lasciare la sua terra alla volta
dell'Italia. "Fui partecipe di un avvenimento
che non definirei neanche tragico, quanto
estremamente toccante, il quale denudava
un’umanità come colpita a tradimento. Questa gente era costretta a scegliere, ma
non poteva né rimanere nella terra di sempre tanto cambiata dalle vicissitudini
storiche – violenze, imposizioni, proibizioni – né vivere fuori dalla comunità, dalle
tradizioni, dalle feste, dall’ingrato eppur familiare lavoro, essendo come vincolata
al ciclo stagionale delle semine e dei raccolti. Era gente che non si sarebbe
neanche potuta esprimere fuori dal proprio ambiente. Tuttavia quasi il settanta per
cento di questa popolazione preferì oltrepassare il confine, andare a Trieste, in
Italia”. 4
La nostalgia per la sua terra lo accompagnò per tutta la vita, insieme a uno stato di
malinconia dato dalla cosiddetta "identità
di frontiera"; visse per tutta la vita come
un esule, alternando periodi di soggiorno a
Materada e a Trieste. Diviso tra italianità e
slavismo, si sentiva incompreso:
considerato filoslavo da alcuni e
antijugoslavo da altri. “Andavo a Trieste
col lasciapassare e là venivo considerato
slavo poiché provenivo dall’interno,
tornavo a Materada, e qui venivo
considerato italiano. Era lo sbandamento,
era il dramma della frontiera vissuto fino
in fondo”.
"La mia terra non è più solo l’Istria: lo è diventata anche Trieste. Non mi sono mai
identificato bene né con l’Italia né con la Jugoslavia. Io ho sangue slavo, mentre la
mia educazione è tutta italiana”. Dovunque andasse, non sentiva le radici in
nessun luogo: inizia un periodo doloroso di sofferenza, dilaniato dal pensiero che la
sua comunità si fosse disgregata. Quindi anche dopo lunghi anni di permanenza
nella città giuliana, si sentiva uno “straniero” a casa sua.
Tomizza inizia a scrivere durante l’esodo, quando la sua Istria si stava spopolando.
Testimone diretto dell’evento, si rende protagonista egli stesso di queste vicende
attraverso i suoi romanzi, che per la maggior parte hanno una componente
autobiografica. Egli tenta di rappresentare la sofferenza del suo popolo, di dar
sfogo alla sua angoscia esistenziale e di conseguenza di trovare una soluzione
interiore per risolvere il suo problema identitario.
Il confine è dentro di noi,
affermò, e il suo superamento
avviene solo nei sogni. “La
frontiera è qualcosa di
imminente che persiste, che
non ha termine dopo una
guerra, anzi che si accentua. La
frontiera porta con sé
ideologia, tendenze, poteri,
occupazioni militari e di confini
e quindi divide forzatamente le popolazioni a esclusivo vantaggio di un certo
potere politico e militare”
Fulvio Tomizza raccontò le storie, i sentimenti, le ragioni che hanno portato
moltissime famiglie a lasciare le proprie terre, le proprie radici da un giorno
all'altro, costrette a prendere una decisione, costrette a scegliere se essere italiane
o jugoslave.
Un microcosmo contadino sconvolto dalla guerra e destinato a scomparire insieme
alle identità di coloro che furono costretti a lasciare le proprie terre verso un altro
stato.
Questa particolare angoscia di frontiera di molti scrittori triestini era al contempo
letteraria e biografica: Tomizza, raccogliendo le testimonianze degli altri esuli,
tentò nella sua narrativa di ricreare un’unità con la sua terra ormai perduta fin dalle
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sue prime opere degli anni Sessanta (la Trilogia istriana, che comprende i romanzi
Materada (1960), La ragazza di Petrovia (1963) e Il bosco delle acacie (1966). Alla
fine l’impossibilità di superarla diventa essa stessa tema dei romanzi, come appare
evidente nel romanzo Franziska (1997) dove l’esperienza d’amore tra una donna
slovena e un ingegnere italiano di Cremona sfocia nell’incomunicabilità, per la
differenza etnica, di genere e soprattutto linguistica.
È una parte di storia che è stata dimenticata, negata e nascosta, infatti, il
riconoscimento del dramma dell'esodo è avvenuto dopo più di mezzo secolo. La
storia, al contrario, deve essere tutelata e salvaguardata. Deve esserci un giusto
riconoscimento, un momento di riflessione su questa parte di storia "scomoda".
Il giorno del ricordo venne istituito con la
legge del 30 marzo 2004.
La commemorazione ha come obiettivo il
rispetto per le vittime dell'esodo, ma
anche quello di ricreare l'unione della