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Sintesi
tesina di maturità sull'infinito


Tesina sull'infinito

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Estratto del documento

30/09/22, 17:54 L'idealismo tedesco: Fichte, Schelling ed Hegel

possibile una coscienza finita, ossia limitata da un non-Io, da un oggetto. Le condizioni trascendentali della coscienza sono formulate

nei primi due principi del sistema filosofico: l'Io pone se stesso assolutamente e l'Io infinito contrappone a se stesso un non-Io finito. Il

primo individua l'Io come fonte assoluta e autonoma della conoscenza, infinita in quanto non esiste niente che le si opponga per

limitarla; il secondo principio indica che il mondo fenomenico sensibile è posto dall'Io stesso. L'esistenza della coscienza finita

dell'uomo viene espressa dal terzo principio, sintesi dei due precedenti: nell'Io assoluto, all'Io finito divisibile si contrappone il non-Io

finito divisibile. L'Io finito si sforza eternamente di raggiungere quella piena identità di sé con sé (Io=Io) che lo caratterizzerebbe in

quanto assoluto, ma ne è costantemente separato a causa del contrasto che il non-Io gli oppone. L'Assoluto, per la coscienza finita

dell'uomo, è di conseguenza sempre e solo un ideale irraggiungibile, il termine di uno sforzo che è l'unica forma di infinità concessa

all'Io:

L'Io è infinito, ma solo per il suo sforzo [Streben]; esso si sforza di essere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo è già compresa

la finità, poiché ciò a cui non si contrasta non è uno sforzo.

A tale meta ideale, l'Io finito può e deve avvicinarsi infinitamente, emancipandosi dai limiti attraverso un impegno che è tanto morale

quanto materiale. Ribadendo la preminenza kantiana della legge morale, Fichte fa del suo idealismo un "idealismo etico": il non-Io,

privo di senso di per sé (e definito per questo ex negativo), viene posto dall'Io in quanto "banco di prova morale" necessario all'Io

stesso per migliorarsi eticamente attraverso lo Streben. Pertanto, ciò che è altro dall'Io, il non-Io, la "natura", è tanto il fattore che

intralcia la liberazione dell'uomo quanto l'unico contesto possibile di questa liberazione. Fichte non si riferisce infatti a un Assoluto

trascendente ma immanente al finito; la destinazione dell'uomo non risiede in una perfezione infinita trascendente, ma nell'infinito

processo di perfezionamento:

Fa parte del concetto stesso di uomo il fatto che il suo fine ultimo sia irraggiungibile, che il suo cammino in quella direzione sia senza

fine. La destinazione dell'uomo non è dunque il raggiungimento di questo fine. Egli deve e, allo stesso tempo, può avvicinarsi sempre

più a questo fine: e perciò l'infinito approssimarsi a questo fine costituisce la sua vera destinazione in quanto uomo, cioè in quanto

ente razionale ma al tempo stesso finito [...].

Il concetto di Streben, di anelito all'infinito avrà una forte influenza su tutto il romanticismo tedesco ed europeo, in primis su Goethe,

che ne canterà l'epopea nel Faust (pur rimanendo all'interno di un panteismo spinoziano senza scadere in un idealismo sostanzialmente

nichilistico come quello di Fichte). Nell'ultima parte della sua vita, dopo l'allontanamento dall'università di Jena in seguito alla

polemica sull'ateismo (1799), Fichte tenta un di riavvicinamento al cristianesimo, sostituendo all'Io infinito che pone il mondo un Io

sempre infinito ma solo in quanto rappresentazione di un Dio Assoluto totalmente in conoscibile ed ineffabile.

L'idealismo estetico di Schelling

Negli anni 1797-99, Schelling si dedica all'elaborazione di un'interpretazione filosofica della natura, una fisica speculativa, capace di

tener conto delle più recenti scoperte scientifiche. Una tale filosofia naturale affianca la filosofia dell'Io in modo da "correggere"

l'idealismo fichtiano, e riscattare la natura dalla condizione di mero limite e rivendicandone l'autonoma consistenza.

In questo periodo tuttavia, Schelling si ritiene ancora in sintonia con il pensiero di Fichte. Scopo ultimo della fisica speculativa è pur

sempre quello di promuovere la libertà dell'uomo, sostituendo alla vecchia fisica meccanicistica e deterministica una nuova concezione

della natura secondo la quale essa è animata da un'attività visibile analoga a quella spirituale. Inoltre, Schelling è convinto di restare

fedele a Fichte, poiché applica alla natura stessa la dialettica fichtiana degli opposti, così da costruire una natura vivente e dinamica

caratterizzata da una continua e strutturale attività e da una finalità intrinseca. Ma Schelling vede l'attività produttiva della natura non

come un'attività inconscia del soggetto trascendentale umano, ma come una forza originaria attiva tanto nella natura quanto nell'Io,

un'intelligenza divina che opera inconsciamente nella produttività naturale e consciamente in quella spirituale. Il problema di Schelling

diventa quindi quello di scorgere nella natura e nell'Io due manifestazioni distinte di un'unica attività produttiva e di indicare

nell'attività artistica del genio, insieme conscia e inconscia, la prova diretta di questa identità.

L'intelligenza è produttiva in due modi: o ciecamente e inconsciamente, o liberamente e consciamente. E' inconsciamente produttiva

nell'intuizione del mondo, è invece consciamente produttiva nella creazione di un mondo ideale. La filosofia supera quest'antitesi in

quanto stabilisce che l'attività inconscia è originariamente identica a quella conscia e germogliata dalla stessa radice di questa;

identità di cui essa offre la prova direttamente nell'attività, senza dubbio insieme conscia e inconscia, che si manifesta nelle produzioni

del genio...

Vicino in questo al romanticismo, Schelling vede nel genio un soggetto libero e cosciente, che agisce in forza di un pieno dominio delle

tecniche espressive, ma che è mosso altresì da una potenza necessaria e inconsapevole che lo spinge a creare in virtù di un'ispirazione

che ne trascende l'intenzionalità. Soprattutto nel genio romantico vive e opera l'assoluta identità di natura e Io, e la filosofia vede

nell'arte l'organo dell'Assoluto, la suprema forma di conoscenza intuitiva:

Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi è di più alto, perché essa gli apre quasi il santuari, dove in eterna e originaria unione

arde, come in una fiamma, quello che nella natura e nella storia [cioè nella sfera dell'Io] è separato [...]

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30/09/22, 17:55 L'idealismo tedesco: Fichte, Schelling ed Hegel

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più a questo fine: e perciò l'infinito approssimarsi a questo fine costituisce la sua vera destinazione in quanto uomo, cioè in quanto

ente razionale ma al tempo stesso finito [...].

Il concetto di Streben, di anelito all'infinito avrà una forte influenza su tutto il romanticismo tedesco ed europeo, in primis su Goethe,

che ne canterà l'epopea nel Faust (pur rimanendo all'interno di un panteismo spinoziano senza scadere in un idealismo sostanzialmente

nichilistico come quello di Fichte). Nell'ultima parte della sua vita, dopo l'allontanamento dall'università di Jena in seguito alla

polemica sull'ateismo (1799), Fichte tenta un di riavvicinamento al cristianesimo, sostituendo all'Io infinito che pone il mondo un Io

sempre infinito ma solo in quanto rappresentazione di un Dio Assoluto totalmente in conoscibile ed ineffabile.

L'idealismo estetico di Schelling

Negli anni 1797-99, Schelling si dedica all'elaborazione di un'interpretazione filosofica della natura, una fisica speculativa, capace di

tener conto delle più recenti scoperte scientifiche. Una tale filosofia naturale affianca la filosofia dell'Io in modo da "correggere"

l'idealismo fichtiano, e riscattare la natura dalla condizione di mero limite e rivendicandone l'autonoma consistenza.

In questo periodo tuttavia, Schelling si ritiene ancora in sintonia con il pensiero di Fichte. Scopo ultimo della fisica speculativa è pur

sempre quello di promuovere la libertà dell'uomo, sostituendo alla vecchia fisica meccanicistica e deterministica una nuova concezione

della natura secondo la quale essa è animata da un'attività visibile analoga a quella spirituale. Inoltre, Schelling è convinto di restare

fedele a Fichte, poiché applica alla natura stessa la dialettica fichtiana degli opposti, così da costruire una natura vivente e dinamica

caratterizzata da una continua e strutturale attività e da una finalità intrinseca. Ma Schelling vede l'attività produttiva della natura non

come un'attività inconscia del soggetto trascendentale umano, ma come una forza originaria attiva tanto nella natura quanto nell'Io,

un'intelligenza divina che opera inconsciamente nella produttività naturale e consciamente in quella spirituale. Il problema di Schelling

diventa quindi quello di scorgere nella natura e nell'Io due manifestazioni distinte di un'unica attività produttiva e di indicare

nell'attività artistica del genio, insieme conscia e inconscia, la prova diretta di questa identità.

L'intelligenza è produttiva in due modi: o ciecamente e inconsciamente, o liberamente e consciamente. E' inconsciamente produttiva

nell'intuizione del mondo, è invece consciamente produttiva nella creazione di un mondo ideale. La filosofia supera quest'antitesi in

quanto stabilisce che l'attività inconscia è originariamente identica a quella conscia e germogliata dalla stessa radice di questa;

identità di cui essa offre la prova direttamente nell'attività, senza dubbio insieme conscia e inconscia, che si manifesta nelle produzioni

del genio...

Vicino in questo al romanticismo, Schelling vede nel genio un soggetto libero e cosciente, che agisce in forza di un pieno dominio delle

tecniche espressive, ma che è mosso altresì da una potenza necessaria e inconsapevole che lo spinge a creare in virtù di un'ispirazione

che ne trascende l'intenzionalità. Soprattutto nel genio romantico vive e opera l'assoluta identità di natura e Io, e la filosofia vede

nell'arte l'organo dell'Assoluto, la suprema forma di conoscenza intuitiva:

Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi è di più alto, perché essa gli apre quasi il santuari, dove in eterna e originaria unione

arde, come in una fiamma, quello che nella natura e nella storia [cioè nella sfera dell'Io] è separato [...]

Dopo la pubblicazione del Sistema, Schelling prende pienamente coscienza della distanza che lo separa da Fichte e formula quella

filosofia dell'identità la cui presentazione è affidata all'Esposizione del mio sistema filosofico del 1801. L'unità di natura e Io emerge ora

in primo piano. L'Assoluto schellinghiano si configura come un principio produttivo il cui coglimento intuitivo presuppone

l'abbandono del punto di vista del finito e l'assunzione del punto di vista infinito dell'Assoluto stesso; Schelling si impegna a pensare un

Assoluto che è unità indifferenziata di soggetto e oggetto, la cui eterna verità si esprime nella suprema legge d'identità (A=A). Nell'Io e

nella natura l'identità si mantiene, pur prevalendo o il momento soggettivo o quello oggettivo:

Lo schema mostra tanto l’assoluta indifferenza del principio primo (A=A) quanto il conservarsi dell’identità nelle due serie

fenomeniche, in cui l’identità diventa relativa e in cui predomina o il momento soggettivo (A) o quello oggettivo (B). Questo schema

vuole esprimere la concezione di una realtà in cui tutto è uno e fondamentalmente identico, rifacendosi esplicitamente a Spinoza e a

Goethe ("Io sono diventato spinozista;" scrive a Hegel. "vuoi sapere come? Per Spinoza il mondo è tutto, per me tutto è l'Io"). Tutti i

corpi in natura risultano intrecciati in una generale azione reciproca e scaturiscono da uno stesso fondamento. In questo quadro

caratterizzato dal panteismo e dal vitalismo antimeccanicistico, l’uomo si trova al limite tra il mondo naturale e quello spirituale e

Schelling lo colloca al centro dell’universo:

L’uomo è dunque il modello di ogni vivente [...] e perciò [è] in immediata interiore comunanza e identità con tutte le cose, che

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