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Sommario
Italiano: Giacomo Leopardi - L’ Infinito
Latino: Lucio Apuleio - Le Metamorfosi
Filosofia: Hegel -“Risoluzione del finito nell’infinito”
Storia: La Società di massa
Scienze Naturali: Le Galassie
Storia dell’Arte: Lucio Fontana - “Spazialismo”_
Inglese: The Infinite of Romantic Poets
Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, da una delle più nobili
famiglie del paese, primo di otto figli. Il padre, il conte Monaldo, era un
uomo di animo buono e amante degli studi, ma conservatore e d'idee
reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna
energica, legata alle convenzioni sociali e ad un concetto profondo di
dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il giovane Giacomo, che
non ricevette tutto l'affetto di cui aveva bisogno. A seguito di un dissesto
economico familiare, Leopardi fu costretto a vivere in un piccolo borgo
di provincia restando escluso dalle correnti di pensiero che circolavano
nel resto del paese e in Europa.
Ricevette la prima educazione da due precettori ecclesiastici, il gesuita
don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini fino
al 1812, che influirono sulla sua prima formazione con metodi
improntati alla scuola gesuitica; con lo studio del latino, della teologia e
della filosofia, ricevette anche una formazione scientifica di buon livello.
In seguito Leopardi, senza l'aiuto di maestri apprese il greco e l'ebraico 3
e compose opere di grande impegno ed erudizione. Tra il 1815 e il 1816
Leopardi si dedicò alla poesia; seguiranno le letture di autori moderni
come l'Alfieri, il Parini, il Foscolo e il Monti che servirono a maturare la
sua sensibilità romantica. In questo modo il Leopardi iniziò a liberarsi
dall'educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della
ristrettezza della cultura recanatese e a porre le basi per liberarsi dai
condizionamenti familiari; appartengono a questo periodo alcune poesie
significative come le "Rimembranze", l'"Appressamento della morte" e
l'"Inno a Nettuno". La maturazione lo portò a scoprire il bello in senso
non arcaico ma neoclassico, passando dalla poesia di immaginazione
degli antichi alla poesia sentimentale. La "teoria del piacere" è una
concezione filosofica che si ritrova nello "Zibaldone", in cui il poeta
sostiene che l'uomo nella sua vita tende sempre a ricercare un piacere
infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato
soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo, che può
concepire le cose che non sono reali e figurarsi piaceri inesistenti come
infiniti in numero, durata ed estensione. Alla felicità che scaturisce dal
piacere, si oppone la noia, che è il male più grande che possa affliggere
l'umanità. Secondo Leopardi, l'umanità poteva essere più vicina alla
felicità nel mondo antico, quando la scarsa conoscenza lasciava libero
corso all'immaginazione; nel mondo moderno, invece, la conquista del
vero ha portato l'immaginazione ad indebolirsi, fino a sparire del tutto
negli adulti. Nel 1817, alle soglie dei diciannove anni, Leopardi avverte
in tutta la sua intensità il peso dei suoi mali e della condizione infelice
che ne derivava, cercando di uscire da quel "centro dell'inciviltà e
dell'ignoranza europea". Nello stesso anno 1817 Leopardi iniziò a
compilare lo Zibaldone, diario sul quale registrerà fino al 1832 le sue
riflessioni. Sempre nel 1817 incontrò Geltrude Cassi Lazzari, una
cugina di Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e
per la quale provò un amore inespresso. Scrisse in questa occasione il
"Diario del primo amore" e l'"Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei
"Canti" con il titolo "Il primo amore"; in quegli anni maturò la sua
posizione verso il romanticismo.
Nel 1819 una malattia agli occhi, che lo privò persino del conforto dello
studio, lo gettò in una profonda prostrazione che acuì la sua
insofferenza per la vita recanatese; fu appunto nei mesi che seguirono
che il Leopardi elaborò le prime basi della sua filosofia e riflettendo
sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità
delle cose e del dolore stesso.
Iniziò intanto la composizione di quei canti che verranno in seguito
pubblicati con il titolo di "Idilli" e scrisse "L'infinito", "La sera del dì di
festa" e "Alla luna". Da novembre 1822 ad
aprile dell'anno successivo, si recò a Roma da parenti.
A Leopardi Roma apparve squallida e modesta rispetto alle sue
aspettative; rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al
quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità.
Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dove scrisse buona 4
parte delle Operette bmorali. Nel 1825 dopo un breve soggiorno a
Milano, si trasferì a Bologna dove conobbe la contessa Teresa Carniani
Malvezzi, della quale si innamorò senza essere corrisposto; nello stesso
anno l’editore Stella pubblica le sue Operette morali. Nel giugno del
1827 si trasferì a Firenze dove conobbe il Manzoni che si trovava lì per
rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi, poi si recò a
Pisa dove, grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò; Leopardi tornò
alla poesia e compose il "Risorgimento" e il canto "A Silvia" inaugurando
il periodo creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche
"grandi idilli". Purtroppo, aggravandosi il disturbo agli occhi, il poeta fu
costretto a sciogliere il contratto con Stella. Nel 1828 , a causa del
peggioramento delle condizioni di salute, fu costretto a ritornare a
Recanati dove rimase fino al 1830. In questi due anni il Leopardi si
dedicò alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra
cui "Le ricordanze", "Il sabato del villaggio", "La quiete dopo la
tempesta", "Il passero solitario", "Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia". Queste poesie, a lungo denominate dai critici "Grandi idilli",
sono ora conosciute, insieme ad "A Silvia" come "Canti pisano-
recanatesi". Nell'aprile del 1830, ebbe l'opportunità di tornare a
Firenze, dove curò un'edizione dei "Canti" e conobbe Antonio Ranieri,
esule napoletano, che divenne suo grande amico. Nel 1832 scrisse i due
ultimi dialoghi delle "Operette", Il "Dialogo di un venditore d'almanacchi
e di un passeggere" e il "Dialogo di Tristano e di un amico". Nel
settembre del 1833, dopo aver ottenuto un modesto assegno dalla
famiglia, partì per Napoli con l'amico Ranieri sperando che il clima mite
di quella città potesse giovare alla sua salute. Durante gli anni trascorsi
a Napoli si dedicò alla stesura dei "Pensieri" che raccolse probabilmente
tra il 1831 e il 1835 e riprese i "Paralipomeni della Batracomiomachia"
che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò,
assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita.
Nel 1836, quando a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, il Leopardi si
recò con l'amico Ranieri e sua sorella Paolina nella Villa Ferrigni a Torre
del Greco, dove compose gli ultimi Canti “La Ginestra”(nel quale si
coglie l'invocazione ad una fraterna solidarietà contro l'oppressione
della Natura) e “Il tramonto della luna” (compiuto solo poche ore prima
di morire).
Nel febbraio del 1837 ritornò a Napoli con il Ranieri, ma le sue
condizioni si aggravarono e il 14 giugno di quell' anno morì . 5
Pessimismo
Il pensiero del Leopardi,trae origine dalla concezione meccanicistica del
mondo che egli aveva appreso dall’illuminismo. Per il Leopardi, l’uomo
non solo è una creatura debole e indifesa, che dopo una vita di
sofferenze si annulla totalmente con la morte, ma è anche un essere
insignificante nel contesto della vita universale. Per Leopardi questa
nuova fede era motivo di tristezza e di pessimismo, perché egli avverte
dolorosamente i limiti della natura umana tutta chiusa nella prigione
della materia in contrasto con l’innata aspirazione dell’uomo all’assoluto
e all’infinito. Un altro elemento che caratterizzò il pessimismo
leopardiano fu la sua giovinezza, Leopardi infatti visse in modo
permanente quello che è il dramma momentaneo di tutti gli adolescenti
e i giovani; il Leopardi non riuscì mai a inserirsi nel suo tempo, un po’ a
causa della rigidità e ottusità del contesto familiare che non gli
consentiva ampia possibilità di scelta, che lo condannò all’isolamento e
lo privò di rapporti umani, di esperienze concrete, delle soddisfazioni
che provengono all’uomo dal lavoro o da qualunque attività che lo
impegni e lo faccia sentire utile a sé e agli altri, così egli si chiuse in sé
stesso e di meditazione in meditazione pervenne ad una visione
totalmente pessimistica della vita.
Del pessimismo Leopardiano si possono distinguere tre fasi :
Pessimismo Storico 6
Leopardi vede un sostanziale contrasto tra natura e ragione. La Natura
è qui vista come madre benigna, misericordiosa. Leopardi concepisce
l’infelicità come una condizione propria in particolare dell'uomo
moderno, come un prodotto del divenire storico e del "progresso". E’
l’uomo stesso che allontanandosi dal felice stato di natura ha in gran
parte causato la propria infelicità. La natura è concepita invece dal
Leopardi come una "madre" provvida e benevola che, se non deviata o
contrastata da altre forze, condurrebbe l'uomo alla felicità. Il concetto
fondamentale su cui il Leopardi fonda il proprio sistema in questa prima
fase è dunque l'antinomia: Natura (= antichità) contro ragione (=
modernità, incivilimento) L’antichità è quindi vista come un mondo dove
era ancora possibile una percezione pura e incontaminata delle cose e
della natura; dove era ancora viva la morale eroica delle illusioni; dove
tutto era spontaneità, autenticità, vitalità.
Pessimismo Cosmico
Leopardi analizzando le illusioni che la Natura ci offre, arriva ad
elaborare questo secondo concetto chiave. la Natura non è più vista
come benigna, ma bensì come maligna. L’uomo raggiunge in
questa fase la lucida consapevolezza che l’obiettivo della Natura non è
la felicità umana, il suo unico fine sarebbe quello della riproduzione e
della distruzione della specie, in un circolo continuo. Si assiste quindi
alla contraddizione dell’uomo che ricerca la felicità datagli dalla Natura,
che invece si disinteressa di tutti e pensa solo a distruggere e a far
riprodurre. Leopardi sostiene che l’uomo debba giungere alla
consapevolezza che la Natura illude e che l’unica certezza è la morte.
L’unica via di salvezza per non cadere nell’infelicità e quella della
fratellanza tra gli uomini, tramite questi legami si cerca di alleviare
l’infelicità, supportandosi a vicenda.
Pessimismo Eroico 7
L'ultima stagione della poesia leopardiana presenta consistenti
elementi di novità. La constatazione della sofferenza universale di ogni
individuo e di ogni specie animale e vegetale, continua a generare nel
Leopardi un sentimento di pietà per tutti gli esseri viventi. Ciò che muta
in questi ultimi anni sono la disposizione d'animo, il modo di porsi di
fronte alla società e al mondo. Leopardi appare più aperto, più
combattivo, più persuaso della propria personalità e delle proprie idee,
contro chi, queste le rifiuta. Il poeta recanatese sostiene che l'uomo
deve prendere atto, con coraggiosa intransigenza intellettuale, della sua
tragica realtà nel mondo, per non rassegnarsi a cedere passivamente
ma, con altrettanto coraggio, per contrastare il destino, per opporsi ad
esso. Infinito
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce 8
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»
L’infinito è diviso in due fasi; la prima visiva mentre la seconda uditiva.
La prima riguarda l’infinito spaziale, mentre la seconda riguarda infinito
temporale. Nella prima parte, il poeta dichiara di essere su un colle, con
di fronte una siepe che gli impedisce di vedere una gran parte
dell’orizzonte. A causa della siepe, inizia ad immaginare l’infinito visivo.
Inizia a fantasticare con la mente, andando oltre la realtà, nel tempo e