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Introduzione Infinito, tesina
Questa tesina di maturità verte sul tema dell'infinito.
“ L'infinito è la qualità di ciò che non ha limiti o che non può avere una conclusione perché appunto infinito, senza-fine.”
Giacomo Leopardi
Per infinito si intende tutto ciò che non ha limite in estensione, quantità, durata. Il significato è insito nella stessa parola, visto che il prefisso ha lo scopo di negare il significato della radice della parola che indica limite.
L’ infinito è difficile persino da immaginare : possiamo averne un’idea ammirando il cielo stellato o limpido, possiamo goderne osservando la distesa del mare fino all’orizzonte.
Si incominciò a parlare d’ infinito quando il pensiero matematico si evolse dal piano pragmatico –operativo a quello logico-speculativo. Usando i numeri naturali, possiamo renderci conto dell’infinito, dal momento che è possibile aggiungere un’unità a qualsiasi numero, quante volte desideriamo.
L’immensità, l’indefinito, l’incommensurabile..
Tale concetto ha influenzato praticamente tutti gli aspetti della vita umana e non è possibile risalire a quale ambiente abbia generato quest’interesse, sicuramente l'infinito ha significati diversi in ambito filosofico, poetico - letterario, matematico e fisico.
La storia dell'infinito è stata in gran parte la storia della complementarietà e della lotta di due concezioni :
- l'infinito potenziale, "negativo", che non finisce mai,
- l'infinito attuale, perfetto e chiuso.
La mia tesina rappresenta il tentativo di dare forma ad un'idea suprema. C’è qualche possibilità che esista veramente nel concreto?
Collegamenti
Infinito, tesina
Italiano: L'infinito romantico, Giacomo Leopardi; l'infinito visto come assoluto Ungaretti e Montale.
Storia: Prima guerra mondiale e fascismo.
Inglese: Infinite.
Chimica fisica: La teoria della relatività di Einstein.
Matematica:L'infinito numerico
Impianti di biotecnologia: La depurazione delle acque reflue
Biologia:L'acqua
Biotecnologia: La preparazione dell'inoculo.
Inoltre, pur accogliendo l’esaltazione illuministica della libera ragione umana,
rivendica il valore del sentimento e della fantasia.
Nasce così un concetto più organico della vita dello spirito, fondata sulla libera
associazione di tutte le sue facoltà, una delle quali, il sentimento, non è più sentita
come inferiore, ma come il mezzo che ci pone in contatto più immediato con
l’Assoluto, cioè con l’intima realtà della vita universale, con ciò che i Romantici
l’infinito
chiamano .
Il modello più caratteristico e maggiormente seguito dai poeti è quello panteistico,
l’empatia fra l'Infinito e il finito è così forte da far sì che essi tendano a concepire il
finito come la realizzazione vivente dell'Infinito, sia esso inteso, alla maniera di un
panteismo naturalistico che identifica l'Infinito con il ciclo eterno della natura oppure di
un panteismo idealistico che identifica l'Infinito con lo Spirito, ossia con l'Umanità
stessa e fa della natura un momento della sua realizzazione.
Sebbene prevalente, il modello panteistico non è l'unico, poiché accanto ad esso
troviamo anche un'altra concezione dei rapporti tra finito ed Infinito: una concezione
per la quale l'Infinito viene in qualche modo a distinguersi dal finito, il finito non
appare più la realtà stessa dell'Infinito, ma come la sua manifestazione più o meno
adeguata.
La concezione dell’ infinito nel Romanticismo si fonda su alcuni punti-cardine
essenziali quali:
Assoluto e titanismo
Caratteristica inequivocabile del Romanticismo è la teorizzazione dell'assoluto, dell'
infinito immanente alla realtà che provoca nell'uomo una perenne e struggente
tensione verso l'immenso, l'illimitato.
Sublime
Secondo i romantici, l'infinito genera nell'uomo un senso di impotenza, ossia
l'incapacità e la paralisi nei confronti dell'assoluto che si traduce in un piacere
indistinto, in un’incessante ricerca del Bello, definito Sublime.
“Sehnsucht”, dal tedesco traducibile come nostalgia
E’ il desiderio del desiderio o male del desiderio. È la diretta conseguenza di quanto
sperimenta l'uomo nei confronti dell'assoluto, un senso di continua inquietudine e
struggente tensione, un sentimento che affligge il soggetto e lo spinge ad oltrepassare
i limiti della realtà terrena, opprimente e soffocante.
Ironia
E’ la consapevolezza della finitudine, l'uomo prende coscienza della sua stessa
limitatezza, identificandosi quindi, in un atteggiamento dissimulatore.
Il concetto di infinito è stato fatto proprio da Leopardi che, pur non accettando
completamente la concezione romantica, fu forse l’unico in grado di spiegarne
l’essenza.
L’ infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei: Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi
Lontano dall'idea matematica e filosofica, l' infinito leopardiano è il riflesso di una
realtà incommensurabile sui sensi limitati di una creatura finita, determinata: il poeta
approda a un sentimento, la dolcezza del naufragio, non ad un concetto.
L’idea e il sentimento dell’infinito sono le componenti del significato e del valore
dell’esistenza nell’opera leopardiana. Per il poeta, l’infinito è tutto ciò che è illimitato,
dunque una dimensione radicalmente opposta a quella umana, caratterizzata proprio
da un'insuperabile finitezza.
"L'Infinito" è il primo di quei primi componimenti che il poeta pubblicò nel 1825 col
"Piccoli Idilli".
nome di
L'idillio leopardiano si distingue profondamente da quello della tradizione: non è più il
quadretto bucolico, un componimento piacevole di ispirazione pastorale, ma
l'espressione poetica di un'avventura interiore, di un moto dello spirito nato dalla
contemplazione nuova ed attonita di un aspetto della natura, o dalla rinnovata
capacità di sentire e vedere. attraverso una finestra, una porta,
Sin da fanciullo, il poeta amava guardare il cielo "
una casa passatoia" "da una veduta ristretta e confinata"
: infatti, nasce il desiderio
dell'infinito, perché allora in luogo della vista lavora l'immaginazione ed il fantastico
subentra al reale.
L'anima immagina quello che non vede, ciò che quella siepe, quella torre gli
nascondono e va errando in uno spazio immaginario e si figura cose che non potrebbe
vedere, se la sua vista si estendesse ovunque, perché il reale escluderebbe
l'immaginario.
L'immergersi in una coscienza cosmica dell'infinito non è inteso dal Leopardi come
abbandono ad una pura emozione, ad un immediato vagheggiamento musicale,
piuttosto come consapevolezza vigile della realtà nata da un'esigenza di superamento
dei propri dati immediati. Per questo si parla di una dimensione religiosa dell'Infinito in
Leopardi: quello che più tardi diventerà meditazione ammirata dell'immensità della
vita, del cosmo, qui è ancora ansia e vagheggiamento di assoluto e di eternità che
nasce dalla coscienza della finitezza della propria realtà individuale.
"L'Infinito" si divide in due parti esattamente uguali, come dimostra il punto fermo a
metà dell'ottavo verso. Nella prima metà della poesia è descritto l'infinito dello spazio,
nella seconda metà, l'infinito del tempo: per definire l'infinito, ci dice il poeta, sono
necessarie ambedue le coordinate, lo spazio e il tempo.
Gli elementi esteriori si riducono ad un colle, ad una siepe che limita l'orizzonte, ad
uno stormire di fronde. Sulla cima di un colle una siepe impedisce allo sguardo la vista
di una grande parte dell'orizzonte. Ma quello che è l'ostacolo alla vista degli occhi
diviene stimolo alla visione interiore, all'immaginare del poeta.
sovrumani silenzi e la
Sorgono così dentro di lui gli "interminati spazi" del cielo, e i
profondissima quiete" non si spaura".
del vuoto; e quasi il cuore del poeta " Ma a
proseguire l'idillio sopraggiunge un lieve rumore di vento, l'unico breve rumore sulla
cime del colle. E da quella voce il poeta è ricondotto alle cose finite e giunge al
morte stagioni",
confronto di esse con l'eterno, al pensiero delle " e della stagione
presente così viva, così reale con i suoi rumori intorno al poeta.
L'idea dell'infinito è lontana da qualsiasi determinazione scientifica o filosofica. Per
questo i legami col reale o hanno la vaghezza di sogno, oppure si affidano alla purezza
della sensazione immediatamente tradotta in fantasia.
Ma ad un certo punto del viaggio interiore di Leopardi interviene qualcosa che rovescia
la situazione: la realtà che esiste al di qua della siepe diviene improvvisamente
lontana, perché respinta dallo spirito, all'immaginazione, nella quale il poeta
“non si spaura”.
rifugiandosi per poco A questo punto l'ultrarealtà si avvicina e il poeta
vi si immerge.
Il simbolo più evidente è rappresentato dalla siepe, che rappresenta non solo
l'elemento separatore tra la realtà e la ultrarealtà, ma soprattutto il senso di
ermo”)
esclusione (rafforzata dall'uso dell'aggettivo “ che il poeta vive nei confronti
della quotidianità esistenziale, che cerca di proiettare lontano da sé: proprio questa
fu”,
volontà di rigettare lontano la realtà è rappresentata dall'uso del passato remoto “
questa realtà gli fu sempre cara,
ed ora?
Ora il poeta cerca qualcosa di diverso, immagina un mondo diverso e di fronte a
questo mondo immaginato per un attimo il cuore e la mente si spaventano perché
oscillano tra le sicurezze, anche se intrise di infelicità di questo mondo reale, e la non
conoscenza del mondo ultrareale.
LA BIOGRAFIA
Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati nelle Marche. La sua prima
educazione venne curata dal precettore Don Sebastiano Sanchini, ma fin da piccolo
egli trascorre molto tempo nell'imponente biblioteca del padre scegliendo da sé le sue
letture. Nel 1809 si dedicò ad uno studio che egli definì "matto e disperatissimo" che
danneggiò irreparabilmente il suo fisico e lo rese di aspetto miserabile e di animo più
triste. Nel 1816 indirizza alla rivista "Biblioteca Italiana" la "Lettera ai signori
compilatori della Biblioteca Italiana" nella quale difende le posizioni classicistiche
contro quelle di Madame de Stael che sostiene invece ideologie di carattere romantico.
Questo suo scritto non viene però pubblicato. Nello stesso periodo avviene anche la
sua conversione letteraria dalla erudizione vera e propria al gusto della bellezza e
stringe amicizia con Pietro Giordani che intuendo il suo senso d'isolamento ,
l'insofferenza verso il chiuso ambiente della famiglia e di Recanati e la sua genialità, lo
incita a proseguire gli studi e le prove poetiche.
Intanto nel 1819 si avvia alla cosiddetta "conversione dal bello al vero" cioè dalla
poesia alla filosofia.
Nel 1819 è colpito da una malattia agli occhi che lo tormenterà tutta la vita. Tenta la
fuga da Recanati, esasperato dall'oppressione familiare e dall'incomprensione che lo
circonda, ma i suoi piani vengono scoperti e il progetto fallisce. In questo momento di
profondo malessere fisico e di cupa depressione, in cui medita anche il suicidio, il
poeta rielabora e dà forma poetica ai motivi del suo pessimismo. Nascono infatti i
"Piccoli Idilli ".Solo tre anni dopo gli viene dato il permesso di andarsene da Recanati
per recarsi a Roma ma la città e l'esperienza romana lo deludono profondamente. Fa
dunque ritorno a Recanati e comincia a comporre le "Operette Morali" , un opera in
prosa interrompendo così l'attività poetica.
Nel 1827 si trasferisce a Pisa il cui clima sembra giovare alla sua salute sia fisica che
mentale, siamo infatti in una fase di relativa serenità durante la quale riprende a
scrivere in versi; compone infatti "A Silvia" il primo dei "Canti" noti anche come
"Grandi Idilli".
Nel 1930 a Firenze conosce Fanny Targioni Tozzetti e si innamora di lei. Amore però
non corrisposto, appassionato e disperato la cui storia è testimoniata dal gruppo di
poesie note come "Ciclo di Aspasia" .
Intanto però le sue condizioni fisiche peggiorano sempre di più tanto che egli ormai
sempre più depresso si definisce :"un tronco che sente e pena ".
Nell'aprile 1836 per sfuggire ad un'epidemia di colera , va ad abitare sulle pendici del
Vesuvio e ispirato da questo paesaggio compone i suoi ultimi capolavori come "La
Ginestra o il fiore del deserto" .
Nel 1837 le sue condizioni di salute si aggravano, muore il 14 giugno.
LA POETICA
L’idea fondamentale che guida il pensiero di Leopardi è quella di voler cancellare ogni
residua illusione e affrontare con fermezza il vero (prima mascherato) e la realtà che
non può essere altro che infelicità.
Egli vuole svelare i meccanismi sui quali si basa la civiltà moderna fondata
sull’illusione del progresso. Per il poeta l’unico progresso possibile si ha quando l’uomo
rompe il velo degli inganni e mostra il vero volto delle cose, quindi l’infelicità umana,
traendo da questa presa di coscienza un motivo di reciproca solidarietà tra gli uomini
per poter affrontare la realtà. Leopardi però non arriva subito a concepire questa idea
ma il suo pensiero si sviluppa attraverso tre fasi le quali sono:
Il pessimismo storico: nel quale la civiltà, la ragione hanno distrutto le illusioni e
mostrato l’arido vero, la vera condizione dell’uomo che non è destinato alla felicità;
Il pessimismo cosmico: nel quale grazie alla civiltà e all’uso della ragione il poeta ha
smascherato la verità. Questo non è più negativo come nel pessimismo storico perché
ha permesso all’uomo di togliersi il “velo di Maya” come affermava Schopenhauer.
Quindi ora lo scopo dell’uomo non è recuperare le illusioni per difendersi dalla realtà
ma disilludersi.
L’ultimo Leopardi: nel quale il poeta arriva ad affermare che il riscatto