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2 LA RAPPRESENTAZIONE DELL’INFINITO IN ARTE
C
ertamente l’arte è stato uno dei campi in cui si è tentato di cogliere le dimensioni di
infinito in vario modo. L’infinito acquista per ognuno una diversa raffigurazione: per
gli esploratori è il mare, i grandi deserti, le vaste pianure; per altri, come il pittore
Kandinskij, l’infinito è associato al silenzio, eterno e vuoto, e lo spagnolo Joan Mirò associò
a questo perenne silenzio il
colore blu, forse attingendo al
colore del cielo. Il concetto di
infinito è stato più volte
motivo di ispirazione per
opere pittoriche e scultoree.
Una delle prime tecniche
utilizzate nella pittura per
rappresentare l’infinito furono
la tridimensionalità e,
soprattutto, la prospettiva. Per
dare prospettiva ad un quadro
bisogna innanzitutto tracciare
l’orizzonte, detto pure “retta all’infinito”, verso cui tutte le figure si rimpiccioliscono, e
sull’orizzonte individuare il cosiddetto “punto di fuga”. In questo punto particolare, che
varia assieme all’orizzonte a seconda del punto da cui si guarda il paesaggio, tutte le linee
tendono a convergere, comprese due parallele. Ma se per definizione due parallele si
incontrano solo all’infinito, allora quel punto rappresenta l’infinito, che per uno che guarda
un paesaggio molto esteso, si identifica con un punto.
Successivamente anche Leonardo da Vinci perfezionò questa tecnica con l’incredibile
effetto ad “infinitum”. Questo effetto viene ripreso nel periodo romantico, in cui il
sentimento prevaleva sul ragionamento ricorrendo a temi esistenziali come la meditazione
sul trascorrere del tempo e sugli spazi infiniti.
2.1 Caspar David Friedrich
Caspar David Friedrich nacque a Greifswald (Pomerania) nel
1774.
La famiglia era di umili origini, e la sua infanzia venne
segnata dalla morte della madre e del fratello.
Iniziò a dedicarsi all'arte sotto la guida dell'architetto Johann
Friedrich Quistorp. Nel 1794 si iscrisse all'Accademia di
Copenhagen, dove seguì i corsi di Jens Juel e Abrahm Nicolai
Abildgaard. 12
Nel 1798 Friedrich si trasferì a Dresda. Qui entrò in contatto con alcune delle maggiori
personalità dell'epoca: Goethe, Tieck, Schlegel, Schelling, Novalis. Frequentò anche gli
scrittori del gruppo Phöbus: Heinrich von Kleist, Theodor Körner, Amadeus G.Müllner.
Dresda era destinata a rimanere la sua principale dimora per il resto della vita. Ma il suo
temperamento irrequieto lo portò più volte nella città natale, o in giro per i boschi della
Pomerania, sulle montagne dello Harz e sull'isola di Rügen. La grande molla che animava
questi movimenti era il bisogno di vivere a contatto con la natura.
I primi lavori di Friedrich furono disegni a
seppia e acquerello, lavori che risentono del
gusto romantico dell'epoca. Nel 1807
cominciò a dedicarsi alla pittura a olio.
Nel 1808 realizzò La croce sulle montagne
(Dresda, Gemäldegalerie). Il dipinto,
commissionato dalla contessa Thun und
Hohenstein, suscitò polemiche per l'audace
simbologia legata al paesaggio. Alla base di
questa e altre opere si possono collocare
l'interesse per l'estetica di Schelling (Discorso
sulle arti figurative e sulla natura, 1807) e le
idee di Schleiermacher, che vede nella
contemplazione della natura uno strumento di
elevazione spirituale.
Friedrich era spirito colto e curioso. La sua passione lo portò a leggere i libri di Runge (La
sfera dei colori, 1810) e Goethe (Teoria dei colori, 1810). L'influenza di queste letture si
avverte nelle opere successive, dove il colore si carica di nuove suggestioni e valenze
simboliche. A partire dal 1810 si dedicò all'insegnamento. Il suo temperamento riservato e
solitario non gli impedì di raggiungere il successo.
Nel 1817 venne nominato membro dell’Accademia di Dresda. Nel 1818 sposò Carolina
Bommer.Verso la fine degli anni '10 conobbe il pittore norvegese Christian C. Dahl, col
quale abitò a partire dal 1820, e il filosofo tedesco Karl Gustav Carus, autore di Nove lettere
sulla pittura di paesaggio, che diventò suo allievo. È il nucleo di quella che verrà definita la
"Scuola di Dresda": la corrente romantica che fa capo, appunto a Caspar David Friedrich.Nel
1824 si ammalò. Negli anni seguenti il suo stato di salute si aggravò. Friedrich cominciò a
soffrire di un complesso di persecuzione, che allontanò molti dei suoi amici.
Fino al 1827 riuscì lavorare poco ma alla fine si riprese. Nel 1835 venne colpito da
un'emorragia cerebrale, che lo lasciò paralizzato.Caspar David Friedrich morì a Dresda nel
1840. 13
2.1.1 Luoghi dell’infinito di Caspar David Friedrich
In quel nuovo e complesso movimento culturale definito Romanticismo, si colloca la figura
del pittore Caspar David Friedrich le cui opere, per la loro suggestività, sono diventate il
simbolo di quest’epoca. Il pittore tedesco aveva come soggetti per lo più paesaggi: la
natura viene rappresentata in tutta la sua sconfinatezza, quasi a voler dare espressione al
senso d’impotenza dell’uomo, essere finito, di fronte alla natura, manifestazione infinita. La
sua pittura è influenzata dalla filosofia della natura di Schelling. Se è vero, come voleva
Hegel, che ogni filosofia è il proprio tempo espresso in concetti, Friedrich è riuscito a
tradurre in pittura gli ideali romantici e le nuove concezioni dell’uomo nel suo rapporto con
la natura e il divino. Egli esprime nelle sue tele quel desiderio struggente di infinito e quel
sentimento profondamente mistico della natura, tipici dello spirito romantico, attraverso
un nuovo linguaggio artistico espresso in una pittura di paesaggio che si configura come
proiezione dell’anima stessa dell’artista e, quindi, del suo mondo interiore. Uno dei concetti
fondamentali della sua poetica è l’Assoluto. La natura rappresentata è una natura plasmata
dalla voce interiore dell’artista. Egli vede nei fenomeni naturali il loro essere spirituale; la
manifestazione dell’infinito nella dimensione finita. Nelle sue opere è espressa quella
perenne tensione verso l’infinito (streben), quel desiderio struggente dell’oltre-limite che
caratterizza lo spirito romantico. Friedrich si fa sublime interprete di questo desideri,
sperimentandone però, al tempo stesso, la lacerante contraddizione; la consapevolezza
dell’irriducibilità dell’infinito al finito, quell’impossibile coincidenza completa tra limite ed
illimitato, che è causa nell’uomo di quel senso di inappagabile incompletezza e disarmonia.
Tale consapevolezza è espressa in quel senso di solitudine e tragicità che i personaggi dei
quadri di Friedrich sembra avvertano di fronte al sublime spettacolo della natura. Solitudini
sconfinate, eterne lontananze, luci irreali sono i simboli di quel desiderio struggente di
infinito che è la principale chiave di lettura della poetica del pittore tedesco. I paesaggi di
Friedrich si caricano di un profondo significato religioso e l’arte stessa e la pittura diventano
il linguaggio grazie al quale risulta possibile comunicare con Dio. L’arte di Friedrich è
permeata inoltre da un profondo senso religioso; essa è vera e propria preghiera che
permette di entrare in intimo rapporto con il divino attraverso la natura e l’espressione del
proprio mondo interiore. 14
2.1.2 Monaco in riva al mare
Al 1808-1809 risale l'opera più famosa e al contempo più affascinante di Friedrich: Monaco
in riva al mare; L’opera, com’è consuetudine di questo artista meticoloso, è il risultato di
studi precedenti e ripensamenti, rintracciati dagli studiosi sulla stessa tela, mediante esami
a raggi infrarossi. Inizialmente Friedrich aveva dipinto due navi, poi cancellate: il cielo,
dapprima diurno è stato trasformato in notturno, con l’aggiunta della luna e della stella del
mattino (come viene dichiararo dal suo diario), elementi nuovamente scomparsi sotto altre
velature di colore.
Alla sua esposizione, il quadro destò scalpore: la rappresentazione di questo immenso
vuoto risultò eccessiva ad alcuni critici, mentre venne particolarmente apprezzato dai
filosofi Kleist e Schopenhauer, che lo interpretavano come visione poetica del sentimento
dell’infinito.
Quasi tutto lo spazio è occupato dal cielo, simbolo della vita spirituale, poi segue una
striscia di mare e un cuneo di terra. L’esule figura del monaco, decentrata e poco
percepibile, non solo per le dimensioni minute, ma anche per la somiglianza cromatica con i
colori vicini, sembra proprio perdersi in questo paesaggio desolato. Un paesaggio privo di
qualsiasi particolare, di qualsiasi dettaglio, tutto è essenzialità: acqua, aria, luce, tutto sta
ad indicare non uno specifico luogo, non solo un posto, ma l’immensità e la semplicità di un
luogo che può essere uno qualsiasi come tutti. L’artista lascia che lo sguardo si perda, oltre
la cornice pare che quel mare continui, e quel monaco, sempre più piccolo, non fa altro che
accentuare la maestosità della natura e l’immensità dell’assoluto. 15
Si coglie un effetto di vastità, di infinito, di vuoto impressionante che circonda la piccola
figura umana. Il monaco rappresentato come una piccola freccia, come un vettore che
punta in alto, sembra voler raggiungere il cielo. Arrivato alla soglia dell’esistenza, all’ultima
parte di finito che apre la mente all’infinita natura, quel monaco di spalle, senza nessuna
identità se non quella di ognuno di noi, rivolge il suo sguardo alla luce dell’assoluto e
all’infinità del mare. E’ l’immagine poetica dell’uomo che aspira all’infinito, ma prende
coscienza della sua piccolezza davanti a Dio. Ma è anche il simbolo dello stesso artista, che
per rappresentare il senso della vocazione artistica, spesso definisce il proprio lavoro come
una pratica ascetica.
Questo quadro è l’infinito nel finito, l’immortale nel mortale, il tutto in una sua parte. 16
3 DANTE ALIGHIERI
D ante Alighieri nacque a Firenze fra il 14
maggio e il 13 giugno 1265 da una famiglia
della piccola nobiltà guelfa. Il padre di Dante
si era ridotto ad esercitare la professione di usuraio.
Dopo la morte precoce della madre del poeta, sposò
in seconde nozze Lapa Cialuffi. Dopo aver completato
a Firenze gli studi del Trivio e del Quadrivio, il giovane
Dante ebbe la possibilità di dedicarsi agli studi presso
l’Università di Bologna. Ebbe pratica anche nelle armi
e sappiamo che nel 1289 partecipò alla battaglia di
Campaldino contro gli Aretini.
In tale periodo Dante scrisse i suoi primi versi, nei
quali già emerge la figura di Beatrice, una giovane di
Firenze di cui si era innamorato all’età di 18 anni.
Nelle sue poesie, Dante traeva spunto soprattutto dai versi di Guido Guinizzelli,
inaugurando un modello che egli stesso definì dolce stil novo per la dolcezza dello stile e
l’originale interpretazione del tema amoroso.
La morte di Beatrice segnò però una profonda svolta nella vita del venticinquenne poeta.
Egli stesso nel Convivio racconta di aver cercato consolazione al dolore nella filosofia. La
prima opera di questa nuova fase della sua vita è intitolata Vita nuova e venne composta
tra il 1292 e il 1295. In essa sono raccolte poesie, scritte da Dante prima e dopo la morte di
Beatrice, che raccontano la storia idealizzata dell’amore del poeta per la sua donna e le
vicissitudini interiori che ne accompagnano i vari momenti.
Nel periodo che va dal 1290 al 1295 si colloca anche il cosiddetto “traviamento” di Dante,
una crisi personale forse corrispondente all’allegoria selva oscura del canto I dell’Inferno.
Tra il 1295 e il 1302 Dante partecipò attivamente alla vita politica di Firenze. La sua carriera
politica raggiunse però l’apice nel 1300 quando Dante, guelfo di parte bianca, venne eletto
priore (la carica più importante del comune fiorentino): il poeta era un politico moderato,
tuttavia convinto sostenitore dell’autonomia della città di Firenze, che doveva essere libera
dalle ingerenze del potere del Papa . L’anno successivo, il papa Bonifacio VIII decise di
inviare a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con l’intenzione nascosta di