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Sintesi
ITALIANO FOSCOLO e LEOPARDI,
FILOSOFIA SCHOPENHAUER,
LATINO LUCREZIO,
STORIA PRIMA GUERRA MONDIALE,
INGLESE BLAKE E DICKENS, FEO,
ASTRONOMICA LE STELLE, ARTE
IMPRESSIONISMO: MANET, MONET, RENOIR, CEZANNE, ECC.
Estratto del documento

ARTHUR SCHOPENHAUER

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio 1788. Il padre è

banchiere e la madre una nota scrittrice di romanzi.

Viaggia in Inghilterra e in Francia e dopo la morte del

padre comincia a frequentare l’Università di Gottinga.

Influenzano notevolmente il suo pensiero le filosofie di

Platone e di Kant. Frequenta le lezioni di Fichte a Berlino

e nel 1813 si laurea all’Università di Jena.

Negli anni seguenti vive a Dresda dove compone lo

scritto Sulla vista e sui colori e prepara la stampa della

sua opera principale Il mondo come volontà e rappresentazione che pubblica

nel dicembre 1818 e che non ebbe subito successo.

Dal 1820 al 1832 insegna come docente libero presso l’Università di Berlino

con poca fortuna. Contemporaneamente viaggia in Francia e in Italia e, a causa

di un’epidemia che lo costringe a lasciare Berlino, si trasferisce definitivamente

a Francoforte sul Reno, dove morirà il 22 settembre 1861.

Molti sono gli influssi culturali di Schopenhauer: Platone e la teoria delle

idee come forme eterne ed immutabili; Kant per quanto riguarda il problema

gnoseologico della conoscenza e importanza del soggetto nel processo di

comprensione del mondo che non si muta e non si modifica ma sta al centro

organizzando la natura e il rapporto fenomeno-noumeno; l’Illuminismo e il

materialismo come tecniche per smascherare e demistificare la realtà

mostrando la vera essenza del mondo; il Romanticismo per il tema dell’infinito

e del dolore. Ma la critica maggiore è diretta nei confronti dell’idealismo

romantico: Schopenhauer disprezza questa filosofia, quella di Fichte e di Hegel

in particolar modo con il panlogismo ottimistico, definendola filosofia

dell’Universalità e farisaica.

Nell’opera Il mondo come volontà e rappresentazione, Arthur

Schopenhauer riprende il dualismo kantiano. Per Kant il fenomeno

(phainomenon, da phainein cioè mostrare) è ciò che si mostra, ciò che appare,

ciò che è accessibile alla conoscenza umana; la realtà fenomenica è quella già

data, nella quale gli oggetti appaiono al soggetto ed alla conoscenza per come

si presentano. Ma esiste un’altra realtà che non appare e che quindi l’uomo

non può conoscere: questo è il noumeno (da noein cioè pensare), l’incognita,

la cosa in sé, la realtà inconoscibile ed inaccessibile creata da un’entità

superiore, la quale è l’unica a poterla conoscere. Il noumeno ricorda all’uomo i

suoi limiti. L’io come soggetto della conoscenza diventa legislatore della

natura: ordina gli oggetti e organizza i fenomeni secondo schemi a priori.

Per Schopenhauer invece, il fenomeno è pura illusione, apparenza, sogno;

tra la rappresentazione e la vera realtà si distende il “velo di Maya” (è una

potenza magica ripresa dalla tradizione orientale di cui si servono gli dei per

assumere aspetti illusori) che avvolge l'uomo come in un sogno illusorio e gli

impedisce di conoscere la vera essenza delle cose.

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Il noumeno è ciò che si mostra dopo aver squarciato il velo di Maya, è la

realtà senza false illusioni.

Il mondo è una mia rappresentazione significa che il mondo consiste nel suo

essere percepito da un soggetto. Per Schopenhauer, infatti, il fenomeno è

rappresentazione di qualcosa che è dentro la coscienza del soggetto e fuori non

è nulla, è illusione che demistifica la realtà e che nasconde l’essenza

noumenica.

Schopenhauer analizza le forme a priori Kantiane di tempo, spazio e

causalità; nella rappresentazione il soggetto ordina le impressioni collocandole

nello spazio e nel tempo in una trama secondo il principio di causa ed effetto.

Spazio, tempo e causalità deformano la realtà rappresentata che è perciò

un'illusione, apparenza.

L’uomo però è portato ad interrogarsi sul fine ultimo della vita e non vuole

vivere nell’illusione, vuole oltrepassare il fenomeno e giungere a capire il

noumeno attraverso la conoscenza intuitiva. Tuttavia, poiché l’uomo non è

solamente intelletto ma anche corporeità, attraverso un’intuizione geniale,

ripiegandosi in sé stesso nell’intimità del proprio io, riesce a conoscere

l’essenza noumenica dell’essere. Se l’uomo si vede dal di fuori, conosce solo

l’essenza illusoria dell’essere; se si guarda dal di dentro, se segue i suoi

sentimenti, la brama, la volontà di vivere, l’impulso che lo porta senza posa a

vivere e ad agire, può conoscere il noumeno. Il nostro corpo è il fenomeno che

copre la vera essenza del mondo, è manifestazione di un principio che è

volontà, è la parte finita che rappresenta l’infinito. Solo l’infinito è concreto e

reale, il finito è una parziale manifestazione di esso. Il mondo fenomenico è la

rappresentazione della realtà, il corpo è rappresentazione del principio di

Volontà.

Le cose del mondo sono oggettivate nella Volontà che è il principio primo.

Dietro la molteplicità dei fenomeni vi è un’essenza che è unica, senza scopo ed

eterna. Il suo unico fine è di continuare ad essere, di perpetuarsi per l’eternità.

Questo principio primo infinito che si manifesta nel finito è arazionale, alogico,

assoluto, unico, eterno, inconscio, è la sostanza del mondo. La Volontà si pone

fuori dal mondo della rappresentazione, si sottrae alle forme del mondo

fenomenico (spazio e tempo). Il noumeno è, è sempre stato e sempre sarà, è

energia, impulso cieco ed irrazionale.

Poiché la Volontà è presente ovunque e sempre, nel mondo non c’è posto

per l’individuo, le cui iniziative non sono altro che un mezzo del principio

infinito. L’uomo è quindi solo un burattino e la vita viene a non avere più

senso. "[…] ogni aspirazione nasce da un bisogno, da una scontentezza del

proprio stato; c’è patimento fino a che essa (la Volontà) non sia soddisfatta;

ma non v’ha affatto soddisfazione durevole: essa non è se non il punto di

partenza d’una nuova aspirazione, sempre impedita in ogni maniera, sempre

lottante, quindi sempre causa di dolore: per essa giammai uno scopo finale,

perciò giammai limite né termine del soffrire. […] cresce il soffrir arrivando al

grado supremo nell’uomo; qui anzi è desso tanto più violento in quanto l’uomo

è dotato di una coscienza più lucida, d’una intelligenza più alta: colui nel quale

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sta il genio è sempre quegli che soffre maggiormente". [da A. Schopenhauer, Il

mondo come volontà e rappresentazione].

Il mondo, quindi, diventa teatro dell’illogico, non esiste alcun dio, non c’è

religione né metafisica. Poiché Schopenhauer è un materialista ateo, non c’è

alcuna finalità ma solamente un meccanismo esterno ai bisogni dell’uomo. Ne

consegue la sofferenza delle creature, dato che il male è parte dell’essenza del

mondo. La critica all’ottimismo sociale e storico è inevitabile: l’unico scopo

dell’uomo è quello di perpetuare la specie.

Il piacere è una breve pausa tra un desiderio e l’altro e l’uomo soffre perché

perennemente assillato dai suoi stessi desideri, che non può mai soddisfare

tutti e definitivamente. La noia, dolorosissima, subentra nel momento in cui

l’uomo, involontariamente, si trova a non sentire interesse per alcunché.

LE VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE

Per Schopenhauer la soluzione al pessimismo non è il suicidio. Il solo modo

per liberarsi dalla Volontà è negarla: è quindi necessario passare dalla

Voluntas alla Noluntas. Le strade per allontanarsi dalla sofferenza del mondo

fenomenico sono tre:

1) ARTE: consiste nella contemplazione disinteressata delle idee, ossia di

forme pure, da parte del puro soggetto del conoscere (puro occhio del

mondo); sottrae l'individuo dai bisogni e dai desideri quotidiani elevandolo

al di sopra del dolore e del tempo. La musica è l'arte più profonda ed

universale capace di metterci in contatto con le radici stesse della vita e

dell'essere. La liberazione tuttavia ha carattere parziale e temporaneo.

2) MORALE: deve sorgere non da un imperativo categorico ma da un senso di

pietà o di compassione nei confronti del prossimo. Mantiene l’individuo

all’interno del mondo ma fa sì che si liberi dall’egoismo. Soffrendo con l’altro

e compatendolo, non c’è differenza ma unione metafisica. Bisogna assumere

un sentimento di caritas.

3) ASCESI: con essa si raggiunge il traguardo di una liberazione totale; è la

cessazione di qualsiasi istinto e impulso, vi è indifferenza verso le cose.

L’uomo annienta la volontà di vivere rifugiandosi nella non volontà (nolontà)

che è l'aspirazione ad essere assorbito nel nulla e corrisponde al Nirvana

buddista (esperienza del nulla). In altre parole, se il mondo, con tutte le sue

illusioni, le sue sofferenze ed i suoi desideri, è un nulla, il Nirvana è un

tutto, è un oceano di pace, uno spazio luminoso di serenità, in cui si

dissolve la nozione dell’io e del soggetto, cioè il fenomeno.

Il tema dell'illusione è presente anche nella visione della vita di Lucrezio,

grande poeta latino. Egli non esalta i pregi che tale sentimento produce ma lo

condanna, considerando la stessa RELIGIO un'illusione e causa di tanti mali.

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LUCREZIO

Tito Lucrezio Caro, nasce nel 99 a. C. probabilmente a Pompei e morì nel

55 a. C., non si sa se avvelenato o suicida. Della sua vita non si conosce quasi

nulla per il fatto che sono pervenuti pochissimi scritti. Il poema che ha lasciato

è il De Rerum Natura (intorno alla natura delle cose).

Il punto di vista da cui guarda il mondo si rifà alla dottrina del filosofo greco

Epicuro, l'epicureismo; Lucrezio non crede in un altro mondo, non crede nella

sopravvivenza dell'anima, ma si limita a descrivere e a esaltare la vita terrena.

La virtù, la felicità, il piacere, il dolore, ecc. sono per lui sentimenti, modi di

essere, legati strettamente alla nostra esistenza fisica; rifiuta la religione

pagana e ne crea al suo posto una che non ha bisogno di dèi, è la religione

dell'uomo e della natura. Si limita a descrivere ed esaltare la vita terrena.

Il pubblico a cui si indirizza è la classe dirigente del tempo.

DE RERUM NATURA

E' un poema epico-didascalico in esametri, suddiviso in sei libri.

Suo oggetto è l’esposizione della filosofia epicurea, nella quale vede l’unica via

per risolvere i problemi esistenziali dell’uomo.

Il destinatario è un certo Memmio, al quale dedica l’opera, forse per ottenere

da lui un qualche protettorato.

Lucrezio ribadisce il valore strumentale e divulgativo della forma poetica,

destinata a mediare in modo efficace contenuti che altrimenti riuscirebbero

ostici al lettore.

E' molto importante l'influenza di Empedocle: con quest'ultimo ha in

comune non solo la forma esametrica e l'argomento, ma anche la profonda

convinzione di una missione da compiere per il bene dell’umanità.

CONTENUTO DELL'OPERA:

Il poema è preceduto da un proemio ed è concluso da un epilogo; i libri dispari

(I, III, V) forniscono le premesse concettuali per la spiegazione dei fenomeni

analizzati nei libri pari successivi.

I e II libro: descrizione fisica del mondo

III e IV libro: descrizione dei comportamenti dell'uomo

V e VI libro: hanno per oggetto la cosmologia che si conclude con la

descrizione della Peste di Atene.

STILE: utilizza molte figure retoriche (allitterazioni, anafore, chiasmi e

arcaismi).

La noia in Lucrezio 12

La noia è, per Lucrezio, come una malattia. Essa deriva dall’impossibilità

dell’uomo di soddisfare i propri desideri, le proprie ambizioni, passioni, impulsi.

Tutto ciò crea all’uomo una sensazione di profondo disagio di cui spesso non

riesce a stabilire le cause precise. L’appagamento dei singoli desideri e delle

pulsioni umane sarà solo momentaneo e illusorio: appagato un desiderio ne

verrà di nuovo un altro e così via. Solo da un’accurata conoscenza della natura

delle cose, e dall’adottamento della filosofia epicurea (atarassia), si può

sconfiggere la noia ed evitare il senso di disagio.

Gli uomini si affannano perseguendo falsi scopi, miraggi illusori: gareggiano

per emergere, contendono tra loro per conquistare ricchezze e potere, che

sono fonti non di vera gioia ma di apprensioni, inquietudini e sofferenze. E non

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