vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi

Indice
INTRODUZIONE
Introduzione alla tesina “L’illusione”
FILOSOFIA
Arthur Schopenhauer
ITALIANO
Ugo Foscolo
LATINO
Lucio Apuleio
STORIA
La Belle Epoque
GEOGRAFIA
La posizione apparente delle stelle nelle varie costellazioni
ARTHUR SCHOPENHAUER
Il mondo della rappresentazione come “velo di
Maya”
Arthur Schopenhauer basa il proprio pensiero su un’
analisi della realtà. L’intento è di mostrarci quale sia
la vera natura del mondo e il conseguente disagio
dell’umanità; entrambi, infatti, oltrepassano i limiti
del mondo terreno ed esprimono la loro idea sul vero
significato della vita mostrando la realtà per quella
che è, e smascherando la più grande delle illusioni:
la felicità. Il punto di partenza della filosofia di
Schopenhauer è la distinzione kantiana tra
fenomeno e noumeno. Per Kant il fenomeno è
ciò che appare, l’unica realtà accessibile alla
conoscenza umana; e il noumeno è la cosa in
sé, una realtà inaccessibile, un concetto-limite
atto a farci ricordare i limiti della conoscenza.
Schopenhauer ritiene che Kant abbia
commesso un errore perché ha precluso la via
Il
alla conoscenza della cosa in sé. Nell’ opera
Mondo come volontà e rappresentazione,
Schopenhauer sostiene che, finché il soggetto
è orientato a conoscere il mondo fenomenico,
“il mondo è la mia
la sola conclusione a cui può pervenire è
rappresentazione”; ma quando si rivolge alla sua autocoscienza, al
proprio intimo, raggiunge la cosa in sé, scopre che lo stesso mondo,
che esteriormente ci appare come fenomeno, è nella sua essenza
identico con ciò che a noi si rivela coma la mia volontà
(identificazione della cosa in sé con la volontà). Schopenhauer
sostiene che il mondo che cade sotto i nostri sensi è ingannevole, e
(è come una
che il fenomeno è quindi illusione, sogno, parvenza
corda abbandonata in terra che da lontano sembra un serpente, ma
se ti avvicini ti accorgi che è solo una corda). Tra la
rappresentazione e la vera realtà si distende quello che la filosofia
induista chiama “velo di Maya”, che avvolge l’uomo come in un
sogno illusorio e gli impedisce di conoscere la vera essenza delle
cose. Il noumeno è ciò che si mostra dopo aver squarciato il velo di
Maya, ovvero la realtà senza false illusioni. Similmente alla
metafora della caverna di Platone, l’uomo è dunque presentato da
Schopenhauer come un individuo i cui occhi sono coperti da un
velo, dal quale l’anima, liberandosi, si risveglia dal letargo
conoscitivo e può contemplare la vera essenza della realtà. A
differenza di Kant, Schopenhauer ritiene che la nostra mente utilizzi
tre forme a priori: spazio, tempo e causalità. Poiché le paragona a
dei vetri attraverso cui la visione si deforma, considera la
rappresentazione una realtà ingannevole, per questo la vita è un
sogno. Ma al di là del sogno esiste la vera realtà, sulla quale l’uomo
non può fare a meno di interrogarsi. Infatti Schopenhauer sostiene
che l’uomo è un’ ”animal methaphysicum”, che a differenza degli
altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad
interrogarsi sull’essenza ultima della vita.
UGO FOSCOLO
L’illusione nel culto del sepolcro
Il tema dell’illusione in Foscolo si applica all’amore,
alla bellezza (come ideale quasi divino ed immortale,
come idea che va al di là del tempo), alla poesia
(illusione positiva di celebrare le grandi gesta degli
uomini), ed in particolare al sepolcro (come idea
della continuità tra vivi e defunti che rende
immortale il ricordo delle nobili imprese).
Per Foscolo l’illusione non è sinonimo di falsa verità,
di utopia irrealizzabile, ma è fiducia negli ideali più
alti, è speranza, quasi sicurezza di proiettare tali
ideali (libertà, patria, virtù, onore) nel futuro con la
speranza che saranno di nuovo compresi, condivisi e
recuperati da altri uomini.
Questo aspetto dell’ideologia foscoliana è “Dei
riscontrabile in particolar modo nel carme
Sepolcri”.
Lo spunto per la composizione del carme fu
dato al Foscolo dalla discussione con l’amico
Ippolito Pindemonte sull’estensione in Italia,
avvenuta nel 1806, dell’editto napoleonico di
Saint-Cloud (1804), che stabiliva le regole per
gli usi cimiteriali: oltre che proibire la sepoltura
dei morti all’interno del perimetro della città,
stabiliva per ragioni democratiche che le lapidi
dovessero essere tutte uguali, per evitare così
discriminazioni sui morti. Pindemonte, che
I Cimiteri,
stava lavorando ad un poemetto intitolato sosteneva il
valore cristiano della sepoltura individuale; Foscolo invece, da un
punto di vista materialistico, che gli deriva da una concezione
meccanicistica e illuministica dell’esistenza, aveva negato il valore
della sepoltura, poiché la morte produce la fatale dissoluzione
dell’essere.
Nei Sepolcri Foscolo riprende questa discussione, ribadendo
inizialmente le tesi materialistiche sulla morte, ma superandole poi
con altre considerazioni che rivalutano il significato del sepolcro. Se
la ragione lo porta a credere che la morte sia la fine di tutto, Foscolo
le contrappone l’illusione di una sopravvivenza dopo la morte.
Questa illusione è affidata alle tombe: se le tombe non giovano ai
morti, perché non restituiscono la vita, esse sono utili ai vivi, perché
mantengono vivo il ricordo e stabiliscono un rapporto affettivo con i
familiari e gli amici. Si stabilisce così un ideale colloquio tra vivi e
defunti, illusorio, ma tuttavia espressione di quella “corrispondenza
d’amorosi sensi”.
L’illusione è in sostanza in Foscolo quella componente irrazionale
della natura umana che si ostina a credere in quei valori o ideali che
non trovano alcune realizzazione nella vita quotidiana, ma che
permettono all’uomo di continuare a vivere una vita che altrimenti
sarebbe priva di significato. La Poesia è considerata da Foscolo
l’illusione delle illusioni: essa è espressione di umanità e civiltà,
perchè fa vivere questi ideali nel mondo, li sottrae al nulla della
morte, eternando nei secoli gli spiriti di eroi e poeti che li hanno
affermati.
APULEIO: LA FAVOLA DI AMORE E
PSICHE
La novella di Amore e Psiche è inserita in un
lungo romanzo composto da Apuleio, dal titolo
Metamorfosi, e denominato successivamente
“L’asino d’oro” da Sant’Agostino. Qui vengono
narrate le peripezie di Lucio, che per errore,
viene trasformato in asino, pur conservando
mente e sentimenti umani. Solo dopo molte
avventure, talvolta anche dolorose, Lucio potrà
riprendere la forma umana grazie all’intervento
della dea Iside, di cui poi diventerà sacerdote.
La favola di Amore e Psiche veicola gli stessi
significati del romanzo nel quale è inserita, è
una microstruttura che ricalca i temi di una macrostruttura più
grande. L’episodio si snoda attraverso le sequenze tipiche della
“fiaba di magia”: racconta infatti le vicissitudini di una giovane e
bellissima ragazza dall’emblematico nome di Psiche, che significa
“anima”, di cui si innamora perdutamente il dio Cupido, cioè Amore,
figlio di Venere, il quale trasporta la fanciulla in uno splendido
palazzo e la fa sua sposa, imponendole tuttavia di non cercare mai
di conoscere la sua identità.
Alla luce della filosofia platonica, di cui Apuleio era esponente, tutto
il romanzo costituisce una singolare allegoria imperniata sulla
vicenda dell’anima, che, caduta per un fatale errore, attraverso una
serie di durissime prove, riconquista alla fine, per l’intervento della
Grazia divina, la piena felicità, e con essa l’immortalità. Ciò su cui è
indispensabile riflettere è il tipo di errore per cui cade l’anima.
Psiche, proprio come Lucio, non resiste alla curiositas.
Nel suo romanzo, Apuleio, contrappone due modalità del
conoscere, proprie come l’Euripide nelle Baccanti: la curiositas e la
rivelazione. La prima, che in Euripide è designata con il termine
sophòn, si illude di poter accedere alla verità con la sola
osservazione di ciò che appare, proprio come fa Psiche che di Eros
vuole contemplare il fenomeno, parola greca che, come in Kant, è
da intendersi come ciò che appare. È questa l’illusione della
scienza, che pretende di conoscere tralasciando ciò che va oltre
l’apparenza, dove risiede il vero senso delle cose, la stessa illusione
del primo Socrate ancora physikos, studioso dei fenomeni della
natura, la stessa di Apuleio mago-alchimista, che ha cercato nella
magia la via veritatis. Come dirà poi Heidegger, la curiositas è
soltanto il desiderio di conoscere finalizzato a se stesso, è una
conoscenza superficiale che ricade solente nell’equivoco, mentre la
conoscenza vera è quella che si raggiunge soltanto tramite un
percorso interiore. La seconda, che in Euripide è designata con il
termine sophìa, avviene attraverso una stretta collaborazione tra
uomo e Dio: l’uomo, una volta caduto, deve passare attraverso
l’inferno dell’abiezione morale e della disperazione, per arrivare a
conoscere in fondo la nullità delle risorse intellettuali umane. Solo a
questo punto potrà intervenire la Grazia divina (Eros nella favola,
Iside nella storia principale) a portare la salvezza. Si tratta di un
percorso adombrato in numerose altre opere della letteratura, basti
pensare alla Divina Commedia e alle Confessioni di Sant’Agostino.
Non a caso Apuleio fu caro ai cristiani: proprio perché postulava la
necessità di una realtà altra che travalicasse i confini del reale. E’
importante notare come la filosofia platonica influenzi parecchio la
concezione apuleiana: nella prospettiva della novella di Amore e
Psiche, l’Anima è già amata da Dio fin dall’inizio, ma non lo sa.
Questo elemento riconduce alla teoria platonica dell’anamnesi: in
termini platonici dunque l’anima è già immortale, ma non se ne
ricorda: l’estrema ignoranza e confusione in cui è precipitata,
piombando nella materia, la porta a voler sapere ciò che in realtà
non conta nulla, a vedere, sperimentare, immergendosi nelle
illusioni della materia ed allontanandosi così sempre più dalla sua
originaria condizione immortale. Per poter essere di nuovo salva e
garantirsi l’immortalità dovrà arrivare alla conoscenza per una via
completamente diversa, che la costringerà a ricordare ciò che era in
origine.
LA POSIZIONE APPARENTE DELLE
STELLE NELLE VARIE COSTELLAZIONI
Un'illusione che è rimasta sempre costante nel
tempo riguarda le stelle; spesso gli uomini si
soffermano ad ammirarle, ma con altrettanta
frequenza capita che ciò che vedono non è altro che
un'illusione. Gli antichi, osservando
la volta celeste,
avevano immaginato
che la terra fosse
immobile nello spazio
e da ciò dedussero che
le stelle fossero
“fissate” su una
grande sfera cristallina
che nel corso del
giorno compiva un giro
completo attorno alla
terra. Solo con le scoperte scientifiche di Copernico, Galilei, Keplero
e Newton, si comprese che le stelle non sono distribuite su una
sfera, ma poste a distanze molto diverse, che i nostri sensi non ci
consentono di cogliere intuitivamente. La disposizione delle stelle
più brillanti e visibili ad occhio nudo, tali da dare l’impressione di un
preciso disegno, è un fatto puramente prospettico, in quanto le
stelle, nella maggior parte dei casi, si trovano a distanze molto
diverse e spesso alcune di loro appaiono particolarmente luminose
per il solo fatto che si trovano più vicine a noi. Si tratta quindi di
raggruppamenti ideali, a cui in genere non corrisponde un legame
di tipo fisico. Immaginiamo di sospendere al soffitto di un gran
salone, con fili di diversa lunghezza, tante lampadine. Gironzolando
per il salone le vedremo da prospettive diverse; le vedremo
avvicinarsi, aggrupparsi, separarsi, disporsi secondo disegni
schematici continuamente variabili. Se invece, per un lungo periodo
di tempo, siamo costretti all’immobilità in un punto del salone,
finiremo con l’interessarci agli schemi tracciati dalle lampadine;
cominceremo a immaginare figure di animali, di mostri, di oggetti e
così via; e finiremo con l’assegnare un nome a ciascuno di essi per
individuarlo rapidamente. La stessa cosa accade per le
costellazioni: le singole stelle sono come le lampadine nel salone. In
realtà sia le stelle sia la terra si muovono, ma le distanze sono tali
che occorrono alcune decine di migliaia di anni perché una
costellazione si deformi, modificando sensibilmente il suo disegno