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quello familiare, nel quale non trova molta comprensione. E' in questo periodo, in

cui il poeta è chiuso in una cupa malinconia, che risalgono le Canzoni e gli Idilli.

Solo a 24 anni riuscì a partire per Roma, lasciando finalmente Recanati, ma la

città lo deluse. Conobbe vari letterati ma non riuscì a trovare una sistemazione,

per cui fu costretto a ritornare alla sua città natia dove dovette trattenersi per

circa due anni fin quando non fu chiamato a Milano dall'editore Stella che lo

assunse per tradurre opere classiche. Qui si trattenne poche settimane e subito

partì per Bologna dove strinse molte amicizie ed amò la contessa Teresa Carniani

Malvezzi.

Leopardi comincia a ripiegarsi in sé stesso e a meditare sul suo dolore che è in

realtà il dolore dell’umanità intera. Numerose meditazioni filosofiche e il fatto che

il Leopardi non creda in Dio, lo spingono a scrivere le Operette morali

riguardanti i problemi della vita.

Dopo un altro soggiorno a Recanati il poeta si trasferì a Firenze e successivamente

a Pisa dove compose A Silvia. La morte del fratello lo costrinse di nuovo a

Recanati per poi tornare a Firenze e comporre i Grandi Idilli.

Conobbe un altro amore, Fanny Targioni Tozzetti (per lei scrive cinque poesie che

compongono il Ciclo Aspasia), sfortunato come gli altri.

Successivamente soggiornò a Roma e poi a Napoli, scrisse il suo testamento

spirituale La ginestra e Il tramonto della luna per poi morire nel 1837.

PENSIERO

Possiamo scorgere nella storia spirituale del Leopardi una lucida e continua

tendenza alla demolizione delle speranze umane, che il poeta segue, ponendo in

risalto inesorabilmente le varie ragioni che rendono infelice la condizione

dell'uomo.

La vita gli appare avvolta dal mistero e dal dolore, che è l'unica certezza per

l'uomo. Il piacere non esiste se non come pausa momentanea del male e un

uscire dalla condizione di pena, mentre la vicenda umana gli appare come

un’inutile corsa verso il nulla, e la storia stessa è contrassegnata dal progressivo

trionfo dell'infelicità.

La natura, vista da lui in un primo momento (fino al '23) come madre amorosa, gli

appare in seguito come matrigna; essa, secondo il poeta, crea l'uomo ma non si

preoccupa della sua felicità. L'unico conforto che può alleviare i mali della nostra

esistenza è costituito dalle cosiddette ILLUSIONI, alimentate dal mostro

sentimento e dalla nostra fantasia. La prima causa dell'infelicità umana è la

ragione, che dissolve le illusioni e pone l'uomo di fronte alla realtà. Da questa

presa di coscienza derivano la delusione ed il tedio. A queste convinzioni il poeta

arrivò gradualmente; esse sono infatti il frutto, oltre che della sua sensibilità, della

sua stessa vicenda umana, tormentata da incomprensioni, delusioni, sventure.

Si riscontrano tre momenti nello sviluppo del pensiero leopardiano rappresentati

dal pessimismo individuale, storico e cosmico.

Pertanto, a volte (soprattutto nella giovinezza) al poeta sembra che la sorte sia

stata matrigna solo con lui, condannandolo all'infelicità nel fisico e nello

spirito,alla solitudine ed all'incapacità di vivere come gli altri (mentre agli altri

uomini sono concesse le gioie della vita, la giovinezza felice, gli affetti).

E' questa la fase del pessimismo individuale. 4

Altre volte, invece, appaiono in lui quelle riflessioni sulla felicità dei primi uomini

che si meravigliavano e gioivano per cose semplici e furono poi resi infelici dal

progresso, chiaramente ispirate dalla lettura del Vico e di Rousseau, oltre che da

meditazioni personali e negative in rapporto alla storia, nelle cui conquiste il

poeta non crede. In ciò consiste il pessimismo storico.

Infine, a volte l'esame della condizione umana induce il poeta a concludere che a

tutti è riservato lo stesso destino di dolore. A questa condizione si adeguano in

oltre tutti gli elementi del creato (pessimismo cosmico).

Contro queste pessimistiche concezioni insorge il sentimento, esprimendosi per

mezzo della poesia, che nel Leopardi appare come una continua rivolta contro le

conclusioni della ragione. Essa è dettata dalle più profonde convinzioni ed

esigenze del poeta, che è convinto della nobiltà dell'uomo, il quale non merita la

sua infelicità, che è qualcosa di ingiusto e di assurdo. E' quindi, la sua, una rivolta

che, pur mostrando pessimismo e dolore, non genera a sua volta pessimismo.

Come afferma De Sanctis, "questo uomo odia la vita e te la fa amare, dice che

l'amore e la virtù sono illusioni, e te ne accende nell'anima un desiderio

vivissimo".

Leopardi, infatti, celebra la giovinezza e la bellezza della natura e della vita, anche

se con lo stato d'animo doloroso di colui che da tutto ciò si sente escluso. Il suo,

comunque, è un pessimismo eroico e mai rassegnato. Egli reagisce perché ha in

sé un'ansia religiosa che nessuna logica può distruggere e perché possiede una

costante fiducia nella dignità umana. La sua energia si esprime nelle sue stesse

"...e di più vi dico francamente che io non mi sottometto alla mia infelicità,

parole

né piego il collo al destino o vengo seco a patti come fanno gli altri uomini..."

La sua opera si traduce perciò anche in un’esortazione a non cedere al fato, ad

opporre all'universo assurdo l'intatta nobiltà dello spirito. Egli non tradusse però

questa energia morale in azione, come il Foscolo, ma la realizzò nel continuo

approfondimento del suo pensiero.

OPERE

Lo Zibaldone: una sorta di diario intellettuale a cui affida appunti, riflessioni

filosofiche, letterarie, linguistiche. Teoria della visione: è piacevole, per le idee

vaghe e indefinite, la vista impedita da un ostacolo, un albero, una siepe, perché

allora in luogo della vista lavora l'immaginazione e il fantastico prende il posto del

reale. Teoria del suono: serie di suoni suggestivi perché vaghi.

Le Canzoni: componimenti di impianto classicistico che impiegano il linguaggio

aulico e sublime; le prime cinque (All'Italia, Ad Angelo Mai, A un vincitore nel

pallone, Nelle nozze della sorella Paolina, Sopra il monumento di Dante)

affrontano una tematica civile; nelle altre si delinea l'idea di un'umanità infelice.

Gli Idilli: il linguaggio è più colloquiale e trattano tematiche intime ed

autobiografiche; la rappresentazione della realtà esterna è tutta soggettiva

(L'Infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, La vita solitaria...).

Le Operette Morali: sono prose di argomento filosofico in cui Leopardi espone il

sistema da lui trattato attraverso una serie di invenzioni fantastiche, miti,

paradossi, veri e propri canti lirici in prosa; molte delle operette sono dialoghi i cui

interlocutori sono creature immaginose o personaggi storici; altre invece hanno

forma narrativa (Dialogo della natura e di un Islandese). 5

I Grandi Idilli: riprendono i temi degli Idilli, ovvero le illusioni e le speranze, proprie

della giovinezza, le rimembranze; vi è un equilibrio tra due spinte che dovrebbero

essere contrastanti il “caro immaginar” e il “vero”; il linguaggio è tenero e dolce

(A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un

pastore errante dell'Asia, Passero solitario).

Il Ciclo di Aspasia: si ha una poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili,

fatta di puro pensiero dal linguaggio aspro e dalla sintassi complessa (Il pensiero

dominante, A se stesso, Aspasia, Amore e Morte, Consalvo).

Gli Ultimi Canti: opere satiriche e la Ginestra.

Leopardi, come Schopenhauer, basa il proprio pensiero su un'analisi della realtà.

L'intento è di mostrarci quale sia la vera natura del mondo e il conseguente

disagio dell'umanità; entrambi, infatti, oltrepassano i limiti del mondo terreno ed

esprimono la loro idea sul vero significato della vita mostrando la realtà per quella

che è, e smascherando la più grande delle illusioni: la felicità. 6

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio 1788. Il padre è banchiere e

la madre una nota scrittrice di romanzi. Viaggia in Inghilterra e in Francia e dopo

la morte del padre comincia a frequentare l’Università di Gottinga.

Influenzano notevolmente il suo pensiero le filosofie di Platone e di Kant.

Frequenta le lezioni di Fichte a Berlino e nel 1813 si laurea all’Università di Jena.

Negli anni seguenti vive a Dresda dove compone lo scritto Sulla vista e sui colori e

prepara la stampa della sua opera principale. Il mondo come volontà e

rappresentazione che pubblica nel dicembre 1818 e che non ebbe subito

successo. Dal 1820 al 1832 insegna come docente libero presso l’Università di

Berlino con poca fortuna. Contemporaneamente viaggia in Francia e in Italia e, a

causa di un’epidemia che lo costringe a lasciare Berlino, si trasferisce

definitivamente a Francoforte sul Reno, dove morirà il 22 settembre 1861.

Molti sono gli influssi culturali di Schopenhauer: Platone e la teoria delle idee

come forme eterne ed immutabili; Kant per quanto riguarda il problema

gnoseologico della conoscenza e importanza del soggetto nel processo di

comprensione del mondo che non si muta e non si modifica ma sta al centro

organizzando la natura e il rapporto fenomeno-noumeno; l’Illuminismo e il

materialismo come tecniche per smascherare e demistificare la realtà mostrando

la vera essenza del mondo; il Romanticismo per il tema dell’infinito e del dolore.

Ma la critica maggiore è diretta nei confronti dell’idealismo romantico:

Schopenhauer disprezza questa filosofia, quella di Fichte e di Hegel in particolar

modo con il panlogismo ottimistico, definendola filosofia dell’Universalità e

farisaica.

Nell’opera Il mondo come volontà e rappresentazione, Arthur Schopenhauer

riprende il dualismo kantiano. Per Kant il fenomeno (phainomenon, da phainein

cioè mostrare) è ciò che si mostra, ciò che appare, ciò che è accessibile alla

7

conoscenza umana; la realtà fenomenica è quella già data, nella quale gli oggetti

appaiono al soggetto ed alla conoscenza per come si presentano. Ma esiste

un’altra realtà che non appare e che quindi l’uomo non può conoscere: questo è il

noumeno (da noein cioè pensare), l’incognita, la cosa in sé, la realtà inconoscibile

ed inaccessibile creata da un’entità superiore, la quale è l’unica a poterla

conoscere. Il noumeno ricorda all’uomo i suoi limiti. L’io come soggetto della

conoscenza diventa legislatore della natura: ordina gli oggetti e organizza i

fenomeni secondo schemi a priori.

Per Schopenhauer invece, il fenomeno è pura illusione, apparenza, sogno; tra la

rappresentazione e la vera realtà si distende il “velo di Maya” (è una potenza

magica ripresa dalla tradizione orientale di cui si servono gli dei per assumere

aspetti illusori) che avvolge l'uomo come in un sogno illusorio e gli impedisce di

conoscere la vera essenza delle cose.

Il noumeno è ciò che si mostra dopo aver squarciato il velo di Maya, è la realtà

senza false illusioni.

Il mondo è una mia rappresentazione significa che il mondo consiste nel suo

essere percepito da un soggetto. Per Schopenhauer, infatti, il fenomeno è

rappresentazione di qualcosa che è dentro la coscienza del soggetto e fuori non è

nulla, è illusione che demistifica la realtà e che nasconde l’essenza noumenica.

Schopenhauer analizza le forme a priori Kantiane di tempo, spazio e causalità;

nella rappresentazione il soggetto ordina le impressioni collocandole nello spazio

e nel tempo in una trama secondo il principio di causa ed effetto.

Spazio, tempo e causalità deformano la realtà rappresentata che è perciò

un'illusione, apparenza.

L’uomo però è portato ad interrogarsi sul fine ultimo della vita e non vuole vivere

nell’illusione, vuole oltrepassare il fenomeno e giungere a capire il noumeno

attraverso la conoscenza intuitiva. Tuttavia, poiché l’uomo non è solamente

intelletto ma anche corporeità, attraverso un’intuizione geniale, ripiegandosi in sé

stesso nell’intimità del proprio io, riesce a conoscere l’essenza noumenica

dell’essere. Se l’uomo si vede dal di fuori, conosce solo l’essenza illusoria

dell’essere; se si guarda dal di dentro, se segue i suoi sentimenti, la brama, la

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