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SHOAH: LO STERMINIO DEGLI EBREI

Lo sterminio degli ebrei, un evento che pesa sulla coscienza

dell’umanità, pianificato nella Germania hitleriana.

1924: Adolf Hitler enuncia nel Mein Kampf (la mia battaglia) la sua idea

della superiorità degli ariani, come, sulla base di un’erronea interpretazione

storica, veniva designata “la razza tedesca”, e dell’”inferiorità genetica”

delle altre razze.

1933: con l’ascesa al potere del partito nazionalsocialista, il razzismo

diventa una strategia politica diretta a instillare odio nelle coscienze, per

aizzarle contro i nemici indicati dal potere. Inizia così la persecuzione degli

ebrei, orchestrata da alcuni pezzi grossi del regime, Adolf Eichmann, Joseph

Goebbels e Hermann Goring.

1935: le leggi di Norimberga tolgono i diritti civili agli ebrei, che sono

costretti a vivere segregati, con il divieto di sposarsi e avere rapporti con i

tedeschi. Sui loro passaporti viene timbrata una grande “J”, iniziale di Juden

(ebreo).

1938: nella “Notte dei Cristalli” (9-10 novembre) le SS assaltano le case, le

sinagoghe e i negozi degli ebrei, molti dei quali vengono uccisi o deportati.

Le proprietà giudaiche sono espropriate per finanziare la guerra imminente.

1939: con l’inizio della guerra aumenta il numeri degli ebrei posti sotto il

dominio tedesco, soprattutto in Polonia dove gli ebrei vengono segregati nei

ghetti e obbligati a portare la stessa stella gialla.

1942: nella conferenza di Wansee viene elaborata la soluzione finale della

questione ebraica (eliminazione fisica degli ebrei). Nelle camere a gas dei

campi di sterminio (dove vengono internati anche malati mentali, zingari,

omosessuali, politici, handicappati, Testimoni di Geova) viene utilizzato il

Ziklon B, un gas che uccide le persone in circa dieci minuti. Le vittime

saranno circa dodici milioni (di cui la metà ebrei). In Polonia, prima della

3

guerra, c’erano 3.250.000 ebrei; dopo la guerra ne resteranno appena

215.000.

I BAMBINI AVREBBERO VOLUTO GUARDARCI,

ANCORA…

Questa è la storia: vera, dura, crudele, spietata. E’ la realtà

innegabile.

Da sempre l’essere umano reagisce istintivamente agli eventi in cui è

coinvolto nel modo più idoneo a fronteggiarli ed a superarli con il più basso

prezzo, con il minor dolore.

E’ pur vero che certi destini particolarmente infausti non consentono,

se non in rarissimi casi, di riuscire a combatterli, poiché la scena dell’azione

e la posizione asimmetrica degli attori coinvolti nella storia, non offrono

nessuna possibilità di reazione, così come si è verificato nel caso delle

deportazioni e dello sterminio degli Ebrei, con l’aggravante che la paura, di

cui i lager erano intrisi, è molto contagiosa.

Per fronteggiare la paura si possono usare strategie diverse, orientate

alla fantasia o alla razionalità. L’approccio verso questa emozione

fondamentale e verso lo stile di vita che ne consegue, insolito ed alienante

rispetto alla normalità, è diverso se affrontato da un adulto o da un

bambino.

Infatti, il tentativo che ci si propone è quello di illustrare, tramite tre

storie diverse, come viene vissuto l’adattamento infantile alla

straordinarietà tragica di un campo di sterminio. 1

Giova ricordare, a tal proposito, il ghetto di Terezìn , una località poco

distante da Praga, esperimento pilota dei nazisti, che intendevano creare

un’icona propagandistica, una vera “casetta di marzapane” da mostrare alle

diplomazie degli altri Paesi, un finto giardino dell’Eden che nascondeva gli

1 Terezìn, città poco distante da Praga, fondata più di 200 anni fa dall’Imperatore Giuseppe II d’Austria. Il

nome deriva da quello della madre, l’Imperatrice Maria Teresa.

4

orrori dello stand-by degli Ebrei in attesa di raggiungere i campi di

2

sterminio .

Ecco che a Terezìn l’impossibile diventa possibile, l’inimmaginabile

diventa realtà: una realtà viva e attiva che nasce dalle ceneri della

disperazione e che si trasforma in sogno di normalità, anche se non bisogna

dimenticare che degli oltre 15.000 bambini che vissero più o meno a lungo

nella città-ghetto prima di essere deportati nel campo di sterminio di

Auschwitz, ne ritornarono solo un centinaio.

3

Ma a Terezìn gli adulti più colti decisero di avviare una serie di attività

culturali con cui dare nutrimento al desiderio di vivere, di conoscere, di

crescere, nonostante tutto e tutti cosicché i bambini impauriti erano poco a

4

poco trasportati lontano, nel mondo della poesia, dei colori e dei disegni

(che ancora oggi si possono vedere nella Sinagoga di Praga, lo Zdovke

Muzeum).

I bambini, con quel pizzico di “delirio di onnipotenza” che li

contraddistingue, che li fa sentire fautori di tutte le gioie e i dolori del

mondo, non pensano alla morte, pensano che muoiano gli altri.

Lo scenario di Terezìn, ricco di tutti quegli elementi che alleggeriscono

il cuore e affascinano la fantasia, ha permesso a questi piccoli uomini di

rimandare l’incontro con un’immagine terrificante e definitiva, così come

sostiene John Betjeman, l’autore de “Il bambino con il pigiama a righe”:

“L’infanzia è definita dai suoni, dagli odori e dalle immagini…. Prima che

sopraggiunga l’ora buia della ragione”.

L’adattabilità dei bambini alle situazioni di straordinaria gravità, varia

anche in relazione al rapporto instaurato con le figure di riferimento,

soprattutto quelle genitoriali, laddove è stato possibile mantenere un

legame continuativo con la madre o con il padre.

2 Dapprima vi furono rinchiusi ebrei della Boemia e della Moravia, poi quelli provenienti da tutta Europa.

3 Nel ghetto isolato dal mondo si udirono le note di concerti, i versi, le opere teatrali, le letture, le

commedie e furono realizzate mostre e composti poemi. Dapprima tutto questo avveniva in segreto, poi,

più o meno tollerato e alla fine sfruttato dal regime nazista, che poteva usarlo per la propaganda.

4 La maestra di disegno fu Freidl Dicker-Brandejs, pittrice ed insegnante d’Accademia che “diresse” la

scuola dal 1941 al 1945. Durante le lezioni di disegno, i bambini venivano divisi in due gruppi, a cui

l’insegnante assegnava temi da esprimere in totale libertà.

5

In questo contesto diventano assolutamente determinanti gli schemi

adottati dalla figura di attaccamento, che, per l’innato principio di imitazione

che anima il bambino e per l’identificazione nell’adulto oggetto della sua

fiducia e del suo amore incondizionato, consentono al piccolo di continuare

a vivere un’esistenza simile a quella che avrebbero vissuto in condizioni di

normalità.

E’ questo il caso, purtroppo unico e fantastico, di quanto viene narrato

nel film “La vita è bella” di Roberto Benigni.

Qui si può facilmente evidenziare in Guido, l’atteggiamento tipico

della figura paterna in una situazione di gravità e pericolo: il sacrificio

estremo, che non conosce ostacoli né difficoltà, per la protezione del figlio. E

l’obiettivo primario e finale - il procrastinare al figlio l’incontro con il dolore –

gli fornisce l’idea del gioco per allontanarlo dai fantasmi della paura. Guido

si trasforma in un mago che crea, con la polvere magica dell’amore, una

nube che separa Giosuè dalle efferatezze quotidiane.

Ma per tutti gli altri bambini, quelli “veri” di cui non resta traccia,

quelli i cui sogni sono rimasti soffocati nel perimetro della stella della città di

5

Terezìn , quelli intrappolati nel ventre oscuro e umido della “balena”, rimane

il dovere morale di non dimenticare, di insegnare ai figli e ai figli dei figli che

il diritto alla vita è di tutti e per tutti, soprattutto di chi costruisce il futuro.

5 Terezìn, all’origine un piccolo paese, ha la pianta a forma di stella, racchiusa da una fortificazione

progettata da ingegneri italiani. Nel tempo si trasformò in guarnigione militare.

6

LA VITA E’ BELLA (Italia, 1997) “La vita è bella. Possano le generazioni

future liberarla da ogni male, oppressione

e violenza e goderla in tutto il suo

(il

splendore” t itolo del film è tratto da una

frase del testamento di Lev Trotsky)

Guido Orefice è un ragazzo ebreo che si reca ad Arezzo con l'amico

Ferruccio e durante il "movimentato" viaggio incontra casualmente una

7 principessa”.

giovane maestra di nome Dora che soprannomina da subito “

Arrivato in città si reca a casa dello zio Eliseo, possessore dell'hotel più

lussuoso della città: il Grand Hotel, dove Guido vorrebbe diventare un

cameriere. Quello stesso giorno, in municipio, avviene il litigio con Rodolfo,

lo

un arrogante fascista, in seguito al quale entrambi si soprannominano “

scemo delle uova”, perché Guido involontariamente appoggia alcune uova

nel cappello del gerarca che, successivamente, Rodolfo indossa.

Un giorno Guido, incontrando nuovamente Dora, scopre che è

fidanzata con Rodolfo. Intanto, all'hotel, fa amicizia con un medico tedesco

che ha la particolare fissazione per gli indovinelli. Il giorno seguente, nella

speranza di rincontrare Dora, Guido, si spaccia per ispettore scolastico e

"dimostra" la superiorità della razza ariana ai bambini della scuola.

Successivamente Dora, con i suoi amici, va a teatro, naturalmente

Guido la segue e, con uno stratagemma, la porta via da Rodolfo. I due quella

sera parlano a lungo e Guido, infine, le confessa il proprio amore.

Una sera, proprio al Grand Hotel, Rodolfo festeggia il suo

fidanzamento ufficiale con Dora, anche se entrambi non ne sembrano felici.

Durante la festa, Dora capisce quanto il suo cuore la porti da Guido e, al

termine della serata, sale sul cavallo che Guido fa entrare nell'hotel e si

lascia "rapire". Guido e Dora si sposano e dal loro amore nasce Giosuè. Da

qui inizia il cambiamento totale del clima del film, da allegra commedia a

tragedia. Questa grande svolta dà molto l'idea di quanto le vittime del

nazismo siano state sconvolte e derubate di qualsiasi privacy e libertà.

Sei anni dopo la famiglia è ancora felice, Guido apre una libreria, ma,

proprio il giorno del compleanno di Giosuè (suo figlio), vengono deportati

con lo zio in un campo di concentramento a scopi lavorativi insieme ad altri

ebrei. Dora, che non è ebrea, li segue volontariamente, incontrando il marito

per l'ultima volta appena arrivati al campo. Pur di proteggere Giosuè dagli

orrori della realtà, Guido si spaccia come interprete del comandante

tedesco, e "traduce" tutte le regole del lager in un emozionante gioco in cui

si dovranno affrontare prove tremende per vincere il meraviglioso premio

finale: un carro armato vero. Con il passare dei giorni Giosuè entra

attivamente nel vivo del "gioco". Durante una visita medica, Guido incontra

nuovamente il medico tedesco del Grand Hotel che gli offre di lavorare come

cameriere ad una cena di ufficiali tedeschi. Guido accetta credendo che il

8

medico voglia aiutarlo ad evadere dal lager ma grande sarà la sua delusione

quando, quella stessa sera, il dottore lo chiamerà solo per sottoporgli un

assurdo indovinello.

Una notte, all'improvviso, i soldati tedeschi abbandonano

freneticamente il campo dopo aver fatto strage dei deportati rimasti. Guido

riesce a nascondere Giosuè in una cabina dicendogli di giocare a nascondino

e promettendogli di ritornare; purtroppo, mentre è alla ricerca della moglie,

mascherato da donna, viene scoperto e ucciso. Le scene finali del film

mostrano come al mattino seguente il lager venga liberato. Giosuè esce

dalla cabina in cui era stato tutta la notte nascosto in silenzio ed è infine

salvato da un soldato americano, che lo fa salire su un carro armato mentre,

È vero!”

convinto di aver vinto il premio finale, grida: “ Il film si conclude con

una scena in cui il bimbo, accompagnato dall'americano, ritrova sua

“Questa è

mamma mentre la voce narrante in sottofondo termina dicendo:

la mia storia, questo è il sacrificio che mio padre ha fatto, questo è stato il

suo regalo per me”.

IL GIOCO

“Perché i cani e gli ebrei non possono

entrare babbo?

Eh, loro gli ebrei e i cani non ce li vogliono.

Eh, ognuno fa quello che gli pare Giosuè, eh.

Là c’è un negozio, là, c’è un

ferramenta no, loro per esempio non fanno

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