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Il lavoro presentato in questa tesina di maturità si propone di analizzare gli effetti della guerra nei soldati.
La tesina è organizzata in quattro capitoli. Il primo introduce il concetto di guerra e fa un panorama degli aspetti sociologici, legislativi, filosofici e letterari. Il secondo tratta le ricadute psicopatologiche della guerra nei soldati, descrive la nascita della psicosi e si sofferma sul disturbo post-traumatico da stress e sulla sindrome dell’arto fantasma, si conclude esponendo le leggi varate in Italia a tutela dei reduci di guerra. Il terzo presenta alcune testimonianze. Infine, l’ultimo capitolo della tesina conclude con alcune riflessioni personali.
Italiano: D'annunzio e Ungaretti.
Filosofia: Da Anassimandro a Freud.
Diritto: Le leggi in tutela dei mutilati e le convenzioni in campo bellico.
Psicologia: L'analisi del PTDS, ASD, dei disturbi psicopatologici e il disturbo di adattamento.
Biologia: L'arto fantasma.
Sociologia: Le condizioni sociologiche causanti l'insorgenza di psicopatologie.
Indice
Premessa
Capitolo 1: La guerra: introduzione generale
1.1 Diritto bellico
1.2 Significato filosofico
1.2.1 La filosofia antica
1.2.2 Età romantica
1.2.3 Positivismo e Marxismo
1.2.4 Filosofie del Novecento
1.3 La guerra nella letteratura
Capitolo 2: Le ricadute psicologiche della guerra nei
soldati
2.1 Disturbi psicopatologici
2.1.1 Manifestazioni individuali
2.1.2 Manifestazioni collettive
2.2 Le condizioni sociologiche causanti l’insorgenza delle
psicopatologie
2.3 Il disturbo post-traumatico da stress (PTDS)
2.4 Sindrome dell’arto fantasma
2.5 Mutilati e invalidi di guerra
Capitolo 3: Alcune testimonianze
3.1 Usa, malati di guerra: 18 caduti al giorno tra i reduci
3.2 Intervista all’ex fidanzata di un soldato
3.3 The home of the brave
3.4 Come cambiano gli occhi di un soldato
Capitolo 4: Riflessioni personali
Premessa
Il lavoro presentato in questa tesina si propone di analizzare gli effetti
della guerra nei soldati.......... 2
La tesina è organizzata in quattro capitoli. Il primo introduce il concetto di
guerra e fa un panorama degli aspetti sociologici, legislativi, filosofici e
letterari. Il secondo tratta le ricadute psicopatologiche della guerra nei
soldati, descrive la nascita della psicosi e si sofferma sul disturbo post-
traumatico da stress e sulla sindrome dell’arto fantasma, si conclude
esponendo le leggi varate in Italia a tutela dei reduci di guerra. Il terzo
presenta alcune testimonianze .... . Infine, l’ultimo capitolo conclude con
alcune riflessioni personali. 3
1 La guerra: introduzione generale
La guerra è un evento sociale e politico generalmente di vaste dimensioni che
consiste nel confronto armato fra due o più soggetti collettivi significativi. La
guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla
religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti sull'immaginario
e
collettivo .
Si giunge alla guerra quando il contrasto di interessi economici, ideologici,
strategici o di altra natura non riesce a trovare una soluzione negoziata, o
quando almeno una delle parti percepisce l'inesistenza di altri mezzi per il
conseguimento dei propri obiettivi.
La guerra è preceduta da:
un periodo di tensione, che ha inizio quando le parti percepiscono
l'incompatibilità dei rispettivi obiettivi;
un periodo di crisi, che ha inizio quando le parti non sono più disponibili a
trattare tra di loro per rendere compatibili tali obiettivi.
L'inizio della guerra si ha quando si verifica il primo combattimento fra forze
contrapposte.
La guerra non si conclude semplicemente con la cessazione dei fatti d'arme;
più formalmente è necessario che si verifichi uno dei seguenti eventi:
un armistizio, che riguardi cioè tutti i teatri e tutte le forze armate delle
parti che lo stipulano;
la resa incondizionata di una parte;
debellatio
la di una parte, cioè il completo annientamento delle sue forze
armate, l'occupazione totale o annessione del suo territorio e la
cessazione di ogni attività politica anche interna. 4
1.1 Diritto bellico
Numerose convenzioni, che nel loro insieme costituiscono il diritto bellico,
regolamentano il comportamento in guerra. Le più importanti sono le
convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907.
Il diritto bellico è affiancato dal diritto umanitario, volto alla protezione delle
vittime di guerra. Le più importanti e attuali convenzioni di diritto umanitario
sono le convenzioni di Ginevra del 1949 e i suoi protocolli aggiuntivi, due del
1977 e uno del 2005.
Interpretazioni estensive del diritto umanitario hanno portato a considerare
legittimo l'intervento dall'esterno in fatti interni di uno Stato quando questi fatti
costituiscano violazione evidente dei diritti dell'uomo. L'ingerenza umanitaria
ha giustificato nel passato interventi militari consacrati da una risoluzione ONU
per costringere i governi a rispettare quei diritti fondamentali. Analoga
ingerenza potrebbe essere autorizzata per proteggere beni culturali ritenuti
patrimonio dell'umanità.
Le costituzioni di molti Stati ammettono la guerra di sola difesa, vietando alle
forze militari del paese di attaccare civili, militari e infrastrutture sul suolo di un
altro paese o comunque appartenenti a un altro Stato sovrano. La Costituzione
«L'Italia ripudia la guerra
italiana, con l'articolo 11, è una delle più esplicite:
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali.»
Inoltre, lo statuto delle Nazioni Unite consente l'immediata difesa di un paese
aggredito, ma vieta l'intervento degli altri Stati membri, per evitare una
propagazione incontrollata del conflitto, a meno che non sia in legittima difesa
o non ci sia un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all'uso della forza o il
Consiglio di Sicurezza non decida di prendere azioni in difesa della pace e della
sicurezza internazionale, usando contingenti militari messi a disposizione dagli
Stati membri e posti sotto il comando del Comitato di Stato Maggiore ONU
(articoli 42 e 43 dello Statuto). Questo elemento contrasta con altri accordi
militari come quello della NATO, che impongono solidarietà militare nel caso di
attacco di uno Stato membro. Tuttavia, in virtù dell'art. 103, le disposizioni dello
Statuto delle Nazioni Unite prevalgono su ogni altro obbligo internazionale. 5
1.2 Significato filosofico
Non esiste una filosofia della guerra perciò si può ricorrere alla storia della
filosofia dove vari pensatori hanno espresso i loro diversi punti di vista. Molti
sono stati i filosofi che hanno tentato di chiarirlo ricorrendo spesso a principi
metafisici.
1.2.1 La filosofia antica
Eraclito, considera la guerra elemento necessario per la pace poiché egli è
convinto che l'armonia, l'ordine e la stabilità del mondo si basino sull'equilibrio
degli opposti senza i quali neppure esisterebbero gli esseri. È pura illusione
pensare ad una condizione umana vissuta in un'eterna pace, questa c'è perché
vi è anche la guerra che simboleggia nel suo pensiero la fonte di ogni realtà:
«Polemos (guerra), è di tutte le cose padre, di tutte re, e gli uni rivela dei e gli
altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi ». Il significato metafisico della
guerra si accompagna nell'aristocratico Eraclito alla convinzione che la guerra
crei anche un ordine sociale dove gli schiavi sono gli sconfitti dagli uomini forti,
logos,
vincitori consapevoli del dell'ordine razionale fondato sui contrari. Dalla
guerra quindi si genera una società gerarchicamente ordinata e giusta poiché
«bisogna sapere che, essendo la guerra comune, anche la giustizia è contesa,
e tutto nasce secondo contesa e necessità».
Anassimandro contesta il pensiero di Eraclito affermando che l'ingiustizia
nasce invece proprio dalla opposizione degli esseri finiti, dal loro volersi
dall'apeiron,
distaccare dall'infinito, indeterminato, "innocente" e "pacifico",
con il risultato di essere condannati dal tempo, dalla loro stessa esistenza a
una lotta, a un'incessante guerra che oppone un contrario all'altro per vincere
principio degli esseri è l'infinito... da dove infatti gli esseri hanno
sull'altro: « ...
l'origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano
l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. »
«Quella che
Platone afferma che i sostenitori del bellicismo sono convinti che
la maggior parte degli uomini chiamano pace non è nient'altro che un nome,
ma nella realtà delle cose, per forza di natura, c'è sempre una guerra, se pur
6
non dichiarata di tutti gli stati contro tutti... E' giusto perciò che lo stato di
buona costituzione sia amministrato e organizzato in modo da vincere in
guerra tutti gli altri, e tutto il costume la vita pubblica e privata devono essere
in funzione della guerra.» A questa concezione sostiene Platone si oppone
quella di coloro che invece affermano che la città democratica debba vivere in
pace ignorando la guerra che si riduce a un fatto privato che non deve
coinvolgere la politica. Ambedue queste visioni che si basano sulla unicità della
guerra o della pace portano alla rovina lo stato poiché, sostiene Platone, non si
può ignorare la realtà della guerra a cui la politica deve preparare con
l'educazione sia alla pace che alla guerra. La guerra è uno strumento per la
politica e non deve essere condannata a priori ma usata come mezzo di
polis.
governo per lo stabilimento dell'ordine e il perdurare della pace nella
1.2.2 Età romantica
Nell'età romantica e della Restaurazione si assiste quasi ad una esaltazione
della guerra inquadrata in una visione finalistica e provvidenziale della storia.
Su questa linea di pensiero della guerra come molla della storia, si muove tutto
il pensiero romantico: quello progressivo come in Fichte per il quale la guerra
realizza la libertà dei singoli e delle nazioni, a quello reazionario di Joseph De
Maistre che nella guerra vede l'intervento apocalittico di Dio nel corso della
storia che gli uomini si illudono di dirigere con la loro ragione.
le guerre la storia registra solo pagine bianche
Secondo Hegel, «senza », ossia
le guerre promuovono il cambiamento e lo sviluppo progressivo della storia. La
guerra non è da considerare né come male assoluto né come un'accidentalità
meramente esterna, ma è lo strumento con cui i diversi spiriti dei popoli
realizzano la missione che l'Assoluto ha a loro affidato: la fiaccola della civiltà
conquistata con la guerra passerà quindi da un popolo ad un altro migliore di
lui.
1.2.3 Positivismo e marxismo
Con il positivismo evoluzionistico si sostiene che la guerra è destinata a
scomparire con l'avvento della economia industriale e con l'affermazione della
scienza che metteranno fine agli egoismi razionalizzando i comportamenti e
soddisfacendo le passioni umane (Auguste Comte).
Secondo la dottrina marxista, influenzata dal pensiero hegeliano, la guerra, che
è nella concorrenza economica, che punta al dominio assoluto dei monopoli, e
nella lotta di classe, scomparirà con l'avvento di una società comunistica senza
più proprietà e quindi senza più classi.
Positivismo e marxismo coincidono nel considerare la guerra elemento naturale
inevitabile, motore dello stesso progresso umano e in questo senso anche il
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darwinismo condivide con quelle concezioni l'idea di una guerra progressiva
all'interno della selezione naturale.
1.2.4 Filosofie del Novecento
Strumento di selezione e progresso sono le idee guida che si ritrovano nelle
posizioni filosofiche contemporanee sulla guerra. Così per Nietzsche i popoli
indeboliti acquisteranno nuovo vigore con la guerra.
Infine secondo Freud, le guerre hanno l'effetto di porre in secondo piano le
divisioni della società civile e di rendere una nazione compatta contro un
nemico esterno.
1.3 La guerra nella letteratura
Il contesto letterario
La cultura letteraria europea, e in particolare quella italiana del primo decennio
del Novecento, furono largamente influenzate dalla cosiddetta filosofia
dell'azione, una corrente filosofica eterogenea che convergeva però
nell'esaltazione del volontarismo, del vitalismo e dell'attivismo.
In Italia la figura più emblematica di questo clima culturale fu quella di
Gabriele D'Annunzio (1863-1938) che, dopo aver incarnato il ruolo di esteta
decadente, si trasformò in cantore letterario del superuomo di Nietzsche,
interpretandolo però superficialmente come l'individuo superiore capace di
imporsi e dominare la massa. E' in questa fase che D'Annunzio compose alcune
poesie per celebrare la guerra di conquista della Libia. Nel maggio 1915, con i
suoi infiammati discorsi di piazza, D'Annunzio diede un contributo decisivo al
movimento interventista che trascinò l'Italia nella Grande guerra.
E' quindi nell'ambito della cultura nazionalistica che si manifesta una più decisa
adesione alla guerra, non solo come strumento di affermazione della vitalità di
un popolo e dello stato, ma anche come manifestazione di volontà, coraggio e
grandezza d'animo, se non, addirittura, come fenomeno estetico, secondo cui
la guerra consiste in un "male necessario" al progresso economico e