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Un po' di storia
La storia della fotografia non è altro che una trasposizione nel tempo di strumenti, personaggi e
vicende, a essa legati. Accanto a dati tecnici si deve dare spazio anche alle notizie relative alle
vicende storiche della fotografia industriale ed alla fotografia intesa come strumento di espressione
artistica.
Poiché non esistono documentazioni che riguardano la fotografia nel suo complesso, bisogna
compilare singole storie della sua evoluzione, come ad esempio: apparecchi fotografici, materiali,
sviluppo ecc.
Le origini
La fotografia si basa su due principi fondamentali anticamente conosciuti:
• uno dimostra che certe sostanze sono sensibili ad alcune lunghezze d'onda della luce;
• l'altro dimostra che quando la luce che penetra in una camera oscura o in una scatola attraverso
un’apertura dà un'immagine rovesciata di quello che si trova all'esterno, davanti all'apertura stessa.
Grazie a questi due principi, col progresso della chimica e dell'ottica, si è arrivati alla scoperta della
fotografia.
I primi esperimenti furono svolti nel XVII secolo dall'inglese Robert Boyle, ma i risultati che
assomigliano di più all'attuale fotografia furono ottenuti dal francese Daguerre nel 1835, che
sfruttò però le conoscenze acquisite dal suo connazionale Niepce.
Egli adoperava lastre di rame precedentemente esposte a vapori di iodio. Quindi esponeva la lastra
nella camera oscura da ripresa per 15 o 30 minuti, producendo un'immagine invisibile o poco
visibile. Questa immagine era poi sviluppata ponendo la lastra sopra un recipiente di mercurio, che
aderendo alle parti esposte dello ioduro d'argento formavano un'immagine positiva visibile. Infine
Daguerre lavava la lastra in una soluzione calda di sale da cucina, togliendo lo iodio eccedente e
rendendo così l'immagine permanente.
Le prove fatte da Daguerre, presero nome di dagherrotipi.
Anche l'inglese Talbot, iniziando da zero riuscì ottenere gli stessi risultati di Daguerre, egli però
risvegliò l'interesse per la "fotografia" del suo amico astronomo Sir John Herschel, che coniò la
parola "fotografia", e conseguentemente il verbo fotografare, l'aggettivo fotografico ecc.
Coniò, inoltre, i termini positivo e negativo; ma la cosa più importante che fece Herschel fu quella
di suggerire all'amico di utilizzare il tiosolfato di sodio come agente fissatore. Talbot denominò il
suo processo "talbotipia", che consisteva nell'uso dello ioduro d'argento per i negativi e l'uso del
cloruro d'argento per stampare le diapositive.
Nonostante fosse una tortura farsi un ritratto, la diffusione fu molto rapida: in un anno raggiunse
Cina e Giappone, passando ovviamente per la vecchia Europa e per gli Stati Uniti. La tortura
consisteva nel dover stare in posa dai 15 minuti, se il sole era forte, ai 30 minuti con una luce meno
favorevole, il tutto per un buon risultato in minor tempo e ad un costo di gran lunga inferiore
rispetto ad un buon ritratto fatto da un'artista.
Apparecchi Fotografici
La camera obscura.
La prima descrizione di una camera oscura, da parte di uno studioso arabo risale al 1039. In
Europa, nel 1550 Cardano adatta un nuovo tipo di lente al foro della camera oscura; Barbaro
propone poi l'aggiunta di un diaframma per rendere più nitida l'immagine e successivamente Danti
suggerisce di far riflettere l'immagine su uno specchio concavo per raddrizzarla. Alla fine del 1600,
viene realizzata la prima camera reflex portatile, provvista di uno specchio disposto a 45° rispetto
all'obiettivo; grazie a successive modifiche apportate da Johann Zahn si arriva ai prototipi di reflex
come le conosciamo ai giorni nostri.
Gli apparecchi fotografici per dagherrotipi.
Niepce fu il primo ad applicare la camera obscura alla fotografia con successo, ma alcuni anni
dopo Daguerre, sulla scia delle scoperte del collega, realizzò un nuovo apparecchio, che consisteva
in due scatole: la superiore dotata di vetro smerigliato scorreva all'interno di quella frontale
contenente l'obiettivo. L'obiettivo era contenuto in una montatura di ottone, con un disco che
fungeva da otturatore. L'apertura dava una notevole profondità di campo all'immagine.
Questo tipo di apparecchio aveva bisogno, oltre all'apparecchio fotografico vero e proprio, anche di
una cassetta per le lastre, della scatola di iodizzazione, della scatola per lo sviluppo al mercurio,
della lampada a spirito ed altri accessori, il tutto per un peso totale di circa 50 Kg.
Il barone Séguier introdusse allora un apparecchio che occupava circa un terzo di quello di
Draguerre. Si iniziò così a rimpicciolire sempre più l'apparecchio. Alexander Wolcott brevettò nel
1840 un apparecchio fotografico a specchio: al posto dell'obbiettivo la cassetta aveva una grande
apertura attraverso la quale la luce colpiva all'interno uno specchio concavo che rifletteva e
formava un'immagine sulla lastra sensibilizzata, quest'ultima fissata al centro della parte anteriore
aperta rivolta verso lo specchio. I vantaggi erano diversi: accogliere più luce e non invertire
l'immagine, ma lo specchio avendo lunghezza focale ridotta, limitava le dimensioni del ritratto a 5
cm. Si ebbe inoltre la riduzione delle esposizioni da 3 a 5 minuti e con la scoperta dell’accelerazione
chimica della lastra i tempi furono ridotti a 60/90 secondi. Ulteriori cambiamenti sugli obiettivi
rese possibile la ripresa di ritratti di dimensioni maggiori.
La nascita delle pellicole.
Marcus Sparling nel 1850, progettò il primo apparecchio a magazzino. Dieci fogli di carta
sensibilizzata potevano essere messi in contenitori separati, sistemati in una specie di magazzino
dopo l'esposizione, ciascun foglio veniva lasciato cadere in un reticolato posto al disotto
dell'apparecchio fotografico. Melhuish e Spencer nel 1854, brevettarono la prima pellicola in rullo.
Il materiale (carta oleata) era avvolto su una bobina ricevente.
Quasi contemporaneamente, H.J. Barr trovò il sistema per fissare fogli di carta sensibilizzata su un
nastro di tela nera, lasciando circa 5 cm di spazio tra ciascun foglio. Il nastro veniva arrotolato su
una bobina e riavvolto sull'altra. Le immagini esposte venivano tolte dal nastro e sviluppate una
per una. Questo sistema era più semplice di quello di Melhuish e Spencer nel quale il rullo di carta
doveva essere contrassegnato per ciascuna immagine e tagliato prima dello sviluppo.
Fu solo nel 1875 che venne realizzata la prima pellicola in rullo, da Warnerke che stese una
emulsione di gelatina su un supporto cartaceo, la quale era sensibile alla luce, e ciò permise che
dopo l'esposizione il negativo veniva separato per permettere il trattamento di stampa; fu, poi, nel
1889 che la Eastman Company (la quale solo in seguito divenne poi la famosa Kodak), realizzò il
primo rullo con supporto di celluloide con protezione che permetteva il caricamento di pellicola
anche alla luce.
Semplificazione degli strumenti.
Per eliminare la necessità della tenda oscura, William Brown modificò nel 1851 un apparecchio
fotografico progettato da Frederick Scotto Archer , adattandogli manicotti flosci di stoffa nera
attraverso i quali l'operatore, introducendo le mani e la testa all'interno, eseguiva la
sensibilizzazione e lo sviluppo in una bacinella di guitta-perca. Durante l'esposizione, la bacinella
veniva lasciata cadere in una camera staccabile sul fondo dell'apparecchio. La luce entrava
attraverso un piccolo finestrino ricavato nella parte superiore dell'apparecchio fotografico.
Nell'apparecchio fotografico di Newton, introdotto l'anno successivo, un comparto sotto
l'apparecchio vero e proprio era diviso in quattro sezioni destinate al bagno di sensibilizzazione,
alla soluzione di sviluppo, all'acqua di lavaggio e al bagno di fissaggio. La lastra collizzata era fissata
ad un'asta che si spostava e si abbassava a turno in uno o l'altro di questi scomparti.
La lastra alla gelatina a secco semplificò la tecnica fotografica e ridusse l'attrezzatura all'incirca
come quella attuale; contemporaneamente la carta rapida al bromuro rese possibili gli
ingrandimenti.
La modernizzazione.
Vista la richiesta non eccessiva, i primi apparecchi fotografici erano fatti a mano, montati e
adattati da singoli meccanici esperti. Gli apparecchi avevano corpi in legno rinforzati di ottone e
soffietti di pelle. Con l'introduzione di pellicole a rullo di maggiore sensibilità e obbiettivi a grande
apertura la produzione da artigianale è passata ad una produzione industriale in serie. Questo per
contenere i costi, vista anche l’incidenza del costo dei sistemi ottici.
Con l'affacciarsi di tecnologie elettroniche, i costi di produzione si sono ulteriormente abbassati e la
qualità dell'apparecchio fotografico in se è migliorata di gran lunga. Sono state così sviluppate
nuove generazioni di fotocamere automatiche e reflex.
Oggi sono state introdotte le fotocamere digitali, che non hanno bisogno di pellicole,
immagazzinando l' immagine, per poi trasferirla su computer.
La fotografia di reportage...
La fotografia documentaria si propone di riprodurre oggettivamente la società attraverso la cronaca
per immagini della realtà quotidiana.
Nacque in Inghilterra nel 1877, ad opera di Thomson e Smith, due reporter londinesi che
immortalarono i quartieri più poveri della città tra le pagine del volume Street life in London.
Il movimento acquistò grande rilevanza a partire dagli anni trenta, negli Stati Uniti: qui, complice il
desolato clima della Grande Depressione, acquisì una marcata dimensione sociale. Il presidente
Roosevelt in persona istituì nel 1937 la Farm Security Administration (FSA), un centro di
committenza fotografica. La FSA si trasformò in una fucina collettiva di istantanee di povertà:
operò fino al 1943, suscitando nel mondo fotografico la nascita di una vera e propria corrente di
fotoreporter: Arthur Rothstein, Gordon Parks, Dorothea Lange, Todd Webb, Ben Shahn, Carl
Mydans e Walker Evans furono solo alcuni tra i grandi fotografi che collaborarono al progetto. I
negativi sono attualmente conservati presso la Library of Congress di Washington.
...Anche conosciuto come il “Padre” della
fotografia: Henri Cartier-Bresson
Nei suoi scatti ha fermato quasi un secolo di eventi.
Henri Cartier-Bresson, è nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup, 30 chilometri ad est di Parigi, da una
famiglia alto borghese amica delle arti. Inizialmente si interessa solo di pittura (grazie soprattutto
all'influenza di suo zio, artista affermato, che all'epoca considerava un po' come un padre
spirituale). Nel 1931, a soli 23 anni, ritornato in Francia dopo un anno in Costa d'Avorio, Henri
Cartier-Bresson scopre la gioia di fotografare, compra una Leica e parte per un viaggio che lo porta
nel sud della Francia, in Spagna, in Italia e in Messico.
L'ansia che rode Cartier-Bresson in questo suo viaggio fra le immagini del mondo lo porta ad una
curiosità insaziabile, incompatibile con l'ambiente borghese che lo circonda, di cui non tollera
l'immobilismo e la chiusura, la piccolezza degli orizzonti. Nel 1935 negli USA inizia a lavorare per il
cinema con Paul Strand; tiene nel 1932 la sua prima mostra nella galleria Julien Levy.
Nel 1933, un viaggio in Spagna gli offre l'occasione per realizzare le sue prime grandi fotografie di
reportage.
Ed è soprattutto nel reportage che Cartier-Bresson mette in pratica tutta la sua abilità e ha modo di
applicare la sua filosofia del "momento decisivo": una strada che lo porterà ad essere facilmente
riconoscibile, un marchio di fabbrica che lo distanzia mille miglia dalle confezioni di immagini
celebri e costruite.
Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riesce a evadere dal
campo e fa ritorno in Francia nel 1943, a Parigi, dove ne fotografa la liberazione.
Nel 1947 al Museum of Modern Art di New York viene allestita, a sua insaputa, una mostra
"postuma"; si era infatti diffusa la notizia che fosse morto durante la guerra.
Nello stesso anno, insieme ai suoi amici Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William
Vandivert fonda la Magnum Photos, cooperativa di fotografi destinata a diventare la più