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Questa tesina descrive il tema delle forme di governo nella storia, permettendo il collegamento con Greco in cui viene analizzato Polibio e il Discorso tra Otane, Megabizio e Dario e con Filosofia, in cui viene affrontato il pensiero del filosofo tedesco Karl Marx.
Greco: Polibio; Discorso tra Otane, Megabizo e Dario.
Filosofia: Marx.
STORIA DELLE TEORIE POLITICHE
ANTICA GRECIA
La prima, e universalmente nota, suddivisione all'interno delle forme di governo, è
quella risalente all'Antichità ed elaborata da Aristotele nella sua Politica. Egli elaborò tre
modelli: monarchia: il potere in mano ad una sola persona
aristocrazia: il governo dei nobili (letteralmente "dei migliori")
democrazia: il governo del popolo
A queste tre forme di governo, Platone attribuisce la sua degenerazione:
tirannide: il potere è acquisito e mantenuto da una persona tramite l'uso della violenza
oligarchia: il potere è costituito per favorire pochi
oclocrazia: i poteri sono in mano alla massa ("popolo" inteso in senso dispregiativo)
Nel pensiero greco antico troviamo una classificazione delle forme di governo nel libro
Storie
terzo delle di Erodoto, lo storico riferisce i discorsi di tre nobili persiani:
Otane, difensore della democrazia, polemizza contro il governo di uno solo, insolente,
arrogante, invidioso, che può fare quello che vuole, senza renderne conto a nessuno.
Nel governo del popolo, invece, le magistrature sono estratte a sorte, tutti i decreti
vengono approvati dall’assemblea e regna l’isonomìa, l’eguaglianza giuridica dei
cittadini. Megabizo condivide la
polemica di Otane contro il governo di uno solo, ma nel contempo attacca duramente la
moltitudine, priva di intelligenza, insolente, buona a nulla.
Dario approva la polemica di Megabizo contro la democrazia, ma critica anche il
governo dei pochi, l’oligarchia, perché anch’essa è fonte di inimicizie come la
democrazia, ed esalta invece il re come vera guida del popolo.
Da questi tre discorsi emergono altresì i pregi propri della forma di governo preferita da
ciascuno degli interlocutori: la democrazia permette il consenso e la partecipazione dei
cittadini, l’aristocrazia favorisce che nelle deliberazioni contino soltanto i migliori, la
monarchia consente l’unità e la segretezza del comando soprattutto in politica estera.
Nel contesto della guerra del Peloponneso che oppose Atene a Sparta, Tucidide riporta il
discorso di Pericle tenuto in onore dei caduti ateniesi nel primo anno della guerra del
Peloponneso.
Il discorso viene chiamato: “Elogio della democrazia ateniese” proprio perché in
esso Pericle espone ed elogia tutti gli aspetti del governo democratico che governava la
città di Atene. Egli sottolinea che gli ateniesi hanno una costituzione che non imita le
leggi dei vicini e che anzi è di grande esempio per essi, essa fa in modo che i diritti civili
siano attribuiti alla maggioranza della popolazione e che la considerazione politica di un
individuo emerge per quello che egli vale e non per la classe sociale a cui appartiene in
modo da far capire al popolo che tutti possono essere partecipi della vita cittadina e che
in un certo senso è orgoglioso di loro e della costituzione democratica ateniese. Egli dice
inoltre che il popolo vive in libertà e che tutti rispettano le leggi perché la loro violazione
sarebbe motivo di grande vergogna. Pericle parla successivamente della gioia di vivere
e dei divertimenti possibili grazie all’istituzione di giochi e feste. Dopo questo parla del
grande valore militare e della grande potenza di Atene e in seguito della partecipazione
politica di ogni individuo.
Conclude il discorso definendo la città di Atene: “Scuola della Grecia” ed elogiando il
grande potere sia economico, sia militare, sia culturale della città , onora infine i caduti
durante la guerra ed esorta soprattutto i sopravvissuti a lottare e a combattere per la
patria fino alla fine, anche a costo di patire enormi sofferenze.
ROMA Il termine Repubblica (da res publica: cosa pubblica) vuole significare che il governo
non spetta a un solo uomo, il re, ma al popolo che elegge liberamente i suoi governanti.
In realtà si trattava di una Repubblica aristocratica, poiché solo i membri maschi delle
famiglie più importanti, detti patrizi, potevano eleggere ed essere eletti alle cariche del
governo, dette magistrature, la più importante delle quali era il consolato. I consoli
avevano il potere politico e militare, e a Roma erano due. In età repubblicana al Senato
venne conferito formalmente il solo potere consultivo, ovvero il diritto di essere
consultato prima di far passare una legge. A lungo andare il resto della popolazione, i
plebei, cominciò a rivendicare i propri diritti e riuscì ad avere un suo rappresentante,
detto tribuno della plebe.
Polibio è stato l’unico autore greco a fare un elogio della città di Roma, che troviamo
nel IV libro delle Storie. Scrive riguardo alla città di Roma perché lui vede in questa città
tutto ciò che è mancato in Grecia, cioè l’unità. In Grecia infatti vi era la suddivisione in
poleis dunque non c’era un governo unitario. Lui sostiene che Roma sia l’esempio più
grande dell’unità della patria, perché la costituzione su cui si regge è, secondo lui, una
costituzione perfetta formata da:
Monarchia: rappresentata dall’idea del console, anche se a Roma c’erano due consoli.
Aristocrazia: rappresentata dal Senato
Democrazia: rappresentata dai tribuni della plebe, attraverso i quali si prende in
considerazione anche il parere del popolo.
Avere dunque questa costituzione mista ha fatto sì che Roma, nell’arco di 50 anni, sia
diventata la caput mundi.
Polibio dapprima pensava che Roma non avrebbe mai avuto un tracollo, poi però si
rende conto che anche Roma avrebbe avuto un declino dovuto alla crisi della
costituzione mista.
Infatti Roma attraverserà una fase di declino quando i Gracchi promulgheranno le
riforme agrarie. Egli sostiene che ogni città abbia un momento in cui nasce (κατα
φυσιν), un momento in cui arriva al massimo splendore (ακμη) e un momento di declino;
questo ciclo che interessa ogni città viene definito da Polibio ανακυκλωσις.
MEDIOEVO
L’avvenimento più importante degli ultimi anni del Medioevo fu appunto la nascita degli
Stati nazionali, spesso a questo processo si accompagnò l’istituzione di una forte
monarchia, come in Spagna, Inghilterra e Francia. La nascita degli Stati nazionali si
pone in un periodo storico che si fa partire più o meno nel Trecento, periodo in cui si
vide scomparire il concetto di Impero Universale, e si vedeva affiorare quello di Stato
nazionale, basato su un popolo e su una cultura.
Lo Stato è una entità politica e geopolitica; la nazione è una entità culturale e/o etnica. Il
termine Stato-nazione o Stato nazionale implica, quindi, la loro coincidenza.
È lo Stato nazionale a determinare il rapido dissolvimento del sistema feudale.
Scompare, di conseguenza, quel frazionamento amministrativo che rendeva pressoché
onnipotenti i signorotti nell’ambito dei propri possedimenti. Lo Stato ha finalmente il
controllo su tutto il territorio nazionale e l’unificazione del mercato consente al ceto
emergente, la borghesia, di rafforzarsi enormemente e proprio a scapito dell’aristocrazia
feudale. Lo Stato impone il suo ordine, le sue leggi, le sue tasse e, allorquando si troverà
a dovere affrontare la prima grande sfida della sua storia, le guerre di religione, pure la
sua “laicità”. Anche le scoperte geografiche, che spesso vengono identificate come il
fattore determinante ai fini del passaggio dal Medioevo all’Era Moderna, non sarebbero
state possibili senza il decisivo appoggio, finanziario e logistico, degli Stati nazionali. Lo
Stato moderno rappresenta dunque la perfetta antitesi di quello feudale. In quest’ultimo
l’autorità del re era poco più che nominale: quello reale era nelle mani dei grandi
feudatari, laici ed ecclesiastici, che esercitavano nell’ambito del proprio feudo un potere
pressoché assoluto. Nello Stato moderno il potere è saldamente nelle mani del re.
Quello che ha determinato questo cambiamento è la crisi del Trecento. Essa ha colpito
tutti i ceti sociali: pestilenze, clima rigido, cattivi raccolti, guerre e via dicendo non
potevano risparmiare nessuno. E tuttavia non tutti i ceti sono stati colpiti in egual modo.
Sul piano economico, pur tra mille contraddizioni, nel corso del Trecento si può notare
una significativa tendenza alla crescita dei prezzi, dovuta soprattutto alla scarsità dei
beni in circolazione. Ebbene, l’inflazione tende solitamente a colpire rendite e salari,
vale a dire l’aristocrazia e i lavoratori dipendenti, favorendo al contrario i profitti, cioè il
ceto borghese. Ed è proprio alla borghesia che le monarchie europee si affidano per
rafforzare il proprio potere e per portare a termine l’unificazione territoriale, economica,
politica ed amministrativa. Le monarchie, per combattere gli aristocratici feudali,
trovano dunque un nuovo alleato nella loro lotta contro il particolarismo feudale: la
borghesia. Una svolta senza precedenti nella storia europea. D’altro canto, la borghesia
ha tutto da guadagnare dalla nascita di un’entità amministrativa, lo Stato appunto, che
consente la creazione di un mercato unico. Lo Stato moderno è un organismo molto
complesso, burocratico, che necessita di funzionari preparati, che non è possibile
reclutare presso il ceto aristocratico, che disdegna il lavoro. Sono i borghesi, sempre più
istruiti, a mettersi a disposizione dello Stato, gestendo in suo nome l’ordine pubblico, la
giustizia, la politica fiscale in cambio di uno stipendio. Un’alleanza sempre più stretta,
che mette letteralmente alle corde l’aristocrazia. Questo, naturalmente, non significa
che la nobiltà scompaia. L’aristocrazia, insieme al clero, continuerà a godere di molti
privilegi ancora per parecchi secoli. Ma il suo peso nella società sarà destinato a ridursi
drasticamente. Al contrario, la borghesia rafforzerà le proprie posizioni, fino a diventare
un pericolo per la stessa monarchia. La Rivoluzione francese del secolo XVIII
rappresenta dunque un punto di svolta: lì si consuma, in rapida successione, sia la
definitiva rottura tra aristocrazia e monarchia sia quella tra monarchia e
borghesia. E alla fine vince proprio quest’ultima, aprendo una nuova era nella storia
dell’umanità.
ETA’ MODERNA
Il liberalismo è un insieme di dottrine, che pongono precisi limiti al potere e
all'intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti
di libertà e, di conseguenza, promuovere l'autonomia creativa dell'individuo.
Storicamente il liberalismo nasce come ideale che si affianca all'azione
della borghesia nel momento in cui essa combatte contro le monarchie assolute e i
.
privilegi dell'aristocrazia liberale
Dall'inizio del XIX secolo, cominciò a divenire equivalente di "favorevole al
riconoscimento delle libertà individuali e politiche".
Il risvolto del liberalismo in materia religiosa è la laicità e la separazione tra Stato
e Chiesa.
La dottrina liberale, di conseguenza, è da intendersi laica in quanto chiede allo Stato di
non interferire nelle scelte specificamente morali, queste infatti sono attribuite al libero
arbitrio del singolo individuo.