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INDICE

Introduzione pag

. 1

Italiano: il concetto di cronofobia

Gabriele d’Annunzio - La sabbia del tempo pagg. 2,3,4

Latino: la lotta alla cronofobia

Seneca - De brevitate vitae pagg. 5,6

Orazio - Non omnis moriar pagg. 7,8

Spagnolo: l’arte come sconfitta della cronofobia,

l’immortalità dei personaggi letterari

Miguel Unamuno – Niebla pagg. 9,10,11

Inglese: cenni a Shakespeare pag. 12

Italiano: cenni a Foscolo pag. 13

Arte: l’artista che plasma il tempo

Dalì - La persistenza della memoria pagg. 14,15

Bibliografia pag. 16

INTRODUZIONE

L'obiettivo di ogni artista è di arrestare il movimento, cioè la vita, con mezzi artificiali,

e tenerlo fermo di modo che un centinaio di anni più tardi,

quando un estraneo gli rivolgerà lo sguardo,

tutto si muoverà nuovamente, perché è vita.

E dal momento che l'uomo è un essere mortale,

per lui la sola possibile immortalità è lasciare ai posteri qualcosa che sia eterno.

È questo il modo con cui l'artista scarabocchia "C'ero anch'io"

sul muro dell'oblio finale e irrevocabile

attraverso il quale un giorno o l'altro dovrà passare.

William Faulkner

La cronofobia, la paura del tempo e in particolare della sua fugacità,

è un’ansia che la maggior parte degli uomini, anche inconsapevolmente,

si porta dentro.

Nel caos della modernità, siamo tutti vittime della stessa ossessione,

come se ci fosse un ticchettio di sottofondo che ci accompagna in ogni

momento della nostra vita, spingendoci alla frenesia.

Siamo ben consapevoli di non poter manomettere il grande orologio del

Tempo, ma non sappiamo rassegnarci a una fine,

così cerchiamo in ogni modo di fermare il nostro passaggio nel mondo.

La vita può essere paragonata al cammino di un uomo sulla sabbia:

l’impronta che si lascia alle spalle sarà cancellata poco dopo dalla

marea, e la spiaggia tornerà liscia e levigata come se nessuno fosse

passato.

Leopardi scriveva “tutto passa e quasi orma non lascia”.

Io credo che, proprio lui, sia la testimonianza che l’eccezione esiste.

L’arte, forse la manifestazione più alta e vera dell’umanità,

ha lo straordinario potere di vincere il tempo e superare

“di mille secoli il silenzio".

Attraverso l'arte, in ogni sua forma, la vita dell'uomo è sublimata.

Ci meritiamo l’eternità? Sì, per alcuni uomini penso sia un diritto.

E per tutti quelli che verranno, la loro immortalità artistica

è una ricchezza irrinunciabile.

I l mio percorso parte da una poesia di Gabriele d’Annunzio, che a mio parere esemplifica

perfettamente il concetto stesso di cronofobia e l’angoscia umana a esso associata.

In seguito mi sono soffermata sugli artisti che hanno “sfidato il tempo”, coloro, cioè, che

hanno creduto nella funzione eternatrice dell’arte, proponendo le loro opere come

immortali: da Seneca e Orazio a Unamuno, fino ad arrivare a Dalì, con degli accenni a

Shakespeare e a Foscolo. 1

LA SABBIA DEL TEMPO - GABRIELE D’ANNUNZIO

Come scorrea la calda sabbia lieve

Per entro il cavo della mano in ozio,

Il cor sentì che il giorno era più breve.

E un'ansia repentina il cor m'assalse

Per l'appressar dell'umido equinozio

Che offusca l'oro delle piagge salse.

Alla sabbia del Tempo urna la mano

Era, clessidra il cor mio palpitante,

L'ombra crescente d'ogni stelo vano

Quasi ombra d'ago in tacito quadrante

La Sabbia del tempo fa parte di un insieme di madrigali, chiamati "Madrigali dell'estate", in

cui il poeta ripercorre cronologicamente le tappe della calda stagione, dal suo

approssimarsi, al suo culmine (es. “A Mezzodì”), fino al suo termine. Ognuno di questi

madrigali esprime una forte unione tra il poeta e la natura, che spesso assume i connotati

di una vera e propria fusione spirituale, che viene definita come panismo.

Le immagini costruite lungo i versi, assieme alle metafore numerose, sono la descrizione

di uno scenario quasi surreale: in spiaggia, al tramonto, vediamo il poeta che con la mano

accarezza la sabbia e se la fa scivolare tra le dita. A quest’ immagine se ne sovrappone

subito un'altra, quella della trasformazione del poeta in una clessidra vivente e palpitante,

seduto su un enorme quadrante silenzioso e inquietante, (rappresentato dalla spiaggia

stessa). 2

È una visione quasi onirica e metafisica del rapporto tra l'uomo e il tempo, che ci può

ricordare i quadri di un De Chirico o di un Dalì, dove oggetti e uomini sono ridotti a

funzione simbolica.

La Sabbia del tempo è un titolo assai significativo, che fa immediatamente ricordare un

oggetto legato a entrambi i sostantivi, la clessidra.

Essa è il mezzo con cui anticamente si misurava lo scorrere del tempo, ma anche il luogo

in cui, materialmente, oltre al tempo, scorre la sabbia, da un'estremità del vetro all'altra.

In questo titolo sono perciò riassunte l'idea del tempo che passa, la vista materiale dello

scorrere dell'esistenza e la nostalgia del passato, ma anche la ciclicità del rapporto

vita/morte nell'interscambiabilità fra l'alto e il basso, perché, per funzionare, la clessidra

deve essere continuamente rovesciata.

La poesia si compone di tre strofe, di cui le prime due sono terzine e la terza una quartina.

I versi sono endecasillabi. Questo schema riprende quello del madrigale antico.

La forte musicalità del madrigale, capace di esprimere da sé sola l'intero senso racchiuso

nei versi, è tipica della poesia dannunziana.

Il movimento:

- lo scorrere della sabbia in contrasto con l'ozio (l'immobilità) della mano (vv. 1-2);

- l'assalto al cuore dell'ansia all'appressarsi dell'equinozio (v. 4-5);

- il cuore che palpita e l'ombra che cresce (8-9).

La morte:

- il giorno che diventa più breve e quindi muore (v. 3);

- l'urna della sabbia del Tempo (v. 7);

- l'immagine dell'ombra che cresce e invade il giorno,la solarità dell'estate che finisce (v.9);

- l'inutile vitalità delle piante (ogni stelo vano, v. 9);

- il silenzio del tacito quadrante (v. 10). che ritorna in tutte e tre le

Una figura retorica importante è l’anafora della parola cor,

strofe, rafforzata da termini della stessa area semantica che esprimono la misurazione

psicologica del tempo, (sentì, m’assolse, palpitante, v. 3, 4 e 8).

Tutto il senso di ciò che esprime la poesia è tradotto e letto attraverso la ricettività del

cuore del poeta: nella prima strofe il cuore sente che il giorno è più breve; nella seconda,

l'ansia assale il cuore; nella terza, il cuore è palpitante; il tutto in un crescendo emotivo (o

climax) che accompagna la riflessione dell'anima sulla fuggevolezza dell'essere.

Tuttavia, la figura retorica sulla quale si costruisce l'intera poesia è la metafora, a livello

microscopico ma soprattutto a livello macroscopico: la calda sabbia che scorre nel cavo

della mano (vv. 1-2), la mano come urna della sabbia come cenere (vv. 7-8), il cuore come

clessidra (v. 8) e gli steli delle piante come ago di un quadrante (9-10) sono tutte

espressioni che rappresentano un'unica, grande metafora che vuole il corpo del poeta

come una clessidra vivente in cui sentire, fisicamente e psicologicamente, lo scorrere

inesorabile del tempo. 3

Il madrigale esprime il disincanto del poeta, che si riallaccia con un forte senso del declino

umano.

La natura stessa, la legge del ciclo naturale che aveva fomentato la pretesa e l’ansia del

divino del superuomo d’annunziano all’inizio dell’estate, ora richiama inesorabilmente alla

caducità.

Motivo, questo, che troviamo molti anni prima in Petrarca, che scrive “la vita fugge e non

s’arresta un’ora”.

Nella sabbia del tempo assistiamo al trionfo del tempo, che cancella l’uomo, portandogli

via la sua “estate”, la sua gloria, mettendo fine dunque a quest’esperienza di immersione

panica e generando in lui un sentimento angoscioso.

Nella considerazione che ormai le giornate si fanno più brevi, possiamo notare come

tenda a prevalere l’oscurità sulla luce, che, vista in ottica simbolica non è che

l’allusione al trionfo finale della morte, lenta ma inesorabile, sulla vita.

Ogni piccolo particolare della realtà è avvertita come segno del fluire del tempo, gli steli

delle piante, le cui ombre con il declinare dell’estate si fanno più lunghe, evocano lo

spostarsi dell’ombra dell’ago nel quadrante silenzioso della meridiana. 4

Il conflitto con il tempo e la sua fugacità hanno fortemente condizionato l’uomo da tutti i

tempi, prima che nella letteratura italiana la cronofobia è stata, infatti, una tesi

fondamentale nella letteratura latina.

La percezione che l’uomo ha di sé, della sua intelligenza e “superiorità” rispetto al mondo

che lo circonda, fa apparire ingiusta la prospettiva di una vita mortale, in cui obiettivi e

desideri sono frustrati da una morte che viene considerata “prematura”.

Seneca, per esempio, si concentra nella lotta alla cronofobia, in particolare cercando di

dimostrare la sua infondatezza e insensatezza nella sua opera “De brevitate vitae”, un

dialogo dedicato e rivolto a Paolino.

Proprio in questo dialogo, smentendone di fatto il titolo, Seneca afferma che la vita in sé

non è breve bensì lunga, in contrapposizione con la tesi aristotelica che accusava la

natura di “avarizia” per averci assegnato una vita troppo breve; egli sostiene infatti che

siano invece gli uomini stessi a rendere la vita breve, sprecandola in futili attività.

La ricerca del piacere e della gloria politica, ad esempio, sono diversivi che disperdono

l'uomo in mille impegni esteriori e gli impediscono di vivere la propria autentica esistenza,

che si identifica con la dimensione interiore.

L'uomo dà il suo tempo per scontato, come fosse senza valore, non accorgendosi così di

vivere soltanto una minima parte degli anni che la natura gli ha concesso, anche quando

essi sono numerosi: il tempo trascorre, ma di questo ben poco è veramente vita.

A questo proposito, Seneca fa una distinzione tra gli “occupati”, la maggior parte

dell’umanità, vittime del tempo, e i “sapiens”, il suoi dominatori, dando origine ad un’

antitesi continua fra tempo e saggezza, che compare nel corso di tutto il “De brevitate

vitae”.

Gli affaccendati, (così chiamati perché vivono in balia di innumerevoli impegni, che tolgono

loro il tempo di pensare a se stessi), distratti dai loro mille “negotia”, ricchezze, cariche

pubbliche, ostentazione dell’ingegno, non si rendono conto del trascorrere ineluttabile del

tempo, se non quando è ormai troppo tardi e, mentre sono attenti risparmiatori di denaro,

evitando di sperperarlo, non lo sono ugualmente con il tempo, che sprecano

continuamente.

Per questo Seneca fa l’esempio di un uomo che, sebbene centenario, se facesse il

resoconto del proprio passato, si ritroverebbe con molti anni in meno, perché gli sono stati

sottratti in grande quantità da creditori, donne, clienti, litigi, che gli hanno impedito di

realizzarsi pienamente o di pensare alla propria persona. I suoi capelli bianchi non

indicano che è vissuto a lungo, ma che è stato al mondo a lungo.

Seneca ci invita invece ad avviarci alla saggezza dei sapiens, affermando che soltanto

quando l'uomo si libera dai vincoli che lo immobilizzano, la vita gli sembrerà più lunga.

Il sapiente avrà potere sul tempo, come un dio.

Il filosofo vede infatti nell’otium un modo per migliorarsi, al contrario della visione che

dominò per lungo tempo all’interno della società romana dove veniva prediletto il

negotium, e l’otium era visto come svago, tempo libero.

Quest’idea senecana del tempo poggia su alcune basi concettuali proprie dello stoicismo,

tra cui la concezione qualitativa del tempo. 5

La maggior parte dei mortali, o Paolino, si lamenta, della malignità della natura, poiché siamo

generati per un esiguo scorcio di tempo, poiché scorrono via tanto velocemente questi attimi del

tempo, a noi concesso, al punto che fatta eccezione proprio per pochi la vita abbandona tutti gli

altri proprio mentre si apprestano a vivere. E di questo male comune, come lo -ritengono, non si

lamentano soltanto la folla e il volgo ignorante, ma questa apprensione suscitò le lagnanze anche

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