Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Italiano-Giovanni Verga, scrittore e fotografo della realtà.
Storia-La propaganda fascista.
Diritto-Diritto alla privacy.
Scienza delle finanze-Evasione fiscale ed estorsioni dei “Paparazzi”.
Economia Aziendale-Il bilancio d’esercizio come una fotografia.
Inglese-Advertising.
Informatica-Le reti.
Giovanni
Verga,
scrittore e
fotografo
della realtà
Giovanni Verga, scrittore e fotografo
della realtà.
Ben presto la fotografia divenne
una vera e propria forma d’arte
che non incuriosiva solo pittori e
scienziati, bensì anche molti
scrittori e letterati del secolo, uno
di questi fu proprio Giovanni Verga.
Verga appartiene alla corrente
letteraria del “Verismo”, una
corrente che tende cioè a rappresentare la realtà
così com’è anche se dolorosa e triste. L’attività
letteraria di Verga può essere divisa in due fasi: la
prima caratterizzata dalle descrizioni di ambienti
artistici e dell’alta società, la seconda che è quella
verista. Alla prima fase appartengono tutti i romanzi
ritenuti preveristi, come “Una Peccatrice”, “Tigre
reale” e “Eros”. Questi ultime due si possono
ritenere parzialmente autobiografici poiché Verga
mirava a vivere, nei suoi libri, avventure non vissute
ma sognate. Nella fase verista, inaugurata con le
novelle “Nedda” e soprattutto “Rosso Malpelo”, egli
afferma che l’autore non deve intervenire con
opinioni personali, perché non ha il diritto di
giudicare e di criticare gli eventi: chi scrive,
dovrebbe quindi utilizzare la tecnica
dell’impersonalità, che si configura come il modo più
adatto per esprimere una realtà di fatto, ovvero la
presenza del Male nel mondo.
La vita infatti, per Verga, è una dura lotta per la
sopravvivenza, schiaccia i più deboli e permette ai
più potenti di vincere. Quella della natura è una
legge dura e spietata e ad essa non ci sono
alternative.
I Veristi non nutrono fiducia nella modernità e nel
progresso, anzi, li ritengono la causa della tragedia
umana.
All’interno delle opere, non devono comparire
reazioni soggettive, riflessioni o spiegazioni, l’autore
deve immedesimarsi nei suoi personaggi e “vedere
le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro
parole”. In questo modo egli rimarrà esterno
all’opera, fino ad “eclissarsi”, a tal punto che
quest’ultima possa sembrare quasi “essersi fatta da
sé”. A raccontare i fatti, non è più l’autore, ma un
occhio che osserva senza dare una spiegazione alle
vicende, sarà poi il lettore a interpretare quanto
scritto in base alle proprie idee, alle proprie
convinzioni.
Un altro aspetto della poetica di Verga è lo
straniamento. Questo concetto deriva dal termine
strano, poiché il mondo degli umili, caratterizzato da
una continua lotta per la sopravvivenza, non
comprende i valori e i principi.
All’interno delle proprie opere, fa un ampio uso di
proverbi, di termini ed espressioni dialettali, talvolta
anche volgari, per mantenere una forte
corrispondenza con il mondo reale.
L’autore deve limitarsi a fotografare la realtà,
descrivendo i meccanismi che ne stanno alla base.
Un aspetto sconosciuto di Giovanni Verga è la sua
passione per la fotografia.
Verga arriva alla fotografia quasi per caso,
utilizzando una grossa macchina a cassetta dello zio
paterno con cui realizza, a partire dal 1878, le prime
fotografie su lastre di vetro. Coltiva la sua passione
in sintonia con gli amici scrittori con cui scambia
consigli e commenti lasciandosi talvolta andare ad
aspre autocritiche nel
definire, “sgorbi
fotografici” le sue
immagini meno riuscite.
Infatti, lo scrittore non
ha mai preteso di uscire
da un ambito
strettamente privato
dove la fotografia è
piacevolezza, ricordo o bellezza. Dopo i primi
esperimenti, lo scrittore si attrezza con altre
macchine più maneggevoli con cui realizza la
maggior parte delle sue fotografie usando lastre in
vetro francesi “Lumière” e
italiane della ditta milanese
“Cappelli” e pellicole a rullo.
Giovanni Verga è un fotografo
capace di realizzare ritratti
mediocri come pregevoli e di
far emergere una particolare
ispirazione soprattutto di fronte
ai paesaggi urbani: attraverso
gli errori affina il suo stile e
quando padroneggia meglio la
tecnica, i risultati migliorano.
Un modo diverso e non noto per raccontare le sue
storie, fermate in immagini d’intensa semplicità, di
racconti quotidiani, di facce comuni.
Il Verga fotografo, non
sempre ottimale dal
punto di vista tecnico,
è efficace e immediato
tanto quanto il Verga
scrittore.
Proprio come nei suoi
romanzi e nelle sue
novelle, anche nella
sua produzione fotografica
Verga interpreta e cerca di
riprodurre soprattutto un
paesaggio umano.
Accanto ai numerosi ritratti di parenti e amici, Verga
ritrae immagini della Catania non aristocratica,
creando una certa continuità con quello che scrive.
Quest’aspetto è importante per giudicare le
fotografie dello scrittore che opera in un’epoca in
cui, finita l’era dei pionieri, non è ancora iniziata
quella in cui l’industria chimica e meccanica avrebbe
reso le cose più semplici per tutti. Con gli anni i
risultati dello scrittore fotografo migliorano,
soprattutto quando nel suo corredo arriva la
“Eastman”, un apparecchio leggero e maneggevole
grazie a cui realizza inquadrature più ardite che si
ritrovano anche quando riutilizza le vecchie
macchine dimostrando di avere acquisito una
pregevole forza espressiva. Nel 1911,
misteriosamente, smette di scattare.
La privatezza della sua produzione fa sprofondare il
Verga fotografo in un oblio dal quale ciclicamente
riemerge.
Il ritratto è il genere che Giovanni Verga affronta fin
dai primi scatti tanto che, guardando le sue
fotografie, si può seguire l’evoluzione di uno stile che
all’inizio è ingenuamente semplice: c’è la
disponibilità e la pazienza del fotoamatore nel
mettere tutti in posa, la ricerca di un equilibrio nella
composizione dei gruppi come dei singoli, la
costanza nel cercare un angolo giusto per scattare,
non importa che sia sul terrazzino della casa di
Catania o nell’angolo del cortile della tenuta di
Tèbidi.
Talvolta preferisce lavorare in esterni usando come
sfondo il paesaggio che s’intravede alle spalle dei
soggetti, in altri casi fa ricorso come fondale a un
paravento o, più comunemente, come facevano
molti professionisti, a un lenzuolo teso. Non sempre
è soddisfatto , ma in alcuni casi i risultati sono
davvero pregevoli come quando riprende gli
elegantissimi amici scrittori. Interessanti anche da
un punto di vista sociale, sono i ritratti della gente
comune: contadini, donne di servizio, perfino una
mendicante che alludono a quei “vinti” protagonisti
di tante storie verghiane.
Le posture, gli abiti, lo stesso modo di ripresa,
rappresentano indizi importanti capaci di comunicare
molto dello stile di vita, dell’estetica e della storia
del tempo. La
propaganda
fascista
La propaganda fascista
La propaganda fascista fu un sistema che si avvalse
di ottimi metodi per manipolare il pensiero delle
persone appartenenti al regime. Il movimento
fascista fu sempre intollerante verso le
manifestazioni popolari e pronto ad appoggiare
chiunque fosse propenso a usare la "mano forte".
Questo sistema autoritario fu assicurato da una
grande capacità comunicativa: "La Propaganda",
attraverso la quale fu stabilito un controllo totale
sull'informazione e sulla cultura. Tramite una
propaganda che effettuò il controllo politico su tutti i
mezzi di comunicazione ,avvenne il processo di
fascistizzazione del paese, con lo scopo di orientare
l'opinione pubblica, di caricarla, comunicando
l'esaltazione della missione nazionale. I messaggi
furono rivolti a tutte le categorie della società
italiana e furono diffusi attraverso la fotografia, la
radio e il cinema. Con la propaganda si cercò di dare
una giustificazione alle iniziative di guerra e di
conquista.
Nel corso del tempo, la fotografia divenne un ottimo
strumento per comunicare qualsiasi messaggio si
volesse: dal messaggio pubblicitario alla propaganda
politica.
Senza dubbio l’esempio più significativo che si possa
fare, è l’utilizzo che ne fece il regime fascista, che
riuscì in tempi molto brevi a manipolare l’opinione
pubblica anche attraverso le numerose foto
“ufficiali”, che presentavano un Mussolini sicuro,
forte e protettore.
Testimonianze dirette affermano che trovarsi dinanzi
a Mussolini, era come assistere da vicino ad un
mistero, ad un qualche prodigio della natura che
trovava tutti sempre impotenti ed indifesi. Nulla
serviva ad allentare questa tensione.
L’adorazione delle folle, l’amore di uomini e donne,
la venerazione di poeti, il rispetto di intellettuali,
tutto si spiega. Mussolini faceva diventare tutti degli
eroi, dei corporativisti socializzatori, dei credenti,
bastava che lo volesse. Ognuno gioiva di essere
quello che era. Al di là perfino delle convinzioni
politiche, fascisti e
antifascisti non
chiedevano altro
che di lavorare
per il bene
comune. Il gerarca
sfacchinava dalla
mattina alla sera nelle sue federazioni, la scienziato
studiava, lo spazzino spazzava bene la via, il poeta
cantava, il pittore dipingeva, il colonizzatore
colonizzava, l’agricoltore coltivava e l’industriale
produceva con una gioia nuova. Non era il denaro,
non erano gli onori: per una fotografia del Duce, per
un suo elogio, tutti impazzivano.
Vecchi e onesti antifascisti
ricordavano con compiacimento la
lode ricevuta da Mussolini per i
loro studi.
La dittatura è teorizzata ovunque
come un imponente apparato
poliziesco che caccia gli uomini
avanti, dopo averli privati di ogni
libera volontà.
Con Mussolini sembrava tutto
diverso. Gli uomini si sentivano
liberi nell’ubbidienza e nella
dedizione. Non marciavano perché
minacciati da mitragliatrici alle
spalle, ma perché “risucchiati” in
avanti dalle parole di Mussolini,
che anziché spingerli brutalmente
alle spalle li trascinava
melodiosamente come il flautista di
Hamelin.
Con il passare degli anni, la
dittatura fascista prospettava al
popolo italiano un futuro senza
alternative, contrassegnato da
successi militari e da sogni grandiosi
di supremazia. Le bonifiche dell’Agro Pontino e le
nuove città di Sabaudia e Littoria erano presentate
agli occhi di milioni di contadini poveri come un
miraggio che avrebbe risolto i loro problemi per
sempre, allo stesso modo le enormi riserve aurifere
dell’Etiopia e la prosperità virtuale delle colonie.
L’inno ufficiale del regime, Giovinezza, prometteva
un futuro radioso.
La parola, parlata e scritta, pronunciata nei suoi
veementi discorsi e “impressa” come un marchio a
fuoco sui manifesti propagandistici, fu l’unica,
grande arma di Mussolini. La parola associata alle
immagini, i disegni, le enormi gigantografie appese
alle pareti delle case, delle scuole, degli edifici
pubblici, delle sedi del partito, influenzavano le idee
del popolo.
Il risultato di questa propaganda fu di contrastare
vigorosamente lo scetticismo e di accentuare a
dismisura la credulità popolare, annientando le
capacità critiche individuali, alimentando e
radicando a tal misura le aspettative del popolo
italiano da poter generare un servizio praticamente
illimitato a favore del regime.
Diritto alla
privacy
Diritto alla privacy
“Nessun individuo potrà essere sottoposto ad
interferenze arbitrarie nella sua vita privata,
nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua
corrispondenza, né a lesioni del suo onore e
della sua reputazione. Ogni individuo ha
diritto ad essere tutelato dalla legge contro
tali interferenze o lesioni.”
Tra i diritti civili, il consolidarsi del diritto a godere di
un proprio spazio definendolo privacy, ha avuto una
certa difficoltà nell'affermarsi. Ciò in particolare in
Paesi come il nostro privi di una vera propria
tradizione su questo argomento, a differenza invece
dei Paesi anglosassoni.
Il riconoscimento dell'esistenza di uno spazio privato
dell'individuo, della persona, così come lo vediamo
anche sancito dalla Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani, in Italia faticosamente è cresciuto sino
ad essere legittimato da norme e ad avere la
vigilanza per la sua tutela da parte di un garante, il
Garante per la Privacy.
Queste norme non sono applicabili evidentemente ai
personaggi pubblici, la cui vita diventa di pubblico
dominio, in rapporto anche all'incarico o
all'occupazione da loro svolta. Ogni privato cittadino
invece ha diritto alla tutela dei dati che lo
riguardano, tutela che ovviamente non può essere
estesa a quelli dalla persona stessa resi pubblici:
pensiamo ad esigenze di lavoro o a volte quasi alla