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INTRODUZIONE
• Motivazione scelta argomento;
• Cosa sono diversità, discriminazione e integrazione;
• Temi affrontati nella tesina.
ITALIANO
• “La madia”
• Gabriele D’Annunzio
INGLESE
• “My Left Foot”
• Christy Brown
STORIA
• Antisemitismo hitleriano: la persecuzione antiebraica
METODOLOGIA
• Una condizione di marginalità: il barbonismo
PEDAGOGIA
• Bambini precoci,dotati, superdotati
inevitabile e necessaria, non è un valore assoluto o eterno, ma una
convenzione, che può essere messa in discussione, criticata e/o
modificata. […]. (M. Antonello, “Le voci dell’altro”, Loescher, Torino,
1995).
La diversità non è una sola ma, ne esistono di diverse forme:
motoria;
cognitiva;
sensoriale;
linguistica;
sessuale;
religiosa;
sociale;
etnica.
Un ulteriore caso particolare di diversità è
costituito da bambini precoci, dotati e
superdotati.
DISCRIMINAZIONE:
trattamento non paritario riservato a un singolo individuo o a un gruppo,
a causa della propria appartenenza a una particolare categoria, classe
sociale o etnia oppure a causa del sesso o delle preferenze sessuali, della
religione, delle opinioni politiche, dell’età o di un handicap.
Esempi, quindi, di situazioni discriminanti sono costituiti dal razzismo, dal
sessismo, dall’omofobia e dall’handifobia.
INTEGRAZIONE:
insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di
una società;
partecipazione alla vita comune e presenza di relazioni umane
soddisfacenti;
La società tende, nella maggior parte dei casi, ad assumere un atteggiamento
nei confronti del “diverso” non di apertura, ma di chiusura, in quanto chi è
diverso, il più delle volte, non viene capito e accettato e, talvolta, non si cerca
3
neppure di assumere un atteggiamento atto a favorire una sorta di
integrazione.
Alla luce di quanto fin qui descritto, può risultare coerente iniziare questo
percorso con la presentazione del brano “La madia”, tratto dall’opera “Le
novelle della Pescara” di Gabriele D’Annunzio. Esso tratta del tema della
discriminazione da parte, non solo dei concittadini, ma anche del fratello e
della matrigna, nei confronti di un ragazzo definito “lo stroppiatino”, con
“[…] Egli era mingherlino, con una grossa testa
disturbi fisici e mentali.
pesante. I capelli erano così biondi che quasi parevano bianchi.
Gli occhi erano dolci come quelli di un agnello, azzurri fra le lunghe ciglia
chiare.
Entrando, non disse nulla; poiché era muto per una paralisi. […] La gamba
destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo tremito visibile. […]”.
Successivamente con il libro “Il mio piede sinistro”, si può esaminare una
situazione opposta, nella quale è visibile il tema dell’integrazione di un ragazzo
disabile, sia all’interno della famiglia sia della società, senza che egli venga
preso in giro o deriso.
Christy Brown, disabile dalla nascita a causa di una paralisi cerebrale, poteva
comunicare solo con il suo piede sinistro, l’unica parte del corpo della quale
aveva il controllo.
Si può passare poi ad analizzare un’ulteriore situazione di discriminazione,
questa volta non più esercitata nei confronti di persone disabili, ma verso
persone di un’altra razza, come ad esempio l’antisemitismo hitleriano, con la
conseguente persecuzione antiebraica.
In seguito si può prendere in esame un caso di marginalità presente in ogni
società e molto spesso non preso in considerazione: il barbonismo.
Per finire si può trattare di un caso particolare di diversità non diffuso come gli
altri, ma comunque rilevante e interessante, relativo ai bambini precoci, dotati
e superdotati. 4
Da “Le novelle della Pescara”:
LA MADIA
Appena Luca udì il rumore delle grucce, spalancò gli
occhi e li volse ardenti verso la porta, aspettando che il
fratello comparisse sul limitare. Tutta la faccia,
estenuata dalla sofferenza, divorata dalla febbre, sparsa
di bolle rossastre, gli prese d’improvviso un aspetto di
durezza e quasi d’ira. Egli afferrò le mani della madre,
convulsamente, gridando, con la voce rauca e rotta:
“Caccialo! Caccialo! Non lo voglio vedere. Capisci? Non
lo voglio vedere; mai più. Capisci?”
Le parole lo soffocarono. Egli stringeva forte le mani
della madre, tossendo con grande affanno, mentre la
camicia sul petto gli palpitava e gli s’apriva un poco ad ogni sforzo. Aveva la
bocca gonfia; e pel mento le bolle riseccate gli formavano come una crosta che
si screpolava e sanguinava ad ogni sforzo.
La madre cercava di placarlo.
“Sì, sì, figlio mio. Non lo vedrai più. Farò come tu vuoi. Lo caccerò, lo caccerò.
Questa è la casa tua, figlio, tutta tua. Mi senti?”
Luca le tossiva sul volto.
“Ora, ora, subito” egli diceva, con una persistenza feroce, sollevandosi di sul
letto, spingendo la madre verso la porta. 5
“Si, figlio mio. Ora, subito.”
Ciro comparve al limitare, reggendosi su le grucce. Egli era mingherlino, con
una grossa testa pesante. I capelli erano così biondi che quasi parevano
bianchi. Gli occhi erano dolci come quelli di un agnello, azzurri fra le lunghe
ciglia chiare.
Entrando, non disse nulla; poiché era muto per una paralisi. Ma vide gli occhi
dell’infermo, che lo guardavano intenti e crudeli; e si fermò nel mezzo della
stanza, appoggiato alle grucce, irresoluto, non osando avanzare. La gamba
destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo tremito visibile.
Luca disse alla madre:
“Che viene a fare, questo stroppiato? Caccialo via! Voglio che tu lo cacci via.
Capisci? Subito.”
Ciro intese, e guardò la matrigna che già era per levarsi. La guardò con occhi
supplichevoli, ch’ella non ebbe cuore di fargli violenza. Poi, tenendo sotto
l’ascella una gruccia, con la mano libera fece un gesto disperato. E gettò uno
sguardo vorace alla madia ch’era in un canto. Voleva dire:
“Ho fame.”
“No, no, non gli dar niente!” si mise a gridare Luca, agitandosi tutto sul letto,
imponendo alla donna il suo capriccio malvagio.
“Niente! Mandalo via.”
Ciro aveva chinato sul petto la grossa testa, tremando, con gli occhi pieni di
lacrime.
Quando la matrigna gli mise una mano su la spalla e lo spinse verso l’uscio,
egli ruppe in singhiozzi. Poi sentì chiudere l’uscio; e rimase sul pianerottolo, a
singhiozzare. Singhiozzava forte e costante.
Disse Luca alla madre, con un atto iroso:
“Lo senti? Fa apposta, per farmi venir male.”
Il singhiozzo del fratello seguitava, interrotto qualche volta da un mugolio
singolare, accorante come il rantolo d’un giumento che sia per morire.
“Ma lo senti? Gettalo per le scale”
La donna sorse con impeto; corse all’uscio, e levò sul muto le mani dure,
avvezze a percuotere e ad incrudelire.
Luca, sollevato in su gomiti, ascoltava i colpi, dicendo:
“Ancora! Ancora!”
Sotto le percosse, Ciro tacque. Trattenendo il pianto, discese nella strada. Egli
era famelico; non mangiava da quasi due giorni. A pena aveva la forza di
trascinare le grucce.
Passò in corsa una schiera di monelli, dietro il volo d’un aquilone che prendeva
vento beccheggiando. Taluni gli diedero un urto, gridandogli: 6
“ Ehi, lo stroppiatino!”
Altri lo beffarono, gridandogli:
“Vieni, barbero, alla carriera!”
Altri, alludendo alla sua gran testa, gli chiesero per dileggio:
“ Quanto la libbra il cervello, stroppiatino?”
Uno tra questi più disumano, gli fece cadere una gruccia; e si mise a
fuggire. Il muto barcollò; poi la raccolse a fatica, e si mosse. Gli strilli e le risa
dei monelli si dileguavano verso il fiume. L’aquilone s’innalzava, come un
uccello di paesi strani, in un cielo tutto rosato e soave. Compagnie di soldati
cantavano in coro, lungo il Bagno. Era la bella stagione, sotto la festa di
Pasqua.
Ciro sentendosi mordere le viscere dalla fame, pensò: ora chiedo l’elemosina.
Dal forno veniva con il vento primaverile la fragranza del pane recente. Passò
un uomo vestito di bianco, portando in testa una lunga tavola su cui giacevano
in ordine molti pani color d’oro, che ancora fumavano. Due cani lo seguivano,
con il muso all’aria, dimenando la coda.
Ciro si sentì quasi venir meno, di languore. Pensava:
“Ora chiedo l’elemosina; se no, muoio.”
Il giorno cadeva lentamente. Il cielo diafano era tutto sparso d’aquiloni che si
ritraevano verso terra ondeggiando. Le campane propagavano nell’aria sonora
un rombo continuo e profondo.
Ciro pensò:
“Ora mi metto alla porta della chiesa.”
E si trascinò verso quel luogo.
La chiesa in fatti era aperta. Si vedeva in fondo l’altare illuminato di fiammelle
tremolanti, come una costellazione. Usciva fuori l’aroma dell’incenso e del
benzoino, svanito. Di tanto in tanto, l’organo gittava un gran fruscio di suoni.
Ciro, d’improvviso, sentì velarsi gli occhi da nuove lacrime. Egli pregò nel cuor
suo religioso:
“O Signore, Dio mio, aiutami tu!”
L’organo mise un tuono che fece vibrare i pilastri come stromenti; poi si
rallegrò di note chiare. Sorsero le voci dei cantori. E i devoti e le devote
entravano, a due, a tre, per la porta unica. Ciro non osava ancora tendere la
mano. Un mendicante, poco discosto, chiese lamentevole:
“La carità, per l’amore di Dio!”
Allora il muto ebbe onta. Vide entrare nella chiesa la matrigna, tutta raccolta
sotto la mantura nera. Pensò:
“Se andassi a casa, mentre la matrigna è fuori?” 7
La bramosia del cibo lo punse così forte, che egli non indugiò più oltre. Volava,
su le grucce, dietro la speranza del pane. Una femminetta, al passaggio, gli
gridò ridendo:
“Corri il palio, stroppiatino?”
Egli giunse alla casa, in un baleno, ansando e palpitando. Salì le scale con
cautela infinita, senza rumore. Cercò la chiave a tentoni, in una cavità del
muro, dove soleva metterla la matrigna uscendo. La trovò; e prima d’aprire
guardò per buco della serratura. Luca, sul petto, pareva sopito.
Ciro pensò:
“Se potessi prendere il pane senza svegliarlo!”
E girò la chiave, piano piano, trattenendo il respiro, temendo di svegliare il
fratello con i palpiti del cuore. Pareva che i palpiti empissero tutta la casa,
come d’un fragore altissimo.
“E se si sveglia?” pensò Ciro con un brivido nelle midolle, quando sentì che la
porta era aperta.
Ma la fame lo rendeva audace. Egli entrò, puntando le grucce delicatamente,
non togliendo mai gli occhi di sul fratello.
“E se si sveglia?”
Il fratello, supino, respirava con affanno in quel sopore. Di tratto in tratto gli
usciva dalle labbra quasi un fischio lieve. Una sola candela ardeva su la tavola,
gittando alla parete larghe ombre variabili.
Ciro, come fu presso alla madia, s’arrestò per vincere il tremore; guardò il
dormiente; poi, reggendo ambo le grucce con l’ascelle, si mise a sollevare il
coperchio. La madia scricchiolava forte.
D’improvviso Luca diede un balzo, svegliandosi. Vide il fratello in quell’atto e
cominciò a gridargli contro, agitando le braccia, come un ossesso.
“Ah, ladro! Ah, ladro! Aiuto!”
Ma il furore lo soffocava. Mentre il fratello, accecato dalla fame, chino sulla
madia, cercava con le mani tremanti un pezzo di pane, egli si gettò giù dal
letto e gli corse sopra a impedirgli di prendere.
“Ladro! Ladro!” gridava, fuori di sé.
Fuori di sé, trasse il coperchio pesante sul collo di Ciro; che s’agitò
come una vittima alla tagliola, disperatamente. Resisteva Luca contro
quelli sforzi, avendo perduto ogni coscienza della cosa, premendo con
tutta la sua persona, quasi per decapitare il fratello. Il coperchio
scricchiolava, penetrando nella viva carne della nuca, schiacciando le
canne della gola, pestando le vene e i nervi. Penzolò dalla madia un
corpo inerte, che più non dava alcun tratto. Allora, in cospetto dello
storpio trucidato, uno sbigottimento pazzo invase l’animo del fratello. 8
Due o tre volte, barcollando, egli attraversò la stanza che i guizzi della candela
empivano di paure; mise le mani su le coperte, le tirò a sé, ci si avvoltolò tutto,
coprendosi anche la testa; poi si accovacciò sotto il letto. E nel silenzio i suoi
denti stridevano, come una lima sul ferro.
Questo brano affronta molto vivamente il tema della discriminazione e
dell’emarginazione agli inizi del Novecento. Questo fa capire che i
comportamenti negativi nei confronti delle persone disabili non sono affatto
nulla di nuovo, ma venivano esercitati anche nel passato.
Le novelle della Pescara (1902) sono una antologia, fatta dall'autore stesso, dei
risultati più brillanti finora raggiunti, rivisti e corretti. Con modifiche di titoli e