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1. INTRODUZIONE
La poetica simbolista ha avuto un’influenza smisurata sulla genesi delle correnti
artistico - letterarie che ci hanno accompagnato nel corso del Novecento.
Il simbolismo nasce sostanzialmente da una precisa consapevolezza, e cioè dalla presa
di coscienza che la ragione non può risolvere tutti i problemi, né chiarire tutti i misteri.
Ciò che nel mondo e nell’uomo stesso è giudicato irrazionale, ciò che sfugge alla
nostra conoscenza o che è rimosso nel subconscio, si oppone alla tendenza naturale
dell’uomo all’armonia perfetta con il mondo.
Durante il XIX secolo, questo disaccordo dell’uomo con il mondo rimarrà latente in
tutte le arti, per poi esplodere, alla fine del secolo, in una grande crisi spirituale
chiamata dagli storici con il nome di Decadentismo. Il simbolismo rappresenta la
poetica di questa crisi, il disperato tentativo di ritrovare l’unità perduta con il mondo.
L’uomo non si deve limitare a registrare ciò che gli sta intorno, non può e non deve
rimanere freddo, imparziale: sarebbe un’offesa alla sua intelligenza e alla sua
superiorità. Il primo a gridare al mondo intero questa verità fu Charles Baudelaire,
“E’ l’immaginazione”, “che ha
geniale precursore dell’intero movimento. scrisse,
insegnato all’uomo il senso morale del colore, del contorno, del suono e del profumo.
[…] Tutto l’universo visibile non è che un magazzino d’immagini e di simboli ai quali
l’immaginazione darà un posto e un valore relativo. […]”.
I simbolisti hanno la convinzione che tutti gli elementi del mondo siano collegati tra di
loro: quello che stimoliamo in una sfera della vita troverà inesorabilmente risonanza in
tutte le altre sfere.
Nelle culture antiche il simbolo serviva a conoscere i grandi misteri della natura, nel
medioevo cristiano dirigeva il pensiero verso Dio, nel romanticismo esprimeva la
soggettività dell’artista; grazie ai simbolisti, il simbolo si identifica finalmente con
l’arte.
Se oggi si può affermare che l’arte non è fatta solamente per essere contemplata, ma
che deve penetrare all’interno delle nostre vite in tutte le sue forme divenendo una
manifestazione del bisogno di creare dell’uomo, lo dobbiamo al simbolismo, malgrado
il suo estetismo e il suo manierismo.
La funzione del simbolo, e cioè quella di far corrispondere immagini, suoni, parole e
colori tramite le associazioni e i ricordi, è indubbiamente la funzione propria della
musica.
La musica non è obbligata a scegliere fra più significati, come è in genere obbligata a
fare la parola, ma si presta a molteplici interpretazioni, tutte ugualmente vere, fra le
quali noi stessi scegliamo in base al nostro stato d’animo. E’ un’esplosione di
significati, di idee, di pensieri, di sentimenti, ed è questo il motivo per il quale ci
coinvolge e ci tocca così tanto.
Debussy fu forse il compositore che più di tutti acquisì questa consapevolezza. Egli
pensava che la musica non fosse fatta per la carta rigata ma per quell’organo
chiamato orecchio; e troppe volte nella storia questo fu dimenticato. Non si tratta di un
fenomeno grafico ma di una reale percezione sonora, e chiede quindi di essere
ascoltata, non di essere letta. 2
Nelle sue opere percepiamo per la prima volta un movimento incessante di particelle
sonore che fa sì che accada sempre qualcosa: un sentimento che vive, muore e
risuscita incessantemente.
2. IL SIMBOLO NELL’ARTE
Uno dei mezzi principali di cui l’artista si serve per toccare la nostra sensibilità è il
simbolo. Ma che cos’è il simbolo?
Nella storia sono state azzardate innumerevoli definizioni di questo termine,
soprattutto per distinguere il suo significato da quello di “allegoria”; gli stessi poeti,
infatti, non avevano sempre coscienza di tale differenza.
“L’allegoria trasforma il fenomeno in un concetto e il concetto in
Secondo Goethe,
un’immagine, ma in modo che il concetto nell’immagine sia da considerare sempre
circoscritto e completo nell’immagine e debba essere dato ad esprimersi attraverso di
essa. Il simbolismo trasforma il fenomeno in idea, l’idea in un’immagine, in tal modo
che l’idea nell’immagine rimanga sempre infinitamente efficace e inaccessibile e,
anche se pronunciata in tutte le lingue, resti tuttavia inesprimibile. Vero simbolismo è
quello in cui l’elemento particolare rappresenta quello più generale non come sogno
od ombra ma come rivelazione viva ed istantanea dell’imperscrutabile.”
Il simbolo, quindi, trasmette un senso impreciso che ammette diverse interpretazioni,
e la trasposizione del senso ha in esso carattere dinamico. E’ ambiguo: al contrario
delle allegorie non rappresenta niente di concreto, non esprime nulla, ma ci rende solo
presente l’esistenza di una realtà lontana superiore alla nostra.
Nell’arte il simbolo è quindi un “veicolo del senso”, che differisce dall’analogia perché
è spontaneo e perché l’artista interviene sia tra fenomeni a lui esterni, sia tra il mondo
esterno e la propria esperienza (è un’analogia non convenzionale!).
“Il solo modo per esprimere un’emozione in forma artistica è quello di trovarle un
correlativo oggettivo, in altri termini, un insieme di oggetti, una serie di
avvenimenti che dovranno essere la formula di quella particolare emozione…”
(T.S.Eliot)
Non è un semplice segno espressivo, ma piuttosto un sistema dinamico di segni che
stimolano l’intelligenza e la sensibilità; il suo fascino è dato dalla polivalenza: permette
infatti interpretazioni diverse e tuttavia è lasciato all’interpretazione dello spettatore,
che è invitato ad un atteggiamento particolarmente attivo, se vuole che l’opera d’arte
gli confidi tutti i suoi segreti. 3
2.1. L’espressione e il
simbolo in musica
Un’opera musicale è per natura ambigua,
simbolica. Il compositore non agisce
mai in un vuoto sociale, ma le sue creazioni sono un insieme di esperienze che egli
vuole condividere con l’ascoltatore.
Compositore e ascoltatore sono profondamente legati:
- Dal rapporto che l’opera crea tra loro
- Da uno sfondo sociale e culturale comune di cui subiscono l’influsso (la società
nella quale entrambi si trovano a vivere)
Ciò che è davvero fondamentale capire è che un compositore in realtà non è mai libero
nella scelta dei suoi mezzi ma dipende dal sistema musicale della sua epoca. E in un
qualsiasi sistema musicale il suono diventa nota, simbolo statico governato, al pari
della poesia, da definite regole grammaticali e sintattiche.
La “musica in sé” non significa nulla di concreto, trasportabile in immagini e oggetti;
ogni spiegazione semantica della musica poggia su indicazioni del compositore (titoli,
note,…), su associazioni o su convenzioni.
La musica è veicolo di significati extramusicali solamente nel quadro di una cultura
definita: l’esperienza estetica è accresciuta notevolmente dal valore supplementare
del significato, ma è sbagliato darvi un’importanza esagerata, poiché se il valore di un
brano musicale fosse dato solamente da ciò che simboleggia, con lo scorrere del
tempo e il mutamento delle culture esso verrebbe inevitabilmente a cadere, mentre
questo, per fortuna, non accade.
Secondo Arnold Schering, “la storia della musica è un’arena in cui, senza sosta, certi
simboli nascono e altri muoiono”. Per i pitagorici la musica serviva a purificare le
anime (teoria dell’ethos della musica), e ciò si tramandò nel corso dell’intera civiltà
greca venendo ripreso addirittura fino al Medioevo cristiano. In generale, la coscienza
del suo valore descrittivo di oggetti reali e astratti era ben nota nei secoli, in maniera
anche superiore rispetto alle altre arti. Nietzsche affermava a ragione che in musica
l’intelligenza non potrà rappresentare la “volontà” (allusione a Schopenhauer) e la
“cosa in sé” (allusione a Kant), se non nel momento in cui l’intero ambito della vita
interiore si sarà aperto al simbolismo musicale.
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Nel 700 nasce la figura dell’ascoltatore borghese, non illuminato: la musica “colta” è
finalmente alla portata di tutti, ma autori del calibro di Bach, Mozart e Haydn sono su
un piano troppo elevato e non vengono capiti. Nasce così la critica musicale, il cui
compito è appunto quello di “spiegare” la musica. Con l’avvento del razionalismo
nasce l’idea che tutto possa essere espresso con concetti, ma questo è un assurdo se
applicato alla musica! Vengono addirittura fatti dei progetti per la creazione di regole
di simbolismo musicale, una sorta di tentativo di disciplinare l’arte da sempre più
sfuggente ed enigmatica al mondo.
Grazie alla critica, con il Romanticismo al borghese viene insegnato a decifrare questo
simbolismo, sminuendolo. L’artista si sente dunque minacciato, e comincia ad
utilizzare mezzi sempre più ricercati e enigmatici per mantenere saldo il suo ruolo di
vate, di intoccabile profeta. Al pari del poeta e del letterato, reagisce esteriorizzando
con arroganza le sue esperienze più intime; assistiamo dunque alla “teatralizzazione
della musica”: Richard Wagner, incarnazione perfetta di questa tendenza, attua una
messa in scena “totale” nella quale si mostra tutto, dell’arte come della vita. Questo
però conduce in breve tempo all’esibizionismo, ad un ispido e gonfiato
sentimentalismo romantico che porta alla trasformazione di banali problemi personali
privi di interesse in autentiche catastrofi universali.
La sonorità perde dunque la sua essenza simbolica, perché tutto, simboli compresi,
viene esteriorizzato e concettualizzato: il linguaggio musicale è invaso dai concetti,
diventa convenzionale e perde importanza venendo soppiantato dal “dramma” (che,
come verrà esplicitato in seguito, era per Wagner il fine ultimo di tutto). Con
l’esplosione del wagnerismo in Europa, sembra aprirsi una nuova aurora nella storia
della musica, ma ciò di cui quasi nessuno si rende conto è che questa aurora è in
realtà un crepuscolo: il trionfo dello psicologismo e dell’espressionismo in musica porta
alla creazione di un codice espressivo che non lascia spazio all’immaginazione, che si
riconduce sempre agli stessi modelli (i cosiddetti “Leitmotive”) impoverendosi
notevolmente: ciò pregiudicherà le sorti della musica per centinaia di anni.
Claude Debussy è uno dei pochi ad avvertire il logoramento del sistema musicale e la
perdita del valore simbolico del linguaggio: egli inaugura un simbolismo nuovo, mai
udito in precedenza, non dirige i suoni ma li raccoglie naturalmente e in maniera
cristallina, spontanea. Non sottomette, come Wagner, la musica ai colori e alle parole
ma al contrario crede che la superiorità della musica sulle altre arti stia proprio nella
sua ambiguità, nella sua polivalenza.
L’attenzione dei musicologi del tempo si concentrò solamente sulla tecnica
compositiva di Debussy, ma ciò è estremamente riduttivo e non coglie il senso
profondo del suo messaggio. Da qui la scomoda (e da lui stesso ampiamente
contestata) etichetta di “impressionista”, con la quale venne universalmente bollato
per tantissimo tempo. In realtà ciò che lo lega al movimento pittorico è solamente
l’intento di cogliere gli attimi in fuga, le sensazioni istantanee, ma la grande differenza
è che ciò non si esprime in lui in maniera descrittiva, come avviene negli
impressionisti, ma palesemente simbolica.
Tra i critici, gli inglesi furono i primi a scorgere i legami che univano Debussy al
simbolismo; d’altra parte non si può non accusare i critici del tempo di miopia, dato
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che egli stesso non nascose mai la sua propensione per gli ambienti simbolisti e per
quel tipo di visione globale: per capirlo basta solamente sfiorare le sue vicende
biografiche, leggere i suoi scritti e la sua corrispondenza e annotare le sue amicizie e
le sue frequentazioni.
3. DEBUSSY E IL SIMBOLISMO
3.1. Il wagnerismo in Francia
All’epoca del simbolismo, pittori e poeti innalzano la musica alla dignità di arte
organizzatrice dell’immaginazione. Vogliono creare a modello della musica, unica via