Adattamento in natura e nella società
1. Introduzione all’importanza delle capacità adattive nella lotta per la vita
2. Il positivismo evoluzionistico
3. I vinti della nuova realtà sociale visti dalla letteratura
4. Interpretazione degenerata del concetto di selezione naturale
Introduzione all’importanza delle capacità adattive nella lotta per la vita
La vita è un equilibrio attivo tra l’organismo vivente e l’ambiente che lo circonda, equilibrio che può essere mantenuto soltanto se l’ambiente conviene a quel particolare animale che si dice “adatto” ad esso. Se un animale viene posto in un ambiente che differisce troppo da quello a cui è adatto, l’equilibrio si altera; un pesce fuori dall’acqua muore.
La maggior parte dei biologi studia questo equilibrio tra organismo ed ambiente e lo studio dell’evoluzione si interessa del modo con cui, durante la lunga storia della vita sulla terra, differenti animali e piante sono divenuti adatti a condizioni diverse.
Per esempio quando si osserva che molti tipi di piante desertiche hanno le foglie succose, è naturale pensare ad una funzione adattativa e concludere che esse immagazzinino acqua durante le piogge per resistere poi nei periodi di siccità. Gli animali che vivono nelle regioni artiche, dove il terreno è ricoperto di neve, sono meno visibili se sono bianchi, e molti di essi infatti lo sono.
Dunque è stato dimostrato che animali con più capacità di adattamento hanno realmente maggiori probabilità di sopravvivenza in un particolare ambiente.
Il positivismo evoluzionistico
Nel XIX secolo, Lamarck, Darwin e altri cercarono di spiegare l’origine della specie, proprio usando come tramite lo studio del fenomeno dell’adattamento, e formularono teorie su come si fosse svolta l’evoluzione. In Europa si stava sviluppando un dibattito che avrebbe mutato profondamente non solo la storia della scienza, ma la stessa visione del mondo: l’evoluzionismo.
Inizialmente erano accettate le tesi di Geoges-Louis Leclerc, sostenitore del “fissismo” (teoria biologica che sostiene che le specie non si modifichino mai nel tempo). Lamarck espose invece la dottrina del “trasformismo”, secondo la quale se un organismo sottoposto agli influssi dell’ambiente, sforzava un particolare organo, esso si sarebbe adattato agli scopi per cui veniva utilizzato: l’esempio classico è quello del lungo collo della giraffa, che serve a brucare le foglie sui rami più alti degli alberi. Lamarck riteneva che queste caratteristiche venissero poi trasmesse “ereditariamente” ai discendenti. Cuvier negò in maniera decisa la tesi di Lamarck. Sviluppò, al contrario, una teoria detta “catastrofismo” (teoria geologica secondo la quale periodicamente il mondo è attraversato da catastrofi lente e violente; essa viene utilizzata per spiegare il ritrovamento dei fossili e affiancata al fissismo). La teoria di Cuvier ricevette un primo grave colpo quando, nel 1833, il geologo inglese Charles Lyell dimostrò che le cause della formazione delle montagne e delle altre conformazioni geologiche non erano da ricercarsi in cataclismi, ma nell’effetto lento e costante di forze come l’erosione del vento o l’azione dei fulmini o delle piogge.
Il testo di Lyell fu una delle principali fonti dell’opera di Charles Darwin, L’origine della specie (1859), che scardinò il creazionismo (il quale trovava un fondamento nella religione) ed il fissismo (le cui origini si possono far risalire a Platone). La sua teoria si basa su tre principi:
• Gli esseri viventi si riproducono aumentando in progressione geometrica (2,4,8…) come Malthus aveva sostenuto; proprio per questo le risorse disponibili nell’ambiente potrebbero non essere sufficienti per tutti i membri della specie. Ciò dà origine alla lotta per la sopravvivenza;
• All’interno della stessa specie i caratteri sono variabili;
• La selezione naturale avviene attraverso la riproduzione.
Egli afferma che ogni essere nel quale siano comparse, seppure in modo casuale, variazioni genetiche favorevoli, cioè adatte all’ambiente, ha più probabilità di essere naturalmente selezionato e di perseverare nell’esistenza.
Durante il suo viaggio nella Terra del Fuoco (America del Sud) Darwin fu colpito dai comportamenti particolarmente "selvaggi" dei nativi Fuegini, molto diversi da quelli dei tre sudamericani che erano a bordo con lui sul brigantino Beagle, già "civilizzati" durante gli anni trascorsi in Inghilterra. Lo studioso descrisse l'incontro con gli indigeni come «...lo spettacolo più curioso al quale ha mai assistito». La differenza tra l'uomo civilizzato e quello selvaggio «...è maggiore di quella tra gli animali addomesticati e quelli selvatici, grazie alla maggior capacità di miglioramento dell'uomo». Perciò la civilizzazione di un uomo non dipende dai suoi tratti somatici e dalle sue caratteristiche fisiche, ma dalla società in cui è cresciuto.
I vinti della nuova realtà sociale visti dalla letteratura
Anche nella letteratura dell’epoca cresce l’interesse verso l'adattamento, visto però in ambito sociale .
Durante i cambiamenti, secondo la realistica concezione darwiniana, solo gli esseri più attrezzati sopravvivono, e questo è il tema centrale della poetica verghiana , che analizza il microambiente culturale dei paesini di pescatori in Sicilia.
Giovanni Verga Vita dei campi, G. Verga
Egli, scrivendo la raccolta di novelle “Vita dei campi”, mette in evidenza la distanza e l’incomunicabilità fra il mondo borghese cittadino e la vita dei pescatori. In una delle novelle, “Fantasticheria”, la comunità dei pescatori che non riesce ad adattarsi ai cambiamenti si paragona all’immagine dell’ostrica , che non ha altra scelta se non rimanere attaccata al proprio scoglio. La rappresentazione della loro sconfitta è centrale anche ne “I malavoglia” (1881) , il primo romanzo del Ciclo dei vinti , ciclo di cinque romanzi rimasto incompleto , che studia gli effetti prodotti sui singoli e sulle comunità dal desiderio di progresso. I vinti , protagonisti della narrazione , sono vinti dalla storia e dal distruttivo desiderio di “progresso” e miglioramento economico-sociale. Questo romanzo narra infatti le vicende dei Malavoglia, famiglia di pescatori di Aci Trezza che ha sempre vissuto seguendo le tradizioni e che rimane travolta dall’avvento del progresso. Infatti il giovane ‘Ntoni, quando torna dalla leva obbligatoria, non è più lo stesso perché dopo aver conosciuto la vita cittadina , si sente soffocare nel proprio paese. Egli non è più laborioso come prima e non rappresenta più un punto fermo per la famiglia.
Italo Svevo Una vita, I. Svevo
Il giovane ‘Ntoni ha delle affinità con Alfonso Nitti , protagonista del romanzo di Svevo “Una vita” (1898). Nitti è un inetto che nel suo trasferirsi dalla campagna alla società borghese subisce il peso di un disagio sociale che lo porterà ad essere stritolato dai meccanismi del progresso. Per Svevo infatti l’inetto è colui che è inadatto ad affrontare la vita, un sognatore incapace di affrontare la realtà: ora è Alfonso Nitti in “Una vita”, poi Emilio Brentani in “Senilità” e infine Zeno Corsini nella “Coscienza di Zeno”. Tra i nuclei fondamentali in grado di influenzare la visione sveviana dell’esistenza e dell’uomo possiamo individuare la teoria evoluzionistica di Darwin: l’idea di una società in cui vige la lotta per l’esistenza, nella quale il più forte prevale, torna con frequenza nelle opere dello scrittore triestino. Ma l’originalità di Svevo consiste nell’avere fatto dell’individuo “non adatto” non solo il protagonista dei suoi romanzi (come anche i veristi avevano fatto), ma anche il punto di osservazione del mondo e della vita.
Thomas Hardy Tess of the d’Urbervilles
Il disagio del mondo arcaico contadino, dovuto alla recente industrializzazione, viene dipinto anche da Hardy in “Tess of the d’Urbervilles” (1891), la cui famiglia protagonista sacrifica dignità e valori morali per inseguire i nuovi miti del successo e del denaro, finendo per perdere ogni cosa. Nella sua opera è quindi presente la natura crudele co-protagonista nella vita degli uomini,coerentemente alla teoria evoluzionistica di Darwin, per cui la vita umana si rivela un processo sul quale l’uomo non ha alcun potere.
Interpretazione degenerata del concetto di selezione naturale
Nel clima culturale di questo periodo, la dottrina darwiniana ebbe un’influenza enorme in ogni campo di studi, esercitando un peso notevole anche nelle scienze sociali, dando origine a quel pensiero sociologico che si definisce appunto “darwinismo sociale”. L’inglese Spencer, per esempio, sostiene che ogni intervento umano, come le riforme in favore dei più poveri e la filantropia, non solo sia inutile, ma sia addirittura dannoso, perché non fa altro che rallentare l’evoluzione del genere umano. Spencer interpreta la teoria di Darwin vedendo negli strati più poveri della popolazione gli elementi meno evoluti e adatti all’ambiente; aiutarli significa andare contro una legge di natura: è Spencer a coniare l’espressione “survival of the fittest” , che significa “la sopravvivenza del più adatto”, ma che venne tradotta in italiano come “sopravvivenza del più forte” e interpretato come il diritto alla sopraffazione implicito nella teoria di Darwin. Nelle intenzioni di Darwin “più adatto” non significava necessariamente “migliore”, come invece la concezione di Spencer implicava. Ciò costituì un problema per la diffusione e l’interpretazione dell’evoluzionismo: nel XX secolo questa teoria venne strumentalizzata e applicata nei rapporti tra le nazioni, utilizzata come giustificazione del desiderio di predominio di una razza, considerata più forte e progredita, sulle altre (colonialismo, xenofobia …).
La visione distorta del Darwinismo sociale è stata quindi usata come un’arma, abbellita da una parvenza di scientificità, giungendo a contrapporsi radicalmente al pensiero di Darwin che considerava, invece, l’idea dell’esistenza di razze superiori le une alle altre incompatibile con il concetto di evoluzione. Nella sua teoria, infatti, le differenze tra le popolazioni nel mondo sono soltanto il risultato dei cambiamenti fisici e attitudinali dettati dall’adattamento, non dimenticando che tutti gli uomini hanno “origine dalla scimmia”.
Conclusione:
Al giorno d’oggi gli immigrati del Terzo Mondo, come i “vinti” del Verga, lasciano il loro “scoglio” (la famiglia) e si avventurano verso l’incognita e come i personaggi dei Malavoglia, vivono le stesse situazioni drammatiche.
Oggi possono essere considerati “vinti” anche molti anziani, tagliati fuori dal progresso tecnologico, e le numerosissime attività locali e tradizionali, che vengono “schiacciate” dalle multinazionali e dalla globalizzazione.
Bibliografia:
• Filosofia sapere di non sapere, dalle filosofie posthegeliane al neoidealismo, di Armando Massarenti e Emiliano Di Marco
• Rosa fresca aulentissima, dal naturalismo al primo novecento, di Corrado Bologna, Paola Rocchi
• The Prose and the Passion, from the Origins to the Twentieth Century, di Marina Spiazzi e Marina Tavella
• La teoria dell’evoluzione , di John Maynard Smith
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