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La donna : creatura fisicamente debole o forte? Intelligente quanto o meno dell’uomo?
Capace di scelte autonome o bisognosa del costante appoggio maschile? Angelo del paradiso
o demoniaca tentatrice?
Dolce e innocente o perversa e ingannatrice?
Questo è il quesito che emerge negli autori di ogni tempo e di ogni cultura.
Il lavoro vuole ripercorrere nel tempo le fasi che avrebbero dovuto condurre
all’emancipazione femminile.
IL XIX SECOLO: L’ETÁ DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE
Nella prima metà dell’800 si assiste in Europa allo sviluppo rapidissimo di due
fenomeni: l’urbanizzazione e l’industrializzazione. I rivolgimenti che questi determinarono
nei vari ambiti incisero sulla vita di uomini e donne dell’epoca, determinando rivoluzioni
sul piano demografico, agrario, commerciale, tecnologico. Questo processo di sviluppo
venne inaugurato alla fine del ‘700 da due eventi di enorme importanza: la rivoluzione
francese e quella americana, alla cui base era la rivendicazione di libertà, uguaglianza e
proprietà. Anche le donne contribuirono attivamente alla Rivoluzione Francese e alla
proclamazione degli ideali d’uguaglianza e libertà.
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In Inghilterra nel 1792 Mary Wollstonecraf
denuncia nel suo saggio “Rivendicazione dei diritti
delle donne” che la condizione di inferiorità
femminile è un concetto artificiale, imposto alla
donna da una cultura di tipo patriarcale. L’opera
reclamava il diritto femminile all’educazione, al
lavoro e alla vita pubblica.
La Rivoluzione industriale diede origine ad alcuni
importati mutamenti, che influirono sulla condizione
della donna e che si fecero particolarmente evidenti
nella seconda metà del XX secolo. Con la
meccanizzazione del settore tessile le donne
costituirono la principale manodopera delle fabbriche
e la figura della filatrice e tessitrice domestica fu
sostituita da quella dell’operaia. Infatti grazie al
perfezionamento dei macchinari, gli imprenditori
trovarono più conveniente assumere donne e
bambini, dato che il loro salario era inferiore a quello
degli uomini e potevano essere sfruttate più
facilmente.
L’800 fu però il secolo che vide l’exploit del servizio domestico, a causa del
consolidamento della società borghese e dello sviluppo delle città. Le donne in particolare
ricoprivano numerosi ruoli: nutrice, cameriera, bambinaia, cuoca, istitutrice… Un altro
fenomeno correlato allo sviluppo dei centri urbani fu la prostituzione che dilagò in tutte
le città europee dove l’industrializzazione era massiccia. Non di rado le prostitute erano
giovani operaie che non riuscivano a vivere del loro misero salario.
Per quanto riguarda la situazione delle donne della classe media e della borghesia,
l’unica occupazione era quella di accudire il marito e i figli. Secondo l’ideale femminile
borghese, infatti, la donna doveva essere sposa gentile e amorevole, angelo del focolare e
perfetta madre dei figli. In tal modo si diffuse l’idea di un’educazione nei confronti delle
donne: l’istruzione elementare poteva migliorare la posizione della donna come educatrice
della prole. Pertanto l’accesso femminile all’insegnamento primario non venne più
osteggiato.
IL XX SECOLO: LA DONNA E LA LOTTA PER I DIRITTI
Il XX secolo è stato definito su più fronti il secolo delle donne: che con la lotta per la
propria emancipazione hanno saputo rendersi protagoniste segnando profondamente il
corso della storia.
Con l’inizio del nuovo secolo la borghesia accrebbe il suo potere industriale e
finanziario a partire dalla seconda rivoluzione industriale. Si ricorre ad una
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razionalizzazione e meccanizzazione del lavoro, che toglie spazio alle maestranza più
qualificate e facilità l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro operaio.
Il primo inserimento di massa delle donne nel mondo lavoro si ebbe durante la
prima guerra mondiale tra il 1914 e il 1918. I primi mesi del conflitto furono segnati
dalla chiusura di molte fabbriche o officine per l’abbandono dei posti di lavoro da parte
degli uomini mobilitati al fronte. Col protrarsi della guerra i governi fecero appello alle
donne perché occupassero quei posti che erano stati prima degli uomini. Il fatto accelerò
l’integrazione femminile nella produzione agricola e industriale. Tuttavia alla fine della
guerra i governi fecero pressione sulle donne affinché lasciassero le attività e tornassero
alle loro mansioni naturali, la cura della famiglia e del focolare. Molte accolsero l’invito,
liete di liberarsi di una duplica fatica, prima in fabbrica e poi a casa; altri però, lottarono
per conservare le posizioni conquistate.
Il numero delle donne iscritte ai sindacati aumentò in modo considerevole, così
come la loro partecipazione alle riunioni e ai congressi operai.
Vennero inoltre costituite nuove associazioni sindacali specificamente femminili,
poiché in determinati settori i lavoratori persistevano nell’osteggiare l’inserimento delle
donne.
Solo in Gran Bretagna si ebbe un consistente movimento femminile che riuscì ad
imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente, concentrandosi
nell’agitazione per il diritto al suffragio e ricorrendo spesso a forme di protesta come
dimostrazioni di piazza, marce sul Parlamento, scioperi della fame. La lotta di queste
donne che presero il nome di “suffragette” nel 1918 avrebbe portato le donne al voto nel
Regno Unito; nel complesso però il movimento operaio non si mostrò troppo sensibile nei
confronti delle rivendicazioni femminile. Se si pensa d’altra parte che in Italia nel 1912
era stato appena garantito il solo suffragio universale maschile, è facile riflettere su quali
potessero essere le problematiche relative alla condizione femminile in Italia.
Il dopoguerra vide il riaffermarsi di ideologie maschiliste, militariste, intolleranti e
violente. Basti pensare all’esaltazione del futurismo, della guerra, dello schiaffo e del
pugno, e il suo dichiarato odio per il femminismo.
Anche il fascismo sostenne una legislazione che asserviva le donne agli uomini e che
ne limitata l’ingresso nel mondo del lavoro, e promosse un ampio numero di
organizzazioni femminili fasciste che avevano come obiettivo quello del controllo sulla
popolazione piuttosto che far partecipare le donne alla vita pubblica.
In occasione della seconda guerra mondiale i paesi europei fecero nuovamente
ricorso alla manodopera femminile: milioni di donne furono reclutate nell’industria, nei
servizi ausiliari, nella difesa civile.
La struttura interna del lavoro femminile conobbe grossi cambiamenti grazie al
diffondersi di una nuova concezione del lavoro stesso, visto ora come realtà necessaria
che dava dignità alla donna. Diminuì così sensibilmente il numero di donne impegnate
nel servizio domestico e come nutrici, e molte domestiche si avviarono al lavoro in
fabbrica.
La seconda guerra mondiale vide una ridefinizione della divisione dei lavori tra
uomini e donne. Le donne si orientarono verso quei settori riconosciuti socialmente
compatibile con la loro condizione e che riproducevano le caratteristiche del lavoro
domestico: tessile, confezioni, alimentari, insegnamento e così via. Tutto questo apportò
notevoli cambiamenti nella vita familiare.
La famiglia moderna aveva alla base della sua organizzazione il lavoro casalingo
della donna, non retribuito, inteso come occupazione naturale femminile. Inoltre, col
venir meno del servizio domestico e delle nutrici si consolidò la figura della sposa madre
idealizzata dai moralisti borghesi. La crescita e la cura della prole era una della
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responsabilità di esclusiva competenza delle donne che dovevano inoltre dedicarsi al
marito.
È nella metà del XIX secolo che ebbero inizio le prime battaglie per i diritti della
donna. I movimenti femminili avevano come principale obiettivo la rivendicazione
dell’uguaglianza delle donne di fronte alla legge e la possibilità di accedere al voto.
Nel 1848 si tenne a New York la prima convenzione sui diritti della donna, che
chiedeva parità di trattamento in diversi campi: matrimonio, lavoro salariato, proprietà e
custodia dei figli. Questi obiettivi non furono
raggiunti che molti anni più tardi.
Quanto ai diritti politici, lo stato dello
Wyoming fu il primo a concedere il voto alle donne
nel 1869 e nel 1920 questo verrà esteso a tutte le
donne statunitensi.
In Europa la lotta per perseguire questi diritti
cominciò solo nei primi anni del XX secolo. Tuttavia
vi erano stati alcuni precedenti da parte di alcune
personalità come il filosofo e politico John Stuart
Mill che perse il suo seggio parlamentare nel 1868
per aver sostenuto il suffragio femminile, e che
pubblicò un anno più tardi il saggio “La schiavitù
della donna” che costituirà la base teorica del
movimento suffragista. Questo si sviluppa in
Inghilterra a partire dal 1903 quanto Emmeline
Pankhurst creò “L’unione sociale e politica delle
donne” (WSPU) un’organizzazione specifica
femminile interna al partito laburista, finalizzata
alla conquista del diritto di voto. Il movimento fece
ricorso sia a mezzi pacifici e politici, sia alla lotta
violenta, arrivando persino allo scontro fisico con le
forze dell’ordine.
In occasione della prima guerra mondiale il movimento suffragista si scisse in due
correnti: riformista e socialista.
La battaglia delle suffragette continuò anche dopo la guerra e nel 1928 l’Inghilterra
concesse il diritto di voto a tutte le donne maggiorenni.
In altri paesi il voto fu concesso anteriormente: Finlandia (1906), Danimarca (1915),
Olanda (1917), Germania (1918), Spagna (1931), Francia (1945).
In Italia le lotte per l’emancipazione femminile furono guidate da figure come la
socialista Anna Maria Mozzoni e a Anna Kuliscioff. Anna Maria Mozzoni è stata una
figura di spicco del primo femminismo italiano, è stata un’infaticabile scrittrice e
polemista, denunciò molteplici forme di oppressione sulle donne: sul lavoro, nel diritto
civile e nella morale.
Nel 1919 le donne italiane ottennero l’emancipazione giuridica e nel 1923 il diritto di
voto alle amministrative, che non fu tuttavia applicato a causa della riforma fascista degli
enti; solo nel 1946, con la fine del fascismo, tale diritto fu finalmente applicato.
Dopo la seconda guerra mondiale, quanto pareva che il femminismo fosse ormai
scomparso, si ebbe una rivitalizzazione del movimento femminista come conseguenza
della crisi di valori della società borghese.
Il risorgimento femminista fu accompagnato dalla pubblicazione di numerosi scritti
teorici: “il secondo sesso” (1949) di Simone de Beauvoir analizzava le cause storiche che
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avevano reso la donna “ ” rispetto al mondo maschile e rivendicava la “differenza”
L’ALTRO
all’interno dell’uguaglianza tra soggetti liberi.
Il movimento femminista raggiunse il suo culmine a metà degli anni settanta.
Una delle prime rivendicazioni femministe riguardava l’istruzione migliore per le
donne: le femministe chiedevano l’apertura delle scuole superiori, università e delle
professioni alle donne.
Inoltre sul piano giuridico contestavano il diritto del marito di prendere le decisioni
sulla vita coniugale, chiedevano che la donna mantenesse la possibilità di amministrare
personalmente il proprio patrimonio; contestavano la legislazione punitiva nei confronti
delle madri nubili. Chiedevano leggi che regolamentassero la prostituzione,
rivendicavano un salario uguale a quello degli uomini.
Una delle richieste più osteggiate era quella della libertà di gestire il proprio corpo e
la propria sessualità, e ciò presupponeva la possibilità dell’uso di metodi contraccettivi
(tema sul quale la morale tradizionale e la chiesa cattolica mostravano accanite
resistenze).
Le lotte femministe sfidavano anche le convenzioni sui vestiti, in particolare l’uso di
busti e vesti, e acconciature complicate e scomode; molte femministe rivendicavano
anche il diritto delle donne di praticare liberamente lo sport. Gli anni ’80 sono stati
caratterizzati da una disgregazione del movimento femminista in molteplici gruppi e