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Sintesi
Estratto del documento

l’anticultura manifestata nell’elevazione ad unica arte di valore la tecnologia e la sua velocità, che

bene interpreta la rapida variabilità della società.

Sebbene le violente dichiarazioni perpetrate nei vari manifesti siano più provocazioni che volontà

pratiche, i futuristi si guadagnano ben presto l’antipatia generale. Le “serate futuriste”, a metà fra il

teatro e il cabaret, finiscono regolarmente in risse e insulti fra pubblico e attori.

Seppur composto da artisti quali Giacomo Balla e Umberto Boccioni, il movimento è giostrato e

tenuto in piedi quasi totalmente da Filippo Tommaso Marinetti.

Egli, nato ad Alessandria D’Egitto, fu scrittore, poeta,

drammaturgo ed editore.

L’amore per la letteratura emerse precocemente in lui e

all’età di 17 anni aveva già fondato la sua prima rivista

scolastica, dal titolo “Papyrus”.

Minacciato di espulsione per aver introdotto nella scuola,

gesuita, le scandalose opere di Émile Zola, fu mandato a

completare gli studi in Francia, nella città di Parigi.

Infine, trasferitosi in Italia accompagnato dal fratello

Leone, si iscrisse alla facoltà di legge di Pavia.

Tempo dopo, subì un trauma che lo segnò per tutta la vita:

la morte prematura del fratello.

Scosso dagli avvenimenti, abbandonò la giurisprudenza G.Balla – “Dinamismo di un cane

al guinzaglio”, 1912

(una volta conseguita la laurea) per dedicarsi alla sua

vocazione di sempre: la letteratura.

Nel 1902 affrontò un altro dramma familiare, la morte della madre Amalia Grolli, da sempre sua

sostenitrice.

Da allora iniziò un’incessante sperimentazione, i cui frutti furono notati soprattutto in Francia e,

nelle prime poesie, risentono molto dell’estetismo di Gabriele D’Annunzio.

I due autori italiani erano visti come rivali, soprattutto in Francia, anche se la fama di D’Annunzio

oscurò facilmente quella del giovane Marinetti, che anzi lo elogia in diversi scritti.

La fondamentale differenza fra i due autori è il gusto dell’orrido e del grottesco che

contraddistingue l’opera di Marinetti.

La vera svolta però avviene in modo fortuito: nel 1908, Marinetti viene ripescato da un fosso nel

quale era caduto a bordo della sua automobile per un banale incidente. Con l’intenzione di evitare

due ciclisti, egli, amante della velocità, era uscito di strada.

Con la sua delirante fantasia riuscì a trasfigurare l’episodio nel “Manifesto del Futurismo”,

pubblicato nel febbraio dell’anno successivo su “Le Figaro”, pare, grazie a un amico egiziano del

padre, azionista della prestigiosa rivista.

Con il futurismo, Marinetti si estranea totalmente dalle precedenti esperienze liberty e decadentiste,

per tuffarsi in un movimento di furiosa negazione.

Egli si interessò al cinema, nuovo simbolo della modernità, dichiarando nel “Manifesto del cinema

futurista“come:

“Il cinematografo futurista collaborerà così al rinnovamento generale sostituendo la rivista

(sempre pedantesca), il dramma (sempre previsto) e uccidendo il libro (sempre tedioso e

opprimente)” ².

Tuttavia, inizialmente il futurismo cercò di “resistere” al nuovo mezzo comunicativo, attraverso il

suo particolare teatro sintetico. Dal cinema piuttosto, carpivano idee per i propri spettacoli, come

per la sceneggiatura di “Le mani”, scritta da Marinetti e suggerita dall’ambiguo film “Amor

pedestre” , 1914, di Marcel Fabre, cortometraggio in cui gli attori sono inquadrati esclusivamente

dalle ginocchia in giù.

Ad ogni modo l’approccio pratico all’arte cinematografica sarà di breve durata a causa soprattutto

della spesa economica derivante dalla realizzazione di ogni singolo film.

Esempio più eclatante del cinema futurista è “Vita futurista” del 1916.

Il film è composto sostanzialmente da brevi sequenze ciascuna dedicata ad uno speciale problema

psicologico ed avvenirista, ognuno introdotto da un noto

futurista, da Marinetti, a Corra.

Produttore, regista e operatore del film fu Arnoldo Ginna

che riuscì a completare l’opera non con poche difficoltà, sia

per il compito in sé all’epoca pazzesco, sia per il

comportamento indisciplinato dei futuristi, che difficilmente

si prestavano al rispetto degli orari di lavoro.

Le sequenze narravano semplicemente le attività quotidiane,

svolte in chiave futurista, a costituire un ulteriore manifesto.

Alla prima del film, svoltasi a Roma, l’irruente anti-

pubblico solito bazzicare alle serate futuriste era presente e,

ricorda lo stesso Ginna ³, vennero lanciati pomodori e scarpe

contro lo schermo, tanto da sfondarlo.

Il futurismo, insieme al dadaismo, è di vitale importanza

per il cinema perché inaugura il progressivo abbattimento

delle inibizioni, degli schemi filmici, estetizzando anche gli

“Vita Futurista”,A. Ginna aspetti più scomodi gettando le basi con la sua “scrittura

automatica”, per tutta la cinematografia underground e

soprattutto surrealista.

Mentre l’Europa era dilaniata dalla Prima Guerra mondiale, l’arte reagisce a suo modo. I futuristi la

esaltano in uno slancio autodistruttivo, i dadaisti la negano come negano la civiltà tutta poiché ha

prodotto tale devastazione, i surrealisti fuggono la realtà, riparandosi nei sogni, a volte più crudi

della guerra stessa, ma privi di conseguenze.

¹ Da “Manifesto del Futurismo”, F.T.Marinetti, 1909

² Da “Il manifesto del cinema futurista” sottoscritto da F.T.Marinetti, B.Corra, E.Settimelli,

A.Ginna, G.Balla e R.Chiti, Milano, 11 settembre 1916.

³ Dal sito web “Rocco Biondi personal site”

http://www.roccobiondi.it/Avanguardia_storica.htm#CINEMA%20FUTURISTA

Il Surrealismo e il cinema: realizzare un film “interno”

La parola “surrealista” apparve per la prima volta nel 1917, quando Guillaume Apollinaire, poeta

francese e grande sostenitore delle Avanguardie artistiche, ideò un’opera teatrale burlesca, dal titolo

“Les Mamelles de Tirésias”, definendola un “dramma surrealista”.

Il movimento ad ogni modo ha il suo atto di nascita nel ”Manifesto Surrealista“ del 1924, scritto

da André Breton.

A stimolare la nascita del surrealismo furono soprattutto le precedenti esperienze dadaiste, delle

quali questa nuova avanguardia condivideva l’anticonformismo, la sfiducia nel razionalismo e

soprattutto l’odio per la borghesia, rea di non aver impedito le atrocità della guerra.

I surrealisti, affascinati dagli studi di Freud, il quale aveva pubblicato nel 1899 “L’interpretazione

dei sogni”, scelgono di esplorare il mondo onirico, unica vera forma di evasione da quel mondo

agonizzante.

Obiettivo massimo dell’arte surrealista è la conquista della “surrealtà”, ossia una perfetta fusione

fra i due momenti essenziali dell’esistenza: quello della veglia e quello del sogno.

Per farlo, bisogna abbandonarsi letteralmente in un “automatismo psichico” che riesca a far

penetrare, anche se per poco, il subcosciente nel cosciente, in modo che con lucidità si possa poi

fissare l’esperienza vissuta. In sostanza, come afferma Dalì, “Il surrealismo è la fotografia del

sogno”. ¹

Trascendendo quindi ogni legame con la realtà, tale avanguardia è potenzialmente eterna ed

inesauribile.

Il gruppo storico dei surrealisti era composto, oltre che da Breton, anche da Magritte, Dalì, Ernst,

Mirò e successivamente Man Ray. Essi si rivelarono fortemente attratti dal cinema poiché i film

sembravano sogni plasmati su schermo. Il film “esterno” aveva quindi tutte le potenzialità, ben

oltre la pittura, di rappresentare quello che veniva definito

film “interno”, ossia il sogno.

Nell’entusiasmo iniziale, testimoniato da Breton quando

dichiarò che“l’essenza del cinema è surrealista” ¹,

ignorarono le difficoltà reali del loro intento.

E’ evidente come i surrealisti avessero una visione

idealizzata del cinema. La loro necessità di automatismo

psichico, si scontrava con la lentezza della produzione

necessaria alla realizzazione di un film. Pertanto la vera

poetica surrealista potrebbe esistere soltanto in fase di

sceneggiatura.

Ad ogni modo il Surrealismo, fra le avanguardie, è il

“Le retour a la raison”, Man Ray movimento che più si lega al cinema, spesso

contaminandolo.

Se infatti il vero e proprio cinema surrealista esaurisce in breve tempo, attraverso film come “Un

chien Andalou” e “L'âge d'or” di Buñuel ed altri filmati ad opera di Duchamp (“Anemic Cinema”,

1929) e Man Ray (“Le retour a la raison”, 1923), in bilico fra dada e surrealismo, il cinema con

elementi surrealisti non ha mai smesso di esistere.

¹ Da “Le avanguardie storiche del cinema” Mario Verdone, pp. 42 - 44, 1975, SEI

Il rapporto del Surrealismo con la violenza e il suo manifesto: Un chien Andalou

Considerato come vero e proprio Manifesto del

cinema surrealista, il visionario cortometraggio “Un

chien andalou”, rappresenta un documento storico

importantissimo.

Girato nel 1929 da Luis Buñuel, affiancato da

Salvador Dalì, passò alla storia soprattutto per la

scena iniziale, in cui un uomo seziona un occhio ad

una donna con un rasoio.

Inintelligibile ed enigmatico, ha in realtà una storia

molto meno seriosa di quanto si possa credere.

Tutto ebbe inizio quando Luis Buñuel, impressionato

da “Immaginazione senza freni e parole in libertà” di

Marinetti (1913), decise di adottare una simile

metodologia di scrittura, essendo letterario il suo

intento iniziale.

Nato in un piccolo paese dell’Aragona, si trasferisce a Parigi, dopo essersi laureato in lettere.

In quel periodo, attorno al 1927, scrisse una raccolta di prose dal titolo “Un perro andaluz”, ossia

“Un cane Andaluso”. Due anni più tardi, da una conversazione con Dalì, con il quale era entrato in

contatto tramite il gruppo dei surrealisti al quale si era avvicinato, decise di girare un film

riproponendo in esso i sogni delle notti precedenti che i due si stavano raccontando.

A quanto scritto da Buñuel in una lettera del 10 febbraio 1929, indirizzata allo scrittore Pepin Bello,

Dalì raccontò di aver sognato quella notte delle formiche che pullulavano nelle sue mani, mentre

Buñuel confessò di aver sognato di tagliare un occhio a qualcuno.

“Questo è il film. Facciamolo!” ¹,

esclamò Dalì. Ed in sei giorni il film, finanziato dalla madre di Buñuel, fu realizzato.

Dovendo quindi intitolare l’improvvisata opera, scelsero di riprendere il titolo dell’impresa

letteraria di Buñuel, traducendolo in francese,“Un chien andalou”.

Ricorda Buñuel :

“ Il titolo ci fece sbellicare dalle risa, Dalì e me, quando lo scegliemmo. Devo avvertire che non

appare un cane in tutto il film.” ¹.

Si tratta perciò di 15 minuti composti da scene quasi del tutto avulse fra loro, ma interpretate dai

medesimi personaggi e caratterizzate da un forte impatto visivo.

Nella prima sequenza, introdotta dalla scritta “C’era una volta..”, un uomo, lo stesso Buñuel, affila

un rasoio. Nella scena successiva vediamo il primo piano di una donna, al quale viso si avvicina una

mano che impugna il rasoio precedentemente affilato e lo usa per tagliare orizzontalmente il bulbo

oculare della ragazza.

Sullo schermo nero appare a confonderci la scritta “Otto anni dopo.”, alla quale segue la corsa in

bicicletta di un ambiguo soggetto, vestito con una sorta di mantellina bianca e con una scatola di

legno appesa al collo. Colpo di scena, l’ inquadratura successiva presenta l’interno di una casa nella

quale abita la ragazza alla quale era stato tagliato l’occhio, del tutto illesa, che avverte come

telepaticamente l’arrivo dell’uomo in bici. Quando si affaccia alla finestra per vederlo arrivare, egli

cade rovinosamente a terra. La donna perciò scende in strada per soccorrerlo e, una volta

accompagnato il ragazzo nel suo appartamento, apre la scatola di legno che portava al collo, la

quale contiene una cravatta che viene disposta sul letto insieme alle strane mantelline da lui

indossate.

L’uomo e la donna saranno i protagonisti di tutte le scene seguenti, una più delirante dell’altra.

In una di queste l’uomo osserva la propria mano, dalla quale improvvisamente escono numerose

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