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Sintesi
Arte: Guido Reni (La strage degli innocenti); Pablo Picasso (Guernica); Frank Miller (Sin City)

Letteratura: il Decadentismo; Octave Mirbeau (Il giardino dei supplizi); Mo Yan (Il supplizio del legno di sandalo)

Latino: Seneca

Inglese: Anthony Burgess; Arancia Meccanica
Estratto del documento

4

Uninesity, Film Studies) “fermandosi coraggiosamente alla superficie, alla forma, adorando

l’apparenza, credendo nei toni, nelle parole, nell’intero Olimpo dell’apparenza” (citando

“La gaia scienza” di Nietzsche, quarta prefazione) senza giudicarne i contenuti ma

semplicemente la forma.“Arte e violenza si fondono in un indimenticabile esperienza

estetica”: questa critica di Xavier Morales (tratta da un suo articolo sull’ “Harvard Law

Record” del 29-09-2003) riguardo il primo capitolo della saga della Sposa, ci permette di

capire la costruzione, impastata nel sangue e nell’acciaio, portata a termine da Tarantino.

I movimenti degli attori sono perfettamente misurati, i combattimenti come antiche

cerimonie solenni, i dialoghi (in cui spesso i silenzi sono più significativi delle parole) dei

veri e propri riti di iniziazione a ciò che sta per accadere. Gli arti mozzati, le gocce di

sangue, il rumore delle lame si fondono tra loro in sinfonie scritte su spartiti di seta; la

violenza, che si imprime come fuoco sulla pellicola, in un climax che porta alla catarsi

(ossia al compimento della vendetta della sposa), diventa forma di arte autonoma,

svincolata dai giudizi morali e che va oltre ai comuni canoni di bellezza. Le motivazioni

della violenza in questo film non hanno “spessore o risonanza psicologica” (Roger Ebert,

da “Movie Yearbook 2006), rendendola ancora più pura, slegata da contesti emotivi e

passibile di giudizi estetici. Joel Black, docente delle Georgia University, affermò nel 1991:

«Se l'omicidio può essere una forma d'arte, allora l'omicida è una sorta di artista - o un

anti-artista - la cui arte si manifesta quale “performance” e la cui specificità non consiste

nel “creare”, ma nel “distruggere”». Secondo questa teoria, può essere considerato come

soggetto puramente estetico anche il vero e proprio atto violento; a mio parere, al

contrario, affinché violenza ed omicidio possano elevarsi a forme d’arte, bisogna che si

realizzino su adeguati supporti, come la tela per la pittura o lo strumento per la musica. A

conclusione di questa mia ricerca di una possibilità di un’ estetica della violenza, ho

individuato nella cinematografia e nelle arti figurative i due supporti su cui la violenza può

realizzarsi più facilmente come esperienza estetica. Come si può notare, sono tutte forme

d’arte supportate da immagini, immagini fondamentali per mediare la partecipazione

emotiva all’evento descritto: dando una forma grafica alla violenza essa può essere vissuta

con il distacco emotivo (creato dal supporto fisico che sottintende la finzione della stessa)

necessario per vivere l’esperienza estetica ed estrema della violenza (a mio parere la

letteratura è meno adatta creare immagini di violenza estetica, proprio perché il lettore,

che non viene guidato da immagini (grafiche) che richiamano chiaramente ad un contesto

slegato dalla realtà, è portato a partecipare emotivamente a ciò che legge, provando

immancabilmente degli stati d’animo legati alla violenza che non ne permettono un’

analisi slegata da concetti morali; ma questa riflessione verrà approfondita nella sezione

3).

Riflettendo in questo modo sono giunto alla mia prima conclusione personale: la violenza

diventa arte quando è finzione.

A mio parere, infatti, la violenza vissuta direttamente o per esperienza di terzi, è

inscindibile dalla sua componente emotiva e quindi difficilmente apprezzabile come

esperienza estetica (questa conclusione è in aperto disaccordo con il pensiero di Sade, che

vede nella realizzazione fisica della violenza la sua realizzazione artistica, e non nella sua

messa in scena su adeguato supporto come ipotizzato prima).

-Passiamo ora, con un salto a ritroso nel tempo, a studiare i primi lavori di Quentin

Tarantino. Seguono le trame dei film e l’analisi riguardante l’uso della violenza in questi.

Le Iene

Titolo: Le iene (Reservoir Dogs)

Anno: 1992

Trama: Sei gangster, che non si conoscono nemmeno a vicenda, in seguito ad

una rapina fallita in una gioielleria a Los Angeles, tentano di capire come il colpo

possa essersi trasformato in una trappola. Due di loro sono rimasti uccisi (Mr.

Blue e Mr. Brown) e un terzo (Mr. Orange) è ferito gravemente. I quattro

superstiti si ritrovano in un deposito abbandonato dove capiscono che uno di 5

loro è una spia. Il deposito è il teatro principale dell'azione, che è frantumata temporalmente

similmente a Pulp Fiction. Proprio nel magazzino si svolge la famosa scena in cui Michael

Madsen tortura un poliziotto e infine si arriva, tramite un triello dai forti accenti western, alla

conclusione della vicenda: la polizia invade il magazzino e le iene scoprono chi di loro era la

spia.

Il film, alla sua uscita, venne bollato come “eccessivamente violento” ma in seguito se ne

riconobbe il valore, sia artistico (innovazioni cinematografiche) che dei contenuti, legati ai temi

profondi e trattati senza cadere nel banale dell’amicizia e della fiducia.

I personaggi usano dei colori come nomi in codice: Mr White è Harvey Keitel; Mr Orange (la

spia) è Tim Roth; Mr Pink è Steve Buscami; Mr Blonde è Michael Madsen; Mr Brown è Tarantino

stesso ed infine Mr Blue è Edward Bunker.

Pulp Fiction

Titolo: Pulp Fiction

Anno: 1994

Trama: La vicenda è presentata nel film con una cronologia sfasata: le scene che

lo spettatore osserva non rispettano infatti un andamento lineare del tempo e

spesso più vicende separate si incontrano tra loro. Quattro storie di Gangster

s'intersecano in una struttura apparentemente circolare che va avanti e indietro

nel tempo: le vicende sono: 1) due delinquenti (Tim Roth & Amanda Plummer), si

accingono a fare una rapina in una tavola calda; 2) due sicari (John Travolta &

Samuel L Jackson) recuperano una valigetta preziosa, poi devono ripulire la loro

auto, insozzata dal sangue di un uomo ucciso per errore, con l'aiuto di Mr. Wolf ),

per poi andare a mangiare alla tavola calda della rapina; 3) uno dei due sicari

(John Travolta), deve portare a ballare Mia (Uma Thurman), la moglie del suo

capo, ma dopo la cena lei va in overdose (e viene miracolosamente salvata da un

iniezione in cuore di adrenalina); 4) Butch (Bruce Willis), un pugile a fine carriera,

vince un incontro che doveva perdere (si era accordato con Marsellus Wallace, il

capo dei due sicari, marito di Mia) e dopo varie peripezie riesce a fuggire con i

soldi ricevuti per perdere l’incontro. Il film venne proclamato vincitore del festival di Cannes nel

1994 e dell’oscar alla sceneggiatura nel 1995

Una Vita al Massimo

Titolo: Una vita al massimo (True Romance)

Anno: 1993

Un commesso di un negozio di fumetti s'innamora di una prostituta.

Trama:

Lui uccide l’ex protettore della donna, quindi la sposa. I due scappano con una

valigia piena di cocaina sottratta al pappone. Alcuni mafiosi (che dovevano

ritirare la droga) rivogliono il maltolto, e sono disposti a ricorrere a qualsiasi

mezzo per riaverlo. Inizia l’inseguimento da parte dei gangster e la fuga della

coppia. Tra scoppi di violenza e scene di romanticismo grottesco, si realizza

un film che è una parodia in chiave pulp del tema della fuga e del sogno di

una “nuova vita”, che però è conquistata a caro prezzo.

Da notare che la regia non è di Tarantino, che ha solamente scritto la

sceneggiatura.

-Questi tre film, insieme, compongono la cosiddetta trilogia Pulp di Quentin Tarantino

Analisi della violenza nella “Trilogia Pulp”

I tre film presentano un abbondanza di scene violente, tanto che alla loro uscita nelle sale

cinematografiche vennero vietati ai minori di 18 anni. La violenza nella “trilogia Pulp” è

però molto diversa da quella presente in Kill Bill: è più legata al cinema d’azione e

poliziesco (un indicatore di questo fatto è la maggiore presenza di armi da fuoco –anche se

in Pulp Fiction vediamo una Katana- e temi legati alla criminalità) e molto meno elevata,

nel senso che non è il soggetto principale che caratterizza la vicenda narrata. In questi

film, in cui i dialoghi e la trama sono più importanti (e anche molto elaborati e complessi)

dell’aspetto grafico, la violenza svolge il compito di creare tensione narrativa nelle vicende

ed esasperare le situazioni, rendendole paradossali e decisamente “Pulp” (con pulp si 6

intende “opera letteraria o cinematografica che racconta storie violente o raccapriccianti

con un’attenzione esasperata ai particolari più macabri e sensazionali” dal dizionario

Garzanti 2005). La violenza in questi film è spesso giustificata: anche se i personaggi

muoiono in modi rocamboleschi e spesso cruenti, c’è sovente una motivazione alla

violenza (ad esempio ne “Le iene” Mr Blonde viene ucciso poiché tortura un poliziotto; in

“Una vita al massimo” Drexl Spivey -il protettore della prostituta di cui si innamora il

protagonista del film- viene ucciso per il riscatto della donna). Nei casi (pochi) in cui la

violenza risulta fine a se stessa (un esempio è la scena de “Le Iene” in cui viene torturato

un poliziotto) diventa un qualcosa di inaspettato, travolgente, improvviso e irrazionale:

dall'irrompere della violenza nella

“La violenza fa parte di questo mondo e io sono attratto

vita reale. Non riguarda tizi che ne calano altri dall'alto di elicotteri su treni a tutta velocità

o terroristi che fanno un dirottamento o roba simile. La violenza della vita reale è così: ti

trovi in un ristorante, un uomo e sua moglie stanno litigando e all'improvviso l'uomo si

folle e fumettistico,

infuria con lei, prende una forchetta e gliela pianta in faccia. È proprio

ma comunque succede: ecco come la vera violenza irrompe irrefrenabile e lacerante

Sono interessato all'atto, all'esplosione e alla sua

all'orizzonte della tua vita quotidiana.

conseguenza.” Quentin Tarantino

(il corsivo è mio)

In questa prospettiva è chiaro come il regista sia più interessato ai meccanismi (ad

esempio i condizionamenti della sociètà o la follia) che scatenano la violenza (meccanismi

che in Kill Bill si riducono alla pura vendetta) piuttosto che alla violenza stessa: è un’

tramite

estetizzazione incompleta poiché la trama è la vera opera d’arte, che si realizza la

violenza (abbiamo sottolineato in precedenza il ruolo narrativo e talvolta simile al “Deus ex

per

machina” che la violenza pulp svolge in questi tre film) ma non la violenza, che ha

motivazioni psicologiche spesso molto evidenti e che non si spinge quasi mai agli eccessi

estremi (ad esempio il massacro degli ottantotto folli) che verranno poi proposti nei film

successivi.

In conclusione ritengo che in questi tre film l’esperienza della violenza possa sì essere

vissuta esteticamente, ma con un limite legato alla supremazia dell’intreccio sopra la

forma grafica.

Giungiamo così alla mia seconda conclusione personale, legata strettamente alla

puramente

cinematografia: la violenza può essere vissuta come esperienza estetica solo in

tramite

film in cui è la violenza ad esprimersi la trama, e non viceversa.

-Si conclude qui la prima parte dell’analisi della violenza nella cinematografia, riguardante

Quentin Tarantino. Passiamo ora all’analisi di un altro regista molto significativo nella mia

ricerca di una possibile estetica della violenza: Stanley Kubrik.

STANLEY KUBRICK

Nome: Stanley

Cognome: Kubrick

Data di nascita, morte: 26 luglio 1928, New York; 7 marzo 1999,

Harpenden

Segni Particolari: inizia la sua carriera come fotografo per la rivista “Look”.

Finisce con fatica gli studi superiori per poi dedicarsi completamente al

cinema iniziando da alcuni cortometraggi. Il primo film a donargli un certo

grado di notorietà è “Orizzonti di gloria”, del 1957. Una curiosità molto

impressionante riguardo al regista è la seguente: si è dedicato con

successo a moltissimi generi cinematografici (quello storico con “Barry

Lyndon”, psicologico con “Eyes Wide Shut”, di guerra con “Full Metal 7

Jacket”, horror in “Shining”, fantascienza in”2001 odissea nello spazio”, satira fantapolitica in

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