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Letteratura: il Decadentismo; Octave Mirbeau (Il giardino dei supplizi); Mo Yan (Il supplizio del legno di sandalo)
Latino: Seneca
Inglese: Anthony Burgess; Arancia Meccanica
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Uninesity, Film Studies) “fermandosi coraggiosamente alla superficie, alla forma, adorando
l’apparenza, credendo nei toni, nelle parole, nell’intero Olimpo dell’apparenza” (citando
“La gaia scienza” di Nietzsche, quarta prefazione) senza giudicarne i contenuti ma
semplicemente la forma.“Arte e violenza si fondono in un indimenticabile esperienza
estetica”: questa critica di Xavier Morales (tratta da un suo articolo sull’ “Harvard Law
Record” del 29-09-2003) riguardo il primo capitolo della saga della Sposa, ci permette di
capire la costruzione, impastata nel sangue e nell’acciaio, portata a termine da Tarantino.
I movimenti degli attori sono perfettamente misurati, i combattimenti come antiche
cerimonie solenni, i dialoghi (in cui spesso i silenzi sono più significativi delle parole) dei
veri e propri riti di iniziazione a ciò che sta per accadere. Gli arti mozzati, le gocce di
sangue, il rumore delle lame si fondono tra loro in sinfonie scritte su spartiti di seta; la
violenza, che si imprime come fuoco sulla pellicola, in un climax che porta alla catarsi
(ossia al compimento della vendetta della sposa), diventa forma di arte autonoma,
svincolata dai giudizi morali e che va oltre ai comuni canoni di bellezza. Le motivazioni
della violenza in questo film non hanno “spessore o risonanza psicologica” (Roger Ebert,
da “Movie Yearbook 2006), rendendola ancora più pura, slegata da contesti emotivi e
passibile di giudizi estetici. Joel Black, docente delle Georgia University, affermò nel 1991:
«Se l'omicidio può essere una forma d'arte, allora l'omicida è una sorta di artista - o un
anti-artista - la cui arte si manifesta quale “performance” e la cui specificità non consiste
nel “creare”, ma nel “distruggere”». Secondo questa teoria, può essere considerato come
soggetto puramente estetico anche il vero e proprio atto violento; a mio parere, al
contrario, affinché violenza ed omicidio possano elevarsi a forme d’arte, bisogna che si
realizzino su adeguati supporti, come la tela per la pittura o lo strumento per la musica. A
conclusione di questa mia ricerca di una possibilità di un’ estetica della violenza, ho
individuato nella cinematografia e nelle arti figurative i due supporti su cui la violenza può
realizzarsi più facilmente come esperienza estetica. Come si può notare, sono tutte forme
d’arte supportate da immagini, immagini fondamentali per mediare la partecipazione
emotiva all’evento descritto: dando una forma grafica alla violenza essa può essere vissuta
con il distacco emotivo (creato dal supporto fisico che sottintende la finzione della stessa)
necessario per vivere l’esperienza estetica ed estrema della violenza (a mio parere la
letteratura è meno adatta creare immagini di violenza estetica, proprio perché il lettore,
che non viene guidato da immagini (grafiche) che richiamano chiaramente ad un contesto
slegato dalla realtà, è portato a partecipare emotivamente a ciò che legge, provando
immancabilmente degli stati d’animo legati alla violenza che non ne permettono un’
analisi slegata da concetti morali; ma questa riflessione verrà approfondita nella sezione
3).
Riflettendo in questo modo sono giunto alla mia prima conclusione personale: la violenza
diventa arte quando è finzione.
A mio parere, infatti, la violenza vissuta direttamente o per esperienza di terzi, è
inscindibile dalla sua componente emotiva e quindi difficilmente apprezzabile come
esperienza estetica (questa conclusione è in aperto disaccordo con il pensiero di Sade, che
vede nella realizzazione fisica della violenza la sua realizzazione artistica, e non nella sua
messa in scena su adeguato supporto come ipotizzato prima).
-Passiamo ora, con un salto a ritroso nel tempo, a studiare i primi lavori di Quentin
Tarantino. Seguono le trame dei film e l’analisi riguardante l’uso della violenza in questi.
Le Iene
Titolo: Le iene (Reservoir Dogs)
Anno: 1992
Trama: Sei gangster, che non si conoscono nemmeno a vicenda, in seguito ad
una rapina fallita in una gioielleria a Los Angeles, tentano di capire come il colpo
possa essersi trasformato in una trappola. Due di loro sono rimasti uccisi (Mr.
Blue e Mr. Brown) e un terzo (Mr. Orange) è ferito gravemente. I quattro
superstiti si ritrovano in un deposito abbandonato dove capiscono che uno di 5
loro è una spia. Il deposito è il teatro principale dell'azione, che è frantumata temporalmente
similmente a Pulp Fiction. Proprio nel magazzino si svolge la famosa scena in cui Michael
Madsen tortura un poliziotto e infine si arriva, tramite un triello dai forti accenti western, alla
conclusione della vicenda: la polizia invade il magazzino e le iene scoprono chi di loro era la
spia.
Il film, alla sua uscita, venne bollato come “eccessivamente violento” ma in seguito se ne
riconobbe il valore, sia artistico (innovazioni cinematografiche) che dei contenuti, legati ai temi
profondi e trattati senza cadere nel banale dell’amicizia e della fiducia.
I personaggi usano dei colori come nomi in codice: Mr White è Harvey Keitel; Mr Orange (la
spia) è Tim Roth; Mr Pink è Steve Buscami; Mr Blonde è Michael Madsen; Mr Brown è Tarantino
stesso ed infine Mr Blue è Edward Bunker.
Pulp Fiction
Titolo: Pulp Fiction
Anno: 1994
Trama: La vicenda è presentata nel film con una cronologia sfasata: le scene che
lo spettatore osserva non rispettano infatti un andamento lineare del tempo e
spesso più vicende separate si incontrano tra loro. Quattro storie di Gangster
s'intersecano in una struttura apparentemente circolare che va avanti e indietro
nel tempo: le vicende sono: 1) due delinquenti (Tim Roth & Amanda Plummer), si
accingono a fare una rapina in una tavola calda; 2) due sicari (John Travolta &
Samuel L Jackson) recuperano una valigetta preziosa, poi devono ripulire la loro
auto, insozzata dal sangue di un uomo ucciso per errore, con l'aiuto di Mr. Wolf ),
per poi andare a mangiare alla tavola calda della rapina; 3) uno dei due sicari
(John Travolta), deve portare a ballare Mia (Uma Thurman), la moglie del suo
capo, ma dopo la cena lei va in overdose (e viene miracolosamente salvata da un
iniezione in cuore di adrenalina); 4) Butch (Bruce Willis), un pugile a fine carriera,
vince un incontro che doveva perdere (si era accordato con Marsellus Wallace, il
capo dei due sicari, marito di Mia) e dopo varie peripezie riesce a fuggire con i
soldi ricevuti per perdere l’incontro. Il film venne proclamato vincitore del festival di Cannes nel
1994 e dell’oscar alla sceneggiatura nel 1995
Una Vita al Massimo
Titolo: Una vita al massimo (True Romance)
Anno: 1993
Un commesso di un negozio di fumetti s'innamora di una prostituta.
Trama:
Lui uccide l’ex protettore della donna, quindi la sposa. I due scappano con una
valigia piena di cocaina sottratta al pappone. Alcuni mafiosi (che dovevano
ritirare la droga) rivogliono il maltolto, e sono disposti a ricorrere a qualsiasi
mezzo per riaverlo. Inizia l’inseguimento da parte dei gangster e la fuga della
coppia. Tra scoppi di violenza e scene di romanticismo grottesco, si realizza
un film che è una parodia in chiave pulp del tema della fuga e del sogno di
una “nuova vita”, che però è conquistata a caro prezzo.
Da notare che la regia non è di Tarantino, che ha solamente scritto la
sceneggiatura.
-Questi tre film, insieme, compongono la cosiddetta trilogia Pulp di Quentin Tarantino
Analisi della violenza nella “Trilogia Pulp”
I tre film presentano un abbondanza di scene violente, tanto che alla loro uscita nelle sale
cinematografiche vennero vietati ai minori di 18 anni. La violenza nella “trilogia Pulp” è
però molto diversa da quella presente in Kill Bill: è più legata al cinema d’azione e
poliziesco (un indicatore di questo fatto è la maggiore presenza di armi da fuoco –anche se
in Pulp Fiction vediamo una Katana- e temi legati alla criminalità) e molto meno elevata,
nel senso che non è il soggetto principale che caratterizza la vicenda narrata. In questi
film, in cui i dialoghi e la trama sono più importanti (e anche molto elaborati e complessi)
dell’aspetto grafico, la violenza svolge il compito di creare tensione narrativa nelle vicende
ed esasperare le situazioni, rendendole paradossali e decisamente “Pulp” (con pulp si 6
intende “opera letteraria o cinematografica che racconta storie violente o raccapriccianti
con un’attenzione esasperata ai particolari più macabri e sensazionali” dal dizionario
Garzanti 2005). La violenza in questi film è spesso giustificata: anche se i personaggi
muoiono in modi rocamboleschi e spesso cruenti, c’è sovente una motivazione alla
violenza (ad esempio ne “Le iene” Mr Blonde viene ucciso poiché tortura un poliziotto; in
“Una vita al massimo” Drexl Spivey -il protettore della prostituta di cui si innamora il
protagonista del film- viene ucciso per il riscatto della donna). Nei casi (pochi) in cui la
violenza risulta fine a se stessa (un esempio è la scena de “Le Iene” in cui viene torturato
un poliziotto) diventa un qualcosa di inaspettato, travolgente, improvviso e irrazionale:
dall'irrompere della violenza nella
“La violenza fa parte di questo mondo e io sono attratto
vita reale. Non riguarda tizi che ne calano altri dall'alto di elicotteri su treni a tutta velocità
o terroristi che fanno un dirottamento o roba simile. La violenza della vita reale è così: ti
trovi in un ristorante, un uomo e sua moglie stanno litigando e all'improvviso l'uomo si
folle e fumettistico,
infuria con lei, prende una forchetta e gliela pianta in faccia. È proprio
ma comunque succede: ecco come la vera violenza irrompe irrefrenabile e lacerante
Sono interessato all'atto, all'esplosione e alla sua
all'orizzonte della tua vita quotidiana.
conseguenza.” Quentin Tarantino
(il corsivo è mio)
In questa prospettiva è chiaro come il regista sia più interessato ai meccanismi (ad
esempio i condizionamenti della sociètà o la follia) che scatenano la violenza (meccanismi
che in Kill Bill si riducono alla pura vendetta) piuttosto che alla violenza stessa: è un’
tramite
estetizzazione incompleta poiché la trama è la vera opera d’arte, che si realizza la
violenza (abbiamo sottolineato in precedenza il ruolo narrativo e talvolta simile al “Deus ex
per
machina” che la violenza pulp svolge in questi tre film) ma non la violenza, che ha
motivazioni psicologiche spesso molto evidenti e che non si spinge quasi mai agli eccessi
estremi (ad esempio il massacro degli ottantotto folli) che verranno poi proposti nei film
successivi.
In conclusione ritengo che in questi tre film l’esperienza della violenza possa sì essere
vissuta esteticamente, ma con un limite legato alla supremazia dell’intreccio sopra la
forma grafica.
Giungiamo così alla mia seconda conclusione personale, legata strettamente alla
puramente
cinematografia: la violenza può essere vissuta come esperienza estetica solo in
tramite
film in cui è la violenza ad esprimersi la trama, e non viceversa.
-Si conclude qui la prima parte dell’analisi della violenza nella cinematografia, riguardante
Quentin Tarantino. Passiamo ora all’analisi di un altro regista molto significativo nella mia
ricerca di una possibile estetica della violenza: Stanley Kubrik.
STANLEY KUBRICK
Nome: Stanley
Cognome: Kubrick
Data di nascita, morte: 26 luglio 1928, New York; 7 marzo 1999,
Harpenden
Segni Particolari: inizia la sua carriera come fotografo per la rivista “Look”.
Finisce con fatica gli studi superiori per poi dedicarsi completamente al
cinema iniziando da alcuni cortometraggi. Il primo film a donargli un certo
grado di notorietà è “Orizzonti di gloria”, del 1957. Una curiosità molto
impressionante riguardo al regista è la seguente: si è dedicato con
successo a moltissimi generi cinematografici (quello storico con “Barry
Lyndon”, psicologico con “Eyes Wide Shut”, di guerra con “Full Metal 7
Jacket”, horror in “Shining”, fantascienza in”2001 odissea nello spazio”, satira fantapolitica in