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Sintesi

Introduzione Telescopio Spaziale Hubble, tesina



La tesina di maturità descrive il telescopio spaziale Hubble. 407 anni fa, nel 1609, con Galileo Galilei nasceva l'astronomia osservativa moderna, nel pieno di quel straordinario periodo della storia del pensiero chiamato Rivoluzione Scientifica, i cui esponenti principali furono uomini quali Copernico, Keplero, lo stesso Galilei, Newton, Francis Bacon, Cartesio. Per i successivi quattro secoli gli astronomi hanno sempre perseguito gli stessi obiettivi: vedere di più, più lontano nello spazio e più indietro nel tempo. Grazie allo sviluppo di telescopi sempre più efficaci abbiamo rivoluzionato la nostra visione dell'Universo: prima considerato statico e immutabile, sappiamo ora essere un luogo estremamente variabile e violento, in espansione, del quale abbiamo ancora molto da scoprire. Il Telescopio oggetto di questo scritto, probabilmente lo strumento scientifico più produttivo della storia dell'umanità, nonché la missione NASA più duratura e riuscita, di cui è stato da poco festeggiato il ventiseiesimo anno di servizio, ci ha permesso di osservare più lontano di quanto non avessimo mai fatto prima, raggiungendo il limite per l'osservazione nello spettro del visibile. I dati da esso inviatici ci hanno permesso di rispondere a molte domande e ne hanno sollevate altre. Grazie ad esso siamo riusciti a determinare l'età dell'Universo con una precisione senza precedenti, abbiamo notizie molto più precise sia su fenomeni che avvengono a milioni o miliardi di anni luce da noi, sia su quelli che riguardano il nostro Sistema Solare. Oggi siamo vicini a rispondere a domande che gli uomini si pongono fin dai tempi dell'antica Grecia: siamo soli nell'Universo? Esiste un altro pianeta simile alla Terra? Siamo davvero così speciali? Per fare questo, però, saranno necessari nuovi strumenti scientifici. La tesina è un elaborato mografico.

Tesina monografica di Fisica sul Telescopio Spaziale Hubble
.
Estratto del documento

Copernico. solamente strumenti matematici. Egli non aveva modo di

dimostrare la sua teoria perché non disponeva degli strumenti osservativi necessari; il modello

copernicano, però, verrà successivamente sostenuto sia da Giovanni Keplero che da Galileo Galilei.

Fu quest'ultimo a fornire l'evidenza osservativa che scardinò completamente le teorie geocentriche.

1.3. Galileo Galilei

Il cannocchiale venne inventato nei Paesi Bassi nei primi anni del XVII secolo, e da lì si diffuse

rapidamente in tutta Europa. Nel 1609 ne giunse notizia a Galileo Galilei, che lo ricostruì e potenziò

empiricamente; si trattava di uno strumento semplicissimo, costituito da due sole lenti, dalle

prestazioni mediocri, paragonabili a quelle di un moderno binocolo. Il cannocchiale, però, rivelò

particolari fino ad allora sconosciuti del nostro Sistema solare: per tutto il 1609 Galileo puntò il suo

strumento al cielo, riuscendo ad osservare i rilievi lunari (fino ad allora la Luna era stata ritenuta un

corpo perfetto), le fasi di Venere, gli anelli di Saturno (dei quali non comprese la natura). Galileo fu

inoltre il primo a comprendere che la Via Lattea è un addensamento di moltissime stelle, non una

sorta di “nube” quale era considerata fino ad allora. Dai suoi disegni si evince che il 28 dicembre

1612 e il 27 gennaio 1613 osservò il pianeta Nettuno, scambiandolo per una stella fissa. La scoperta

che però cambiò per sempre la storia della scienza fu quella dei quattro satelliti medicei di Giove.

Galileo osservò Giove la prima volta l'11 gennaio 1610 e vide accanto ad Esso quattro punti luminosi,

che reputò essere stelle. Ma tornò ad osservare il pianeta, e notò solo tre punti. Continuando le

osservazioni per più notti giunse alla conclusione (in verità, già il 15 gennaio 1610) che il moto di

quegli oggetti era compatibile con quello di lune orbitanti intorno al pianeta. I suoi risultati, esposti

nel Sidereus nuncius del 1610, furono rivoluzionari: per la prima volta nella storia dell'umanità un

uomo aveva visto degli oggetti in orbita intorno ad un corpo celeste che non fosse la Terra. Questa

scoperta fu la prova definitiva contro il sistema geocentrico: Galileo capì che gli antichi e Tolomeo

avevano torto, che la Chiesa aveva torto e che Copernico aveva ragione. Da questa straordinaria

scoperta le nostre conoscenze astronomiche sono andate sempre aumentando, ma grazie al lavoro di

un altro genio, Isaac Newton.

4

Figura 3: una serie di disegni di Galileo.

Nei primi due è mostrata la superficie

lunare e sono visibili le fasi del nostro

satellite; costituiscono la prima

rappresentazione realistica della Luna della

storia. A destra, l’annotazione delle

posizioni dei satelliti di Giove.

5

1.4. Il telescopio newtoniano

Prima di compiere 26 anni, Isaac Newton aveva già sviluppato il calcolo infinitesimale,

cominciato a sviluppare la legge di gravitazione universale e si era anche occupato di ottica. Fu

durante questi ultimi studi che capì che tutti i sistemi ottici a lenti soffrono della cosiddetta

aberrazione cromatica, dovuta alle differenti rifrazioni di diverse lunghezze d'onda da parte delle lenti

(le lunghezze d’onda più corte vengono rifratte più di quelle più lunghe), con conseguente dispersione

dell'immagine sul piano focale. Per risolvere il problema, Newton inventò un nuovo tipo di telescopio,

chiamato riflettore, in quanto costituito solamente da due specchi (che riflettono tutte le lunghezze

d'onda allo stesso modo): uno specchio concavo detto “primario” che riflette la luce su di uno

specchio piatto inclinato di 45°, detto “secondario”. Questo, infine, devia la luce su di un gruppo

ottico intercambiabile chiamato oculare, che permette diverse possibilità di ingrandimento e di

ampiezza del campo visivo. Questo semplice schema ottico permette di costruire specchi dalle

dimensioni notevoli (anche decine di metri di diametro) ed è rimasto sostanzialmente invariato fino

ai giorni nostri; una sua variante è stata adottata per il Telescopio Spaziale Hubble.

1.5. Telescopi a confronto

L'obiettivo di un rifrattore galileiano, per dare buone immagini, deve essere costituito da una serie

di lenti, ognuna delle quali presenta due superfici da lavorare otticamente; il vetro con cui sono

realizzate deve essere scelto con cura e presentare un ben determinato indice di rifrazione. Una lente,

infine, deve essere montata nel telescopio rifrattore usando come supporto un anello circolare lungo

la lente stessa, in modo che il supporto non agisca da diaframma e non blocchi la luce entrante. Ne

segue che esiste un limite fisico (circa 1 metro di diametro) oltre il quale la grandezza della lente non

può essere portata, onde evitare che si deformi sotto il suo stesso peso.

Tutti questi inconvenienti non sono presenti in un telescopio riflettore, il cui obiettivo è costituito

da uno specchio. Ne consegue che solo una superficie sarà lavorata otticamente e resa speculare,

riducendo di molto il costo di lavorazione. Inoltre la luce ricevuta dalla sorgente subisce un processo

Figura 4: il disegno

mostra la diversa

struttura del telescopio

galileiano, o rifrattore

(a destra), e di quello

riflettore, o

newtoniano (a

sinistra). Nel

telescopio rifrattore un

sistema di lenti fa

convergere la luce

nell’oculare; in quello

riflettore il sistema

ottico è formato da un

insieme di specchi, i

quali fanno convergere

nell’oculare la luce

riflessa dallo specchio

principale.

6

di assorbimento assai inferiore negli strumenti di questo tipo, non dovendo attraversare spessori di

vetro. La qualità del vetro costituente lo specchio è determinata unicamente dalla proprietà di avere

un basso coefficiente di dilatazione, in modo da evitare che variazioni di temperatura durante

l'osservazione deformino l'immagine. Infine, lo specchio primario del telescopio è montato avendo

come base d'appoggio tutta la sua faccia inferiore, contribuendo di molto alla stabilità dello strumento.

Capitolo II

Il Telescopio Spaziale Hubble

2.1. Edwin P. Hubble

Il Telescopio Spaziale Hubble è così chiamato in onore di Edwin Powell

Hubble (1889–1953), uno degli astronomi più importanti del XX secolo. Prima

di scoprire la sua passione per l'astronomia Hubble aveva ottenuto una laurea

in legge ed aveva combattuto nella Prima Guerra Mondiale. Comunque, dopo

aver praticato la sua professione per un anno, decise di dedicarsi

all'astronomia, ritenendo che fosse “l'astronomia a contare veramente”. La

notte fra il 5 ed il 6 ottobre 1923, usando il telescopio dell'osservatorio di Figura 5: Edwin

Monte Wilson (all'epoca il più grande del mondo, 2,5 metri di diametro), Powell Hubble.

Hubble riuscì ad individuare una variabile Cefeide nella Galassia di

Andromeda (M31), grazie alla quale venne stabilito oltre ogni dubbio che M31 non potesse fare parte

della Via Lattea.

Le Cefeidi sono un tipo di stella variabile (stella la

cui luminosità apparente varia nel tempo) che presenta

una correlazione stretta fra il periodo di variabilità e la

luminosità stellare assoluta. Grazie alla succitata

correlazione e alla precisione con cui è possibile

misurare il periodo di variabilità, le Cefeidi possono

essere usate come “candele standard” per misurare la

distanza della galassia od ammasso in cui sono

contenute: la luminosità varia con l'inverso del

quadrato della distanza dall'osservatore; pertanto,

conoscendo la magnitudine assoluta della Cefeide e

misurando quella apparente si può risalire con grande

precisione alla sua distanza.

La scoperta cambiò per sempre il nostro modo di

vedere l'Universo.

Forse la più grande scoperta di Hubble, però, risale Figura 6: la famosa piastra H335H, in cui

al 1929, quando comprese che distanza e velocità di Hubble riconobbe una Cefeide (marcata

allontanamento delle galassie sono collegate: più una come VAR!); ciò permise di stabilire la non

galassia è lontana dalla Terra, più sembra allontanarsi appartenenza della Galassia di Andromeda

velocemente. L'idea di un Universo in espansione sta alla Via Lattea.

7 alla base della teoria del Big Bang, secondo la quale

l'Universo sarebbe nato a seguito di una violenta

esplosione di energia in un singolo momento, e

avrebbe continuato ad espandersi da allora.

2.2. Perché un telescopio in orbita?

Fra i motivi che hanno permesso l'evoluzione della

vita sulla Terra, uno dei più importanti è l'atmosfera,

un sottile strato di gas trattenuti dalla forza di gravità

che impedisce alle radiazioni più nocive provenienti

dallo spazio (onde elettromagnetiche ad alta energia,

in particolare raggi X e raggi gamma) di raggiungere

Figura 7: le diverse altitudini alle quali le la superficie. Gli unici a non essere soddisfatti di

varie lunghezze d’onda sono rilevabili. questo “servizio” svolto dall’atmosfera sono gli

astronomi, i quali considerano la radiazione bloccata una preziosa fonte di informazioni sui corpi e

sui fenomeni celesti che la hanno generata. Per questo motivo hanno incominciato a portare i propri

strumenti prima su aerei e poi su palloni aerostatici, in grado di raggiungere i 40 Km di quota. Solo

con l'avvento dell'era spaziale, però, il problema è stato definitivamente risolto.

Un altro dei motivi che hanno spinto a porre strumenti astronomici in orbita è l'osservazione di

quella banda dello spettro elettromagnetico dove la stessa atmosfera emette, producendo del “rumore”

che disturba l'osservazione. Questo vale per gran parte della banda dell'infrarosso, disturbata

dall'emissione termica dell'atmosfera e di alcune molecole, come quelle di acqua, che emettono in

quella fascia dello spettro.

Per quanto riguarda la banda del visibile, una delle poche non bloccata dall'atmosfera, il problema

è un altro. Come dimostra il tremolio delle stelle nel cielo notturno il disturbo è dato dalle turbolenze

dell'aria (seeing in inglese), amplificato ulteriormente dalle ottiche stesse; ciò degrada la qualità delle

immagini che si possono ottenere. Nonostante si cerchi di limitare il fenomeno costruendo telescopi

dove l'aria è molto secca e ferma, come deserti e in alta quota, c'è un limite fisico oltre il quale non si

può andare: gli astronomi si dichiaravano contenti quando riuscivano ad ottenere un seeing di mezzo

secondo d'arco, che permette di distinguere un cratere di circa un chilometro di diametro sulla

superficie lunare. I

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