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Sintesi

Si tratta di una tesina di approfondimento riguardante un argomento chiave nel campo della cosmologia.

Materie trattate: Atronomia, astrofisica

Estratto del documento

una forza antigravitazionale che conferiva allo spazio-tempo una tendenza in-

trinseca all’espansione, in modo da controbilanciare esattamente l’attrazione

gravitazionale. Soltanto un uomo riuscı̀ a trarre fondamentali deduzioni dalla

teoria della relatività generale senza correzioni. Mentre Einstein cercava modi

per evitare la predizione in essa implicita di un Universo dinamico, il fisico rus-

so dimostró che dalle equazioni di Einstein emergeva

Aleksandr Friedmann

naturalmente un universo in espansione. Nel 1922 il fisico russo propose un

modello di universo in cui, senza l’aggiunta della costante cosmologica, le dif-

ficoltà interpretative sarebbero scomparse ammettendo che le proprietà fisiche

dello spazio-tempo potessero variare col tempo: egli prese avvio dalla teoria

della relatività di Einstein e ne accettó gli assunti di omogeneità, contestando

peró l’assunto della stasi. Fece due semplici osservazioni sull’universo: che esso

sembra identico in qualunque direzione lo si osservi, e che ció varrebbe anche

se lo si osservasse da qualunque posizione. Alle stesse conclusioni era giunto

indipendentemente nel 1927 l’abate belga il quale anticipó

George Lamaitre,

l’ipotesi che all’origine dei tempi vi sia stata l’esplosione di un atomo primevo

che avrebbe messo in moto tutte le parti dell’Universo. In quello che per-

ciò venne chiamato o modello del

modello di Friedmann-Lamaitre, Big Bang,la

materia dell’Universo si disperde sempre di piú mentre va espandendosi dopo

l’esplosione primordiale. Einstein riconobbe la validità matematica dei calcoli

di Friedmann, ma dubitó che potessero applicarsi all’universo reale. L’ostacolo

stava nel fatto che né gli assunti di Einstein, né quelli di Friedmann potevano

essere verificati sperimentalmente. La situazione mutó radicalmente nel 1929,

anno in cui scoprı́ che l’Universo è in espansione. Da un lato

Edwin Hubble

questa osservazione favoriva chiaramente il modello dinamico di Friedmann sul

modello statico di Einstein. Dall’altro confermava un assunto chiave fatto da

entrambi gli scienziati: l’universo è approssimativamente omogeneo, ovvero non

si trova in esso un luogo diverso dall’altro. In realtà, solo nel 1964 si ebbe la

conferma definitiva che l’ipotesi di Friedmann e Einstein sull’omogeneità del-

l’Universo in qualsiasi direzione lo si osservi fosse una descrizione notevolmente

esatta di esso. La prova venne dalla scoperta da parte di due fisici americani,

e della radiazione cosmica di fondo (CM BR).

Arno Penzias Robert Wilson,

Le registrazioni mostrarono come il rumore di fondo fosse lo stesso in qualsiasi

direzione il rivelatore venisse puntato, in qualsiasi momento del giorno o del-

l’anno venisse analizzata. Questo dimostrava che la radiazione doveva provenire

dall’esterno della Galassia (in caso contrario avrebbe infatti presentato vari-

azioni a seconda delle direzioni in cui fosse stato puntato il ricevitore) e che

l’Universo doveva essere omogeneo, anche se solo su scala molto grande.

2 La scoperta di Hubble e Humason

2.1 Il redshift delle galassie

Scomponendo la luce proveniente da una stella nei suoi colori componenti se ne

ottiene lo spettro. Quando si sondano le profondità dello spazio intergalattico

in zone sempre piú lontane, le righe di assorbimento degli spettri delle galassie

piú distanti sono sempre piú spostati verso il rosso. Per poter comprendere

questo fenomeno, è necessario ricordare in cosa consiste che

l’effetto Doppler,

prende il nome dal fisico ed astronomo austriaco che nel 1842 divenne il suo

2

scopritore. Esso stabilisce il rapporto tra la frequenza delle onde emesse da una

sorgente e la sua velocità di allontanamento o di avvicinamento all’osservatore.

In particolare se la sorgente è in fase di avvicinamento, si ha uno spostamento

delle righe spettrali verso il colore blu a frequenze piú alte (blueshift) mentre in

caso di allontanamento si verifica il fenomeno opposto, ovvero uno spostamento

delle righe verso il colore rosso a frequenze piú basse (redshift). L’intensità dello

spostamento delle righe spettrali dipende dalla velocità dell’oggetto in moto in

base all’equazione: ∆l v

= = (1)

z l c

Ovvero, il rapporto tra la variazione di lunghezza d’onda e la lunghezza d’onda

della riga di una sorgente ferma pari al rapporto tra la velocità di allontanamento

della sorgente e la velocità dell’onda. Va precisato che questa relazione semplifica

la più complessa versione in relatività speciale, che è

r 2

∆l v 1 (2)

= 1 −

− 2

l c

vc è possibile servirsi della formula più semplice.

In verità, per valori piccoli di

Bisogna notare inoltre che non è facile osservare sulla Terra l’effetto Doppler per

vc è di solito del tutto

le onde elettromagnetiche della luce perché il rapporto

trascurabile. Le osservazioni condotte su questo fenomeno risultano invece di

fondamentale importanza nel caso in cui si considerino come sorgenti i corpi

celesti aventi velocità molto maggiori di oggetti terrestri. Lo studio del redshift

delle galassie, ad esempio, permette di analizzare i moti cui esse sono soggette

rispetto al nostro punto di vista. Nel caso particolare degli studi condotti da

Hubble i redshift delle galassie permisero di dare vita alla teoria di un Universo

dinamico, in espansione. In ultimo è necessario precisare quali siano i limiti

pratici nelle osservazioni del redshift delle galassie molto distanti. Per queste

infatti lo spostamento verso il rosso è decisamente elevato, e facilmente misura-

bile; ma non altrettanto semplice è la misurazione della loro distanza. Difatti,

piú lontana è la galassia, meno attendibile è la misura della sua luminosità as-

soluta; inoltre lo spostamento verso il rosso ha un effetto di smorzamento (oltre

che della frequenza) anche dell’energia ricevuta dalla sorgente e, come se non

bastasse, la sensibilità delle lastre fotografiche dipende dalla lunghezza d’onda

2

della luce incidente . Per ovviare a quest’ultimo problema si rende necessario

introdurre un fattore correttivo sulla luminosità misurata per ottenere la lu-

K

minosità che invece verrebbe registrata se la lastra fotografica fosse sensibile in

modo uniforme a tutte le lunghezze d’onda. Tutto ció rende l’idea dei molti

problemi ancora aperti nella cosmologia sperimentale.

2.2 La relazione lineare tra distanza e velocità di reces-

sione

La nostra immagine moderna dell’Universo risale solo al 1924, quando l’as-

tronomo americano dimostró che la nostra galassia non è l’u-

Edwin Hubble

nica, ma che in realtà ne esistono molte, separate da estensioni immense di

spazio vuoto. Il suo arrivo all’Osservatorio di Monte Wilson della Carnegie In-

stitution, vicino a Pasadena, fu all’incirca contemporaneo al completamento del

2 il redshift modifica l’intensità dell’immagine sulla lastra

3

da 100 pollici, allora il piú potente del mondo. Le osservazioni

Telescopio Hooker

di Hubble condotte tra il 1923 e il 1924 con l’Hooker stabilirono senza ombra di

dubbio che gran parte delle nebulose, prima osservate con telescopi meno poten-

ti, non facevano parte della nostra galassia come si credeva, ma erano esse stesse

galassie, fuori dalla Via Lattea. Per poter dimostrare ció, Hubble aveva bisogno

di determinare le distanze di queste altre galassie. Egli notó che certi tipi di

stelle, quando sono abbastanza vicine a noi da poterne determinare la distan-

za con metodi trigonometrici, presentano sempre la stessa luminosit assoluta;

perció, se si trovassero tali tipi di stelle in un’altra galassia, si potrebbe sup-

porre che esse abbiano questa stessa luminosità assoluta, e confrontandola con

quella apparente si potrebbe determinare la distanza di tale galassia. Hubble

si serv dello studio degli spettri delle stelle per suddividerle in diverse categorie

di somiglianza: infatti si accorse di come le righe di assorbimento variino da

stella a stella, permettendo di determinare la composizione chimica della sua

atmosfera. Infine col metodo del confronto tra la luminosità assoluta (calcolata

sulle stelle a distanza ravvicinata) e quella apparente, calcolò la distanza di ben

nove galassie esterne alla Via Lattea. Negli anni successivi, Hubble spese il suo

tempo nel catalogare le distanze e gli spettri delle galassie. A quel tempo la

maggior parte degli studiosi si attendeva che le galassie si muovessero di moti

casuali; ci si aspettava pertanto di osservare sugli spettri in media un ugual

numero di redshift e blueshift. In realtà già nel 1912 l’astronomo statunitense

misurando la velocitá radiale della Nebulosa di An-

Vesto Melvin Slipher,

dromeda e quella di altre galassie, mise in evidenza la singolare circostanza che

queste velocità erano tutte positive, cioè corrispondevano ad un moto generale di

allontanamento. astronomo collaboratore di Hubble, pros-

Milton Humason,

eguı́ il lavoro all’Osservatorio di Monte Wilson, usando il telescopio a riflessione

Hooker. Egli scoprı́ che la velocità di allontanamento delle sorgenti piú distanti

era maggiore di quella delle sorgenti piú vicine. Tale ipotesi venne in seguito

confermata dai risultati di successive ricerche condotte dai due studiosi (Hubble

e Humason) tra il 1927 ed il 1929. In particolare, la legge che ora porta il nome

di Hubble, il piú famoso cosmologo di allora, viene formalizzata in questo modo:

= (3)

v Hd

Ovvero, la velocità di recessione è uguale alla costante di Hubble moltiplicata

per la distanza della galassia. In altri termini, maggiore è la distanza di una

galassia rispetto a noi, maggiore è la velocità con cui si allontana: ciò implica

che l’Universo non è statico, ma che la distanza fra le diverse galassie cresce di

continuo. È peró d’obbligo fare una precisazione: in verità l’equazione scoperta

da Hubble mette in relazione la distanza della galassia con il redshift, e non

direttamente con la velocità di allontanamento. Infatti ai tempi vi erano ancora

dei dubbi riguardo l’interpretazione del redshift delle galassie come indice di un

loro reale allontanamento. Si pensava che lo spostamento potesse essere dovuto

alla dispersione della luce nel pulviscolo intergalattico (che avrebbe un effetto

arrossante) o ancora che la luce cambiasse di lunghezza d’onda in qualche altro

modo misterioso durante il viaggio attraverso lo spazio. Queste ipotesi non

hanno trovato peró alcun fondamento teorico sul quale basarsi. Pertanto il

redshift è indice di un moto di recessione, e nella formula si può sostituire lo

spostamento verso il rosso direttamente con la velocità di allontanamento.

4

2.3 Storia del valore numerico della costante ostacoli

H:

al calcolo e correzioni

In linea di principio, la misurazione della costante di Hubble è abbastanza facile.

Si cerca una galassia, si misura la sua velocità di allontanamento osservando lo

spostamento Doppler nel suo spettro, e, misurata la sua distanza, si divide il

primo per il secondo valore, ricavando la costante, che infatti per formula inversa

è definita come v (4)

=

H d

Tuttavia ci sono delle difficoltà nell’applicazione di questo metodo, in quanto

si puó misurare accuratamente solo la distanza delle galassie vicine, poichè solo

di queste si possono vedere le singole stelle. Il problema nasce dal fatto che i

moti casuali di queste galassie nello spazio confondono sullo spettro gli effetti

dell’espansione dell’Universo: a distanze ridotte infatti accade che la velocità dei

moti casuali sia maggiore di quella di recessione, e che quindi la misurazione del-

la costante diventi impossibile. Si ha perciò bisogno di poter esaminare galassie

situate a decine o, preferibilmente, a centinaia di megaparsec di distanza, poichè

solo cosı̀ la velocità di espansione è preponderante su qualsiasi moto casuale. Si

ritorna dunque al problema iniziale: a cosı́ grande distanza non è possibile dis-

tinguere stelle individuali nelle galassie. Al centro del problema vi è la scelta

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